Chapter 24

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Verso il tardo pomeriggio, finalmente, il treno si fermò a una stazione ferroviaria, che era grande il doppio di quella in cui eravamo stati il giorno precedente, composta da un metallo molto resistente. Io e Jonathan ci rimettemmo le giacche, scendendo successivamente dal vagone ed entrando senza farci notare nell'edificio. L'interno era identico a quello dell'altra stazione, tranne per un paio di particolari: il bianco delle pareti era accecante in egual modo, ma l'ampio spazio offriva non solo uno, ma ben tre bar, insieme ad almeno due ristoranti e un fastfood.

"Che cosa se ne fanno di tre bar e due ristoranti?" Domandai a Jonathan a bassa voce, mentre lui aggrottava la fronte confuso.

"In teoria è perché ci dovrebbe essere molta gente, ma qua non c'è quasi nessuno."

E aveva ragione. Oltre ai dipendenti dietro ai banconi, alle casse e le guardie di sicurezza, non c'era molta gente, soprattutto a confronto con quella che c'era nella stazione precedente, che come minimo erano il quadruplo di più.

"Forse là era l'ora di punta, mentre qua è un momento tranquillo." Supposi, nonostante lui non fosse molto d'accordo con me.

"Sediamoci e troviamo una soluzione." Disse Jonathan, afferrandomi la mano e portandomi verso una delle panchine poste per tutta la stazione, probabilmente per coloro che dovevano aspettare il proprio treno e arrivavano con un ampio anticipo. Nel frattempo che ci accomodavamo, percepii come uno strano formicolio sulla nuca, che mi fece alzare lo sguardo di scatto; di fronte a noi, dall'altra parte, c'era una donna seduta al bar. Aveva dei lunghi capelli rossi e mossi, un paio di occhiali da sole che le coprivano quasi tutta la faccia e un tailleur scuro. Aveva qualcosa di familiare, eppure ero certa di non averla mai vista prima. Stava bevendo un caffè - o almeno, credevo fosse caffè, non riuscivo a esserne certa da quella distanza - mentre leggeva qualcosa sul suo cellulare.

"Facciamo il punto della situazione:" Cominciò Jonathan, per questo decisi di lasciar perdere la donna e di concentrarmi invece sul ragazzo al mio fianco. "Siamo su un'isola chissà dove nell'Oceano Pacifico. La moneta corrente qua è il silvercoin, mentre noi abbiamo solo sterline o dollari, senza avere in mente un posto dove poterli cambiare." Nel frattempo che elencava, sollevava le dita della mano, come se volesse contare le difficoltà che stavamo avendo. "Non sappiamo dove andare, né che cosa fare." Fece una pausa, inspirando ed espirando molto profondamente. "Almeno abbiamo cibo, acqua e vestiti." Sforzò un sorriso, tentando di tenere entrambi su con il morale. Ricambiai, afferrandogli una mano per stringerla, come a infondergli coraggio. Dopo qualche secondo, Jonathan incrociò le sue dita come mie, lasciandomi un leggero bacio sulle labbra. Non provavo più quella strana sensazione di disagio e di aver sbagliato qualcosa, ma essa era invece stata sostituita da un forte bisogno. Percepivo la strana necessità di averlo vicino, sentire il suo calore, sapere di poter contare su di lui in qualsiasi momento, una parte mancante che finalmente ero riuscita a ritrovare. Mentirei se dicessi che questi sentimenti non mi facevano sentire un'ipocrita. Mi stavo lasciando andare solamente perché avevamo trovato delle altre persone, e la paura di perderlo, che lui si innamorasse di un'altra ragazza che non fossi io, mi faceva perdere alcuni battiti del cuore e rabbrividire fin nelle ossa.

Jonathan tentò di dirmi qualcosa, ma non lo stavo più ascoltando; stavo guardando la donna seduta al bar, che ci stava fissando in mondo insistente.

"Crystal, va tutto bene?" Mi chiese lui, quando notò che non stavo seguendo il suo discorso. "Sei diventata pallida all'improvviso, che cosa ti è successo?"

"Ci sta fissando." Sussurrai, rendendomi a malapena conto delle parole che erano appena uscite dalla mia bocca. Mi voltai verso di lui, leggendo sul suo viso la confusione che brillava nell'occhio azzurro ghiaccio e in quello verde brillante. Quando mi girai di nuovo verso la misteriosa donna, trattenni il respiro, portandomi le mani al petto.

Era sparita.

"Ma di chi stai parlando, scusa?" Domandò Jonathan sempre più preoccupato, avvicinando la sua faccia alla mia e circondandomi le spalle con un braccio.

Scossi la testa, mentre lui continuava a spostare il suo sguardo da me al bar di fronte a noi.

"Ero sicura che ci fosse una donna là." Gli risposi, dirigendo il corpo e il viso verso il ragazzo, continuando a scuotere la testa incredula. "Ci stava fissando incessantemente, non distoglieva lo sguardo neanche per un secondo." Finalmente alzai gli occhi, incontrando così i suoi; stavano cercando la verità, oltre a un modo per non farmi sentire pazza. "Aveva i capelli lunghi e rossi, vestita di scuro, mi sembrava quasi di conoscerla; eppure giurerei di non averla mai incontrata prima di adesso." Esposi tutti i miei dubbi, mentre Jonathan mi ascoltava attento, annuendo per farmi capire che stava capendo tutto. Portai i capelli sulla spalla sinistra, facendo vagare in giro per un attimo lo sguardo. Mi avvolsi con le braccia, stringendo forte come per farmi coraggio; chiunque avesse ascoltato una conversazione del genere mi avrebbe dato per matta.

Ma non Jonathan.

Mi prese il viso tra le mani, mi stampò un bacio sulla fronte per poi poggiarci contro la sua, e mi sussurrò: "Va bene, ti credo. Ma ora basta pensarci, magari è stata solo una coincidenza, oppure, dato che siamo due facce nuove, si sarà chiesta chi siamo." Provò a rassicurarmi, mentre le sue labbra si allargavano in un sorriso dolce e tenero. "Dato che non abbiamo trovato molte persone fino a ora, magari sono solo una piccola popolazione e si conoscono tutti di vista."

Si alzò in piedi, porgendomi una mano che io afferrai subito, accettando il suo muto invito a uscire da quel posto candido. Tentai di togliermi dalla testa quella donna, eppure avrei giurato che stesse guardando proprio noi, come se ci conoscesse da una vita e ci avesse appena riconosciuto.

Uscimmo dalla stazione, trovandoci faccia a faccia con uno spettacolo incredibile: davanti ai nostri occhi si estendeva il più grande schema di metallo e vetro che io avessi mai visto in vita mia, sembrava quasi che anche il cielo non fosse altro che un enorme specchio. Le strade erano linde e compatte, brulicanti di gente che faceva avanti e indietro, chi con più calma e chi invece con una certa fretta. Un arco di trionfo, simile a quello della famosa capitale francese, si alzava imponente di fronte a noi, affiancato da un enorme cartello - alto circa la metà - che riportava la scritta: 'Benvenuti a Wilson City, la vostra città'. In quell'esatto momento ci rendemmo conto che, l'isola che fino a poco tempo fa credevamo deserta, era, in realtà, popolata da altra gente, e non erano solo umanoidi che volevano ucciderci.

Experiment - The Island ||IN REVISIONE||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora