Camminammo per altre due ore, senza proferire parola; non dispiacque a nessuno dei due, dato che non avevamo proprio la minima voglia di parlare - almeno questo valeva per me -. Ci rivolgemmo qualche frase solo quando trovammo l'ennesima casupola; domanda e risposta sulla questione del riposare lì per la notte oppure no, ma niente di più. Concordammo inoltre sulla decisione di non mangiare nulla; avevo lo stomaco chiuso, e a quanto pare Jonathan aveva più o meno lo stesso motivo. Gli Homi, quegli strani esseri, diventavano sempre più evoluti ogni volta che li incontravamo, era come se si stessero evolvendo in esseri umani. Eppure non provavo quasi nessun risentimento dopo averli uccisi, anzi, percepivo una sorta di adrenalina che mi spingeva a continuare, come se mi stesse sussurrano che era giusto, che loro erano cattivi e io il buono che doveva sconfiggerli.
Ero diventata psicopatica?
Una volta avevo letto su una rivista di psicologia che uno psicopatico, un forte caso di malattia mentale, non provava rimorso nel compiere azioni sbagliate come uccidere o rubare, ma sentiva invece un forte impulso di devianza, ovvero d'infrangere qualsiasi tipo di legge o regola, dalla più banale alla più grave.
Scossi la testa, rendendomi conto da sola di quanto fosse ridicola quell'ipotesi: il solo pensiero di poter uccidere Jonathan mi attorcigliava lo stomaco, facendomi quasi vomitare, mentre i sensi di colpa facevano il loro lavoro, corrodendomi come acido. E allora che cos'avevo? E soprattutto, dove avevo imparato a combattere così?
Precedentemente non ci avevo fatto molto caso, ma avevo notato che il bastone che avevo usato per proteggermi era stato come un'estensione del mio braccio, potevo usarlo a mio piacimento, in modo fluido e agile. In vita mia non avevo mai imparato né scherma, né tantomeno come si teneva in mano una spada, figuriamoci usare un bastone come tale.
"Che cosa ti fa più paura?" Gli chiesi ad un certo punto, rialzando il viso. Non ce la facevo più, avevo come avuto un riflesso improvviso. Avevo bisogno di sentire la sua voce, il conforto e la rassicurazione che mi trasmetteva con ogni sua parola; oltre al suo calore, dato che mi trovavo contro la parete opposta alla sua.
"Cosa?" Ribatté lui, alzando appena lo sguardo sorpreso su di me. Di sicuro non si aspettava che avrei cercato d'iniziare una conversazione, figuriamoci porgli un domanda del genere.
"Che cosa ti fa più paura?" Ripetei, raccogliendo tutto il coraggio che avevo per alzarmi, percorrere la piccola casupola e sedermi accanto a lui, sperando che non si scansasse. Non lo fece. "Io ad esempio ho paura che non ce la faremo, che rimarremo qua e moriremo su quest'isola del cavolo." Non gli dissi subito del mio timore riguardo all'assenza dei miei sensi di colpa quando avevo ucciso gli Homi, decisi di aspettare per quello.
"Non saprei dare una risposta definitiva." Mi rispose alla fine, guardandomi negli occhi; i suoi erano lucidi, come se fosse sul punto di scoppiare a piangere. E probabilmente era così. Gli presi una mano tra le mie, stringendola per dargli conforto, poggiando successivamente la testa sulla sua spalla. "Ma credo che il momento in cui ho avuto più paura è stato quando ho creduto che saresti potuta morire."
Alzai il viso verso di lui, trovando le sue labbra a pochi centimetri dalle mie. I brividi cominciarono a percorrermi la schiena, utilizzando il sistema nervoso come passaggio. Sentii le guance avvampare, mentre il cuore si fermava per quella che parve un'eternità. Ero come sospesa tra la vita e la morte: ero lì, ne ero consapevole, perché riuscivo a sentire il calore del suo corpo e quello emanato dal fuoco, oltre alla vicinanza del suo volto; ma allo stesso tempo mi mancava il respiro, i polmoni erano completamente vuoti e sentivo il corpo più leggero.
"Non si sa come, ma sono sopravvissuta." Tentai di rassicurarlo, lasciandogli andare la mano e posizionandomi sul fianco sinistro. Purtroppo persi l'equilibrio a causa della strana situazione, finendo con una gamba in mezzo alle sue e la mano destra sul suo petto, mentre Jonathan mi afferrava le braccia per cercare di sorreggermi.
"Scusa." Dissi, limitandomi a guardarlo negli occhi, due gemme che brillavano in un viso dolce e duro, pieno di gentilezza e fascino. Non spostai né la mano né la gamba, desiderando di poter rimanere per sempre in quella posizione, bloccando il tempo e incorniciando quel momento, in modo che potesse rimanere senza essere usurato dal tempo. Vidi avvicinarsi lentamente il viso di Jonathan, notando come le mie labbra stessero reclamando a gran voce le sue. Si sfiorarono dopo qualche secondo, un tocco leggero, ma carico di una tale carica elettrica da poter fulminare una persona. Abbassai la testa istintivamente, chiedendomi se effettivamente fosse la cosa giusta: sentivo una strana attrazione verso di lui, la carica positiva che veniva chiamata a gran voce dalla sua anima gemella, la carica negativa. Guardai la mano che avevo sul suo petto, per poi passare al suo addome e andare sempre più giù con lo sguardo, osservando il mio piede in mezzo ai suoi, preceduto dalle nostre gambe intrecciate. Mille pensieri mi passarono per la mente in quel momento: la sua bocca incastrata con la mia in una danza travolgente, le sue mani che scorrevano sul mio corpo, tocchi forti e sicuri sopra ai vestiti, insicuri e leggeri sulla pelle fragile.
Tuttavia mi sentivo come se fosse qualcosa di sbagliato, perché percepivo uno strano vuoto alla bocca dello stomaco, gelido e profondo. Mi pentii della decisione che presi, dato che le mie labbra urlavano desiderose di provare la sua bocca contro la mia, e il mio cuore aveva ricominciato a battere, voglioso di approfondire quel tocco pieno di calore, che per un attimo mi aveva fatto dimenticare del freddo che riusciva a insinuarsi anche tra le fiamme del fuoco.
"Sarà meglio dormire ora." Lo avvisai, poggiando la testa sulla sua spalla. "Buonanotte Jonathan."
"Buonanotte Crystal." Mi diede un bacio tra i capelli, appoggiandovi successivamente la guancia sopra. Sentivo uno strano tono nella sua voce, probabilmente delusione o amarezza.
Ingoiai il groppo che mi si era formato in gola, cercando di dormire, evitando di pensare alla sensazione paradisiaca che avevo appena provato, in mezzo all'inferno silenzioso che ci circondava.
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Experiment - The Island ||IN REVISIONE||
Science FictionCrystal Walker è una normale ragazza di diciassette anni di ritorno da una vacanza a Londra a casa di parenti inglesi, quando incontra all'aeroporto Jonathan Davis, un ragazzo di un anno più grande. Entrambi di Los Angeles, si ritroveranno sullo ste...