|Chapter 11|

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Mi svegliai e aprii gli occhi lentamente, con i raggi del sole che trasparivano dagli spifferi. Ci misi qualche secondo prima di alzarmi, sembrava quasi che il mio corpo non volesse staccarsi dalla candida e serena sensazione che provavo tra le braccia di Jonathan.

"Avanti dormiglione, muoviamoci." Gli scossi il corpo, alzandomi in piedi e stiracchiandomi nel frattempo che lui emetteva un verso simile a un grugnito. "Sai che non possiamo stare qui a poltrire, dobbiamo muoverci e cercare altro cibo e acqua; ci sono rimaste solo tre barrette e una bottiglia e mezzo di aranciata." Gli ricordai, facendo un mezzo sorriso.

"E va bene, adesso mi alzo; certo che a volte sei proprio una rompiscatole." Scherzò, alzandosi finalmente in piedi e stropicciandosi gli occhi.

"Allora vuol dire che mi terrò io tutte le merendine." Dissi facendo la finta offesa e agguantando gli zaini, per poi uscire marciando dalla piccola casupola in cui eravamo.

"Hey, aspettami!" Mi richiamò Jonathan, raggiungendomi fuori e afferrandomi per un braccio, facendomi voltare nella sua direzione. "Ho bisogno di mangiare e bere anch'io, non prenderti tutto il cibo e l'aranciata."

Scoppiammo entrambi a ridere, cominciando a incamminarci e sperando di trovare una possibile risorsa riguardante i viveri.

"Mi spieghi perché stiamo continuando a spostarci? Se abbiamo un posto in cui poter dormire perché dovremmo andarcene?" Gli domandai, stringendomi le braccia al petto e cercando di non pensare al freddo che cominciava ad attraversarmi come mille pungiglioni; nonostante il sole fosse già sorto e fossimo ancora in estate, sembrava di vivere una gelida giornata d'inverno. Per fortuna, dato che a Londra la temperatura non era stata troppo elevata, indossavo i pantaloni lunghi e una maglietta a maniche lunghe, senza contare la felpa che mi aveva prestato Jonathan due giorni prima.

"Hai ancora freddo?" Mi chiese lui, guardandomi leggermente preoccupato.

"Stai tranquillo, piuttosto mi preoccuperei per te. Non hai freddo?" Ribattei, portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

"Non preoccuparti, sopravviverò." Tentò di tranquillizzarmi lui.

"Rivuoi la felpa?" Mi fermai, portando le mani sull'orlo dell'indumento e cominciando a sfilarmelo da sopra la testa.

"No, tienila tu." Mi bloccò Jonathan, abbassandomi le braccia lungo i fianchi e sistemandomi la felpa addosso. "Ne hai più bisogno."

Lo ringraziai con le guance in fiamme, mentre tentavo di nascondere il viso e ricominciavamo a camminare.

"Comunque, grazie per ieri sera." Abbozzai un sorriso, riportando le braccia incrociate di fronte al petto.

"E per cosa?" Mi chiese confuso, guardandomi con un sopracciglio alzato.

"Per aver parlato dei miei genitori e di mio fratello al presente, senza che io te lo chiedessi. Grazie." Specificai, mentre dalle sue labbra scappava una piccola risatina.

"Non hai bisogno di ringraziarmi, anzi dovrei essere io a ringraziare te." Replicò rivolgendomi un sorriso smagliante e, riuscii a malapena a percepirlo, con un pizzico d'imbarazzo. "Non ci conosciamo, siamo praticamente degli sconosciuti quasi, eppure hai voluto aiutarmi a stare meglio."

"L'ho fatto perché sentivo di doverlo fare e perché tu hai fatto lo stesso con me." Gli risposi scuotendo la testa. "Nessuno merita ciò che è successo a noi." Ci fu una pausa di silenzio che venne colmata solamente dai suoni intorno a noi: il cinguettio di alcuni uccellini e le foglie mosse dal vento. "Perché non ci conosciamo meglio?" Dissi all'improvviso, rompendo quel sottile strato di silenzio.

