Ero in fila al metal detector, aspettando di fare tutti i controlli adeguati per poi poter salire sull'aereo e partire. Mi trovavo a Londra con la mia famiglia dopo aver visitato dei parenti inglesi; mia madre ci teneva che ogni fine estate, prima dell'inizio della scuola, andassimo a fargli compagnia, diceva che: 'è un modo per passare ancora del tempo insieme, dato che Crystal e Jason sono sempre in giro'.
Testuali parole.
L'aeroporto in cui eravamo era molto grande e in stile moderno, il vetro e il ferro che risaltavano immediatamente all'occhio insieme al colore bianco. Era pieno di persone che facevano avanti e indietro - senza contare il personale specializzato -, ognuna che aspettava il proprio momento di partire da quella città, anche se alcuni stavano aspettando che arrivassero dei parenti o conoscenti. Personalmente, Londra non mi faceva impazzire: era vero, c'erano un sacco di posti da visitare come il Big Ben, Buckingham Palace e il London Eye, ma il clima non era fatto per me; il cielo era continuamente nuvoloso anche d'estate, infatti ci portavamo sempre con noi degli ombrelli, con la costante paura che potesse iniziare un acquazzone. Nei giorni migliori qualche raggio di sole traspariva da tutto quel grigiore, rendendo la giornata un po' più calda. A tutto ciò, preferivo di gran lunga il dolce e caloroso torpore di Los Angeles, casa mia, la cosiddetta 'Città Degli Angeli'; mi piaceva andare in spiaggia durante il pomeriggio, distendermi al sole e rilassarmi, magari con un buon libro. La brezza del mare, unito all'acqua fresca, mi donavano un senso di benessere che nient'altro riusciva a regalarmi; se poi quel tempo lo passavo con delle mie amiche o mio fratello, il risultato non poteva che essere un pomeriggio perfetto.
Mi portai i capelli su una spalla da un lato, dando un'altra occhiata alla piovosa giornata di Londra attraverso una delle grandi finestre che caratterizzavano gli alti muri dell'aeroporto. A compensare il maltempo, almeno, erano i miei parenti; il fratello di mia madre era divertente, il solito tipo che ama scherzare con tutti e in ogni momento, mentre i cugini erano simpatici e cercavano di tenermi sempre su di morale, abituati ormai all'atmosfera pesante e triste che si respirava nella famosa capitale.
In quell'istante, a dividermi dalla mia adorata città, rimanevano solo circa undici ore e mezza, facendomi cadere in uno stato di ansia, non vedendo l'ora di rivedere casa mia e - soprattutto - il mio amato letto, su cui avrei passato i giorni antecedenti alla scuola mangiando cibo spazzatura e guardando serie tv al computer.
Di fronte a me, prima di giungere al metal detector, c'erano i miei genitori e Jason. Mia madre, Emily Baker, era una persona stupenda, la cosiddetta donna perfetta: era dolce e gentile, simpatica e divertente, ma seria al momento giusto; sapeva ascoltare e conosceva sempre ciò di cui avevamo bisogno, che si trattasse di qualcosa di materiale o astratto. I suoi capelli erano di un castano scuro come i miei, che contornavano un viso illuminato da un paio di occhi azzurri come il cielo. Poi c'era mio padre, James Walker, un uomo d'affari che viaggiava abbastanza spesso per il mondo a causa del suo lavoro; dopo che ero nata io, però, aveva chiesto all'azienda di poter ridurre i suoi viaggi, riducendone il numero a due - massimo tre - all'anno. Era una persona gentile e determinata, oltre che ambiziosa e sempre sorridente, con un'ottima capacità per l'oratoria. I suoi capelli rossi lo caratterizzavano come uno dei pochi esseri umani ad avere quella particolare e unica caratteristica, rendendolo ancora più raro di qualsiasi altro.
E infine c'era...
"Crystal?" Mi chiamò a un certo punto mio fratello maggiore, Jason Walker, voltandosi verso di me. "La mamma ha chiesto se hai tutto."
Jason era un ragazzo di circa ventidue anni - cinque in più di me -, con i capelli biondi come il grano maturo e fini come fili di seta; gli occhi erano azzurri, esattamente come quelli di mia madre, forse un po' più luminosi. Io, per quanto riguardava il punto di vista del colore degli occhi, ero abbastanza particolare: le mie iridi infatti erano di un marrone talmente scuro da sembrare quasi nero, confondendosi con le pupille. Mi ero sempre domandata come mai i miei occhi fossero di quel colore, dato che mia madre ce li aveva azzurri e mio padre pure; ma dopo varie lezioni di biologia su Mendel e i suoi maledettissimi incroci, mi ero arresa al fatto che - con molta probabilità - erano solo una caratteristica nascosta in uno dei miei genitori.
"Sì, ho tutto." Risposi a mio fratello, sentendo poi una persona urtarmi e farmi quasi cadere a terra.
"Oh, scusa." La voce proveniva da colui che mi era finito addosso, dal quale sentii un paio di mani poggiarsi sulle mie spalle per rimanere in piedi, un gesto per tutti istintivo. "Mi hanno spinto, non volevo."
Mi voltai verso il ragazzo - avevo sentito una voce maschile e giovanile - per guardare in faccia almeno chi aveva rischiato di farmi cadere per terra. Avrà avuto più o meno la mia età, al massimo un anno in più; i capelli biondi e folti incorniciavano un viso dagli zigomi aspri e spigolosi, ma nel complesso i lineamenti erano dolci e rassicuranti. Ciò che mi colpì di più, però, furono gli occhi, che erano di due colori diversi: uno era di un verde chiaro simile al vetro colorato, mentre l'altro era di un azzurro limpido talmente chiaro da sembrare ghiaccio, che tuttavia emanava calore al posto di freddezza.
"Non ti preoccupare, sto bene." Tentai di rassicurarlo, rivolgendogli un sorriso per dirgli che stavo bene; le relazioni con le persone non erano mai state il mio forte, ero più il tipo che preferiva una sabato sera distesa sul letto con un buon libro, al posto di una festa scatenata circondata da amici. Eppure lui sembrava avere qualcosa in più rispetto agli altri, un fattore calmante che riusciva a tranquillizzarti e a invogliarti a conoscerlo.
Il ragazzo ricambiò il mio sorriso; era bello di aspetto e sicuramente anche molto gentile. Mi girai immediatamente quando mi accorsi di avere il sangue che era affluito al viso, quasi bollente sotto il tocco della mia mano.
Dopo aver finalmente fatto tutti i controlli necessari e aver preso la navetta, riuscimmo a salire sull'aereo, ognuno al proprio posto; nonostante molte persone si sedessero in sedili diversi da quelli assegnati, io e la mia famiglia ci accomodammo in quelli che erano stati scritti sul biglietto del volo. Recuperai un libro dal mio zaino prima di riporlo sopra al mio posto, preparandomi così alla noia delle successive ore di volo. Lanciai un'ultima occhiata fuori dal finestrino prima di concentrarmi completamente sulla lettura, guardando quelle nuvole poco invitanti e rassicuranti che mi avevano accompagnata per tutto il mio soggiorno dai miei familiari, come un angelo di mala sorte. Feci un piccolo sorriso malinconico, sapendo che mi sarebbe mancata lo stesso, salutandola poi per la volta definitiva.
Londra, la città dalle mille sfumature.
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Experiment - The Island ||IN REVISIONE||
Science FictionCrystal Walker è una normale ragazza di diciassette anni di ritorno da una vacanza a Londra a casa di parenti inglesi, quando incontra all'aeroporto Jonathan Davis, un ragazzo di un anno più grande. Entrambi di Los Angeles, si ritroveranno sullo ste...