Mi sedetti sulla parete opposta a dove c'era l'apertura, portandomi le gambe al petto e avvolgendole strette con le braccia; non sapevamo né quando né dove saremmo arrivati, non ci restava altro che aspettare di giungere a destinazione. Qualsiasi essa sia. Jonathan si era sistemato sulla parete a destra rispetto a dove mi trovavo io, sedendosi con le gambe distese di fronte a sé e la testa appoggiata contro la parete, guardando il soffitto del vagone.
"Dove finiremo?" Domandai a nessuno in particolare, consapevole del fatto che ci fosse solo una persona lì con me.
"A Utopia." Rispose lui, cogliendomi di sorpresa. Quando avevo posto quella domanda ad alta voce non mi ero di certo aspettata di ricevere una risposta, e invece mi aveva stupita con la convinzione con cui aveva pronunciato quelle semplici parole. Mi spostai leggermente, ma dai miei gesti si riusciva a intuire lo strano disagio che mi aveva avvolta.
"Come fai a esserne così sicuro?" Gli chiesi, cercando di trovare una risposta a quella domanda.
"Quando abbiamo guardato le possibili destinazioni da prendere," Cominciò a spiegare, tenendo lo sguardo fuori. "C'era scritto che il treno passeggeri per Utopia era diretto a ovest, mentre quello per Wilson City e Laboratory era diretto a est." Non si voltò nemmeno per un attimo, come se fosse disgustato solo vedendomi. Mi si strinse il cuore in una morsa dolorosa, qualcuno l'aveva afferrato con degli artigli lunghi e taglienti, stringendolo e ferendolo allo stesso tempo.
"Quindi, deduco che questo treno sia diretto ad ovest." Dissi alla fine, posizionandomi a gambe incrociate. Una sensazione di nausea mi portò a sistemarmi in modo più comodo, poggiando la testa e la schiena contro il muro.
"Indovinato genietto." Ribatté lui, come se mi stesse deridendo, prendendo in giro, spostando lo sguardo fuori.
Lasciai cadere la questione, decidendo di aspettare un paio di minuti le sue scuse per quel comportamento alquanto infantile; ma in cambio ricevetti solo un silenzio assordante. Alla fine trovai il coraggio e gli domandai: "Si può sapere che ti prende?"
All'inizio Jonathan non rispose, ma dopo qualche secondo disse: "Che cosa intendi dire?"
"Ti sei appena comportato in malo modo con me." Gli spiegai, mettendogli di fronte ciò che mi stava dando fastidio di lui in quel momento. "Mi hai preso in giro, non mi guardi nemmeno, hai quasi l'aria di uno che si crede al di sopra degli altri." Non potei trattenermi, non riuscivo a darmi nemmeno una piccola spiegazione del motivo per cui dovesse fare determinate azioni o dare specifiche risposte. Finalmente si voltò verso di me, l'occhio azzurro emanava un gelo pungente, mentre quello verde era spento, come se stesse perdendo la luminosità che lo caratterizzava.
"Tutti possono avere delle giornate no, o sbaglio?" Ribatté stizzito, seccato, portando le braccia incrociate al petto. "Non possiamo mica essere tutti sempre ottimisti, in fondo siamo su un'isola a noi sconosciuta, non sappiamo se torneremo mai a casa - anche se è molto probabile di no -, tu hai perso la tua famiglia e io probabilmente non avrò nemmeno la possibilità di rivederla la mia. Abbiamo rischiato di morire non solo a causa dello schianto, ma anche per la fame e per la sete perché avevamo pochi viveri. E adesso siamo su un treno, diretti verso un posto di cui non abbiamo neanche la minima idea di come sia, o come possano accoglierci chi vive lì." Fece una pausa per riprendere fiato, passandosi velocemente una mano tra i capelli e riportando lo sguardo fuori. "Quindi, mi dispiace se come mi sono comportato ti ha ferita in qualche modo, ma oggi non è giornata. Detto questo, chiudiamo il discorso qui."
Decisi di seguire ciò che aveva detto e non proferii più parola, rimanendo in silenzio a guardare fuori, sbattendo velocemente gli occhi e trattenendo le lacrime. Volevo gridare e piangere, liberarmi dell'oppressione che mi avvolgeva, ma Jonathan molto probabilmente non mi avrebbe consolata come sempre quel giorno, anzi, avrebbe lasciato che i singhiozzi mi scuotessero il corpo senza farci troppo caso, continuando a guardare verso l'esterno.
Passammo tutto il pomeriggio in silenzio, fin quando piano piano calò pure la notte, e con essa arrivò anche la stanchezza, nonostante ce ne fosse gran poca. Con muta concordanza, decidemmo di saltare la cena, tanto la fame era ancora meno della stanchezza. Ci distendemmo dove poco prima eravamo seduti, non azzardandoci nemmeno ad avvicinarci. Non riuscivo quasi a muovermi, la paura mi bloccava fin nelle ossa. Jonathan sembrava molto più freddo quel giorno, distante, come se volesse prendersi i suoi spazi, lasciandomi totalmente fuori da ciò che lo riguardava. Chiusi gli occhi, ma ci misi un bel po' prima di addormentarmi: da sempre impiegavo maggior tempo per cadere nel mondo dei sogni, vivendo una sorta di dormiveglia che mi faceva captare sensazioni e suoni intorno a me che spesso mi riportavano alla realtà, ma quella notte a impegnarmi la mente prima di dormire c'era anche il pensiero di Jonathan. Avrei voluto saper leggergli nella mente, capire che cosa stesse provando, tentare di risolvere quel dubbio che mi assaliva fino a penetrarmi come una lama nelle budella. In poche parole volevo sentirmi di nuovo 'felice', un termine difficile da comprendere sempre, che si capisce fino in fondo solo quando lo si sta percependo realmente. Mi dava abbastanza fastidio non potergli parlare liberamente come facevo prima, e questo dal momento in cui c'era stato quel bacio; uno stupido cambio affettivo che aveva portato alla rottura di un legame che si stava ancora sviluppando. Se solo avessi potuto tornare indietro nel tempo e cancellare quell'istante, l'avrei fatto, se ciò avesse riportato tutto a com'era precedentemente. Eppure non ne ero totalmente sicura: sentire le sue labbra contro le mie era stata una sensazione fantastica, quasi paradisiaca, mentre le sue braccia intorno a me erano una protezione contro il mondo esterno che stava minacciando di schiacciarci e ucciderci. Il contatto che c'era stato poi, nel momento in cui dovevamo cambiarci gli abiti, e il suo sguardo sul mio corpo, come quello di chi sta esplorando meravigliato una scoperta appena fatta, erano stati qualcosa d'indescrivibile.
Mi voltai nella sua direzione, cercando il suo sguardo, ma lui stava già dormendo profondamente. Scossi la testa con le lacrime agli occhi e un pugnale nel cuore, chiudendo gli occhi e tentando di prendere sonno.
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Experiment - The Island ||IN REVISIONE||
Bilim KurguCrystal Walker è una normale ragazza di diciassette anni di ritorno da una vacanza a Londra a casa di parenti inglesi, quando incontra all'aeroporto Jonathan Davis, un ragazzo di un anno più grande. Entrambi di Los Angeles, si ritroveranno sullo ste...