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Il senso di colpa non è un sentimento, ma un'arma a doppio taglio che ti logora dentro, portandoti a vedere perfettamente il peggio di te, di ciò che puoi fare.

Ed io, che mi sono sempre reputata una brava persona, almeno per i miei gusti, ora non riesco nemmeno a scambiare uno sguardo con un passante.

Mi sento sporca, mi sento meschina, perché ho fatto un qualcosa di tremendo.

Ho tradito la fioca fiducia che una persona aveva riposto difficilmente in me, spezzandola senza dare nemmeno il tempo di spiegare.

Ancora rivedo gli occhi di Bill, così sereni, mentre mi si avvicinava per la prima volta di sua volontà: chissà da quanto tempo non faceva questo con un altro essere umano.

Non ho nemmeno avuto il coraggio di rivolgergli la parola, tanto era pesante il macigno che sentivo sul petto, tanto era lo sporco che ricopriva la mia anima.

Mio padre dice che Bill è pericolo, e io non posso dargli torto, perché ho visto ciò che è in grado di fare quando è arrabbiato, ma penso che sia stupido, oltre che ingiusto, quasi incolparlo e rinnegarlo perché malato.

Sentirlo così arrabbiato, così deluso, mi ha fatto pensare a me, qualche settimana fa, quando Louis ha confessato di avermi tradito.

Alla fine, le situazioni non sono poi così diverse: si parla sempre di fiducia tradita nel peggiore dei modi, senza lasciare nemmeno un piccolo margine di scelta.

Sono diventata come chi disprezzavo, e questo è una delle cose che più temevo.

Mi odio, davvero, e mi sento una codarda, perché invece che andare da Bill e cercare di chiarire, preferisco guardarlo da lontano, osservando come lui mi ignora così facilmente.

Non posso dargli torto.

È seduto su una delle panchine del giardino dell'ospedale, e tiene gli occhiali calati sul naso mentre lo sguardo resta incollato alle pagine del suo romanzo.

Vorrei davvero conoscerne il titolo.

Sa che sono qui, mi ha visto arrivare, eppure non ha mosso un dito, nemmeno per provare disgusto o farmi capire che non vuole vedermi.

Semplicemente, ha preso nota che io sono qui: siamo tornati al punto di partenza.

Incrocio le gambe, iniziando a giocare con l'orlo sgualcito dei miei shorts in jeans spaiati, mentre ancora lo guardo di nascosto, quasi a volerlo studiare.

Si è trovato un posto all'ombra, ma i fiochi raggi solari che trapassano fra le foglie gli colpiscono comunque il viso, illuminandogli i capelli, che diventano più chiari, e il viso, mettendo in risalto gli spigoli decisi dei suoi tratti.

Tanto bello quanto arrabbiato.

"Helena Collins?"

Alzo lo sguardo, e subito sento che vorrei avere una corda a portata di mano per impiccarmi ad uno di questi alberi.

Bella, bellissima, nel suo vestito attillato di un color blu oltremare, in perfetta intonazione ai ricci neri e gli occhi color smeraldo.

Non so nemmeno come si chiama, eppure riconoscerei il volto della mia rovina ovunque.

"Ciao." Mi limito a dire, secca.

La mora continua a sorridere, quasi come se la divertisse vedermi così: disperata su una panchina vuota.

"Io sono Chastity Bilson, la ragazza di Louis."

Ha davvero un nome che si addice alla mansione che le vedrei benissimo fare.

On the edge / Bill SkarsgårdDove le storie prendono vita. Scoprilo ora