"Cosa intendi?" Mi domandò Jonathan, increspando confuso le sopracciglia.

"L'hai detto tu, siamo praticamente degli sconosciuti; perché non ci conosciamo meglio allora?" Proposi, ricevendo un sorriso divertito da parte sua. "Così possiamo continuare quel minimo di rapporto che si stava formando sull'aereo."

"Ci sto."

"Ad esempio: qual è il tuo colore preferito?" Domandai, cominciando io con i quesiti.

"Il verde. Mi rilassa un sacco quando lo guardo, mi fa stare bene e mi aiuta a concentrarmi." Mi rispose, guardando per un attimo il cielo. "E il tuo qual è?"

"Il blu." Risposi subito senza neanche pensarci, mentre lui stava ancora facendo la domanda. "Adoro il mare è come una seconda casa per me; amo soprattutto il blu quello né troppo scuro e né troppo chiaro, quella via di mezzo che assomiglia al colore del mare in inverno." Adoravo il modo in cui Jonathan mi ascoltava, prestando attenzione alle mie parole in un modo che mi faceva sentire quasi importante. "Il mio sport preferito infatti è il nuoto." Aggiunsi, raccogliendo un paio di bastoncini che riuscii a intravedere per terra tra i ciuffi d'erba, trovandoli perfetti per quando avremmo acceso il fuoco quella sera.

"Il mio è la pallavolo." Disse Jonathan infilando le mani in tasca, probabilmente per scaldarle un po'.

"Mi piace sia il gioco di squadra che ci deve essere sia gli schemi che vengono appresi nelle formazioni, soprattutto quelli che servono per aiutare chi non è molto bravo." Spiegò, sembrando un pochettino in imbarazzo. "Mi piacerebbe fare l'allenatore di pallavolo un giorno."

"Non è una cattiva idea." Tentai di tranquillizzarlo, provando a farlo sentire più a suo agio.

"Scusa, posso farti una domanda?" Mi chiese lui a un certo punto, mentre io annuivo in risposta. "Sembravi un po' chiusa inizialmente sull'aereo. Anche se dopo abbiamo parlato normalmente e ci siamo anche divertiti, non sembravi intenzionata subito ad aprirti. Come mai adesso lo stai facendo?"

"Siamo bloccati su un'isola sperduta chissà dove nell'oceano, con possibili esseri umanoidi che ci vogliono uccidere. Tu che dici? Essere riservata ti pare una soluzione adeguata?" Scoppiammo di nuovo entrambi a ridere, tuttavia riuscii a capire nel suo sguardo che aveva compreso il motivo di quell'apertura con lui: non avrebbe avuto senso rimanere come due persone completamente estranee, dovevamo unirci per cercare di sopravvivere, o almeno, per avere una piccola opportunità di farlo.

"Quanti anni hai?" Gli domandai, tentando di cambiare discorso. "È una cosa che sinceramente mi sto domandando da quando ti ho incontrato."

Fece una piccola risata divertita, per poi rispondermi con: "Ho diciott'anni, tu?"

"Diciassette, diciotto a marzo dell'anno prossimo." Risposi, rimanendo contagiata dalla sua risata.

"Piccolina eh?" Scherzò lui, continuando a ridere.

"Piccolina lo dici a qualcun altro, non a me." Feci la finta offesa, dandogli una pacca sul braccio.

"Sarai piccola ma picchi duro." Continuò a scherzare, cercando di provocarmi ulteriormente.

"Ho solo un anno in meno di te!" Esclamai, scuotendo la testa e alzando gli occhi al cielo.

Passammo il resto del tempo così, chiacchierando e scherzando come se fossimo una vecchia coppia di amici che si conosceva da anni. Non era un cattivo ragazzo - non avevo mai sospettato il contrario -, ma parlarci e scoprire lati di lui normalissimi rendeva tutta quella situazione meno tragica, facendomi sentire di nuovo come una qualunque ragazza di diciassette anni.

Experiment - The Island ||IN REVISIONE||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora