CAPITOLO 3

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Non facevo più sonnellini, Mussolini. I miei occhi rimanevano aperti, come saracinesche all'ombra. D'iprovviso, senza che me lo aspettassi minimante, neanche da lontano, il vento dell'ovest condusse a me quell'unità nella sua interezza. Dacché gli chiesi svampita "Chi sei, insomma!" Lui con la sua voce calda e rotonda mi rispose il nome: Scitiun e io con destriero mi imposi "Ti chiamerò Sciscì". Adoravo andare sulla neve.
"Sono stato incaricato dall'Ursus Anversa di scortarti lungo questo scroto sudato"
"Perché sono qui? Che ci faccio qui? Come mai sono qui? Spiegami perché sono qui, dimmelo"
"Tempo porti tempo a chi non ha tempo di avere tempo perché tempo è chi tempo fa. Tutto a suo tempo." Mi ascese, flemme, come un carro attrezzi, sentivo i suoi occhi a mandorla snocciolarsi e i capelli mancanti lasciavano posto a un'assai forte aggroviglio.
Iniziò il nostro cammino all'interno di questo monastico monastero muto. Osservavo case, casette e staccionate, guardavo incuriosita tutto ciò e tutti guardavano curiositi me. Era forse qui che il mio destino mi aveva portato? Era questa l'ultima fermata del mio treno? Qui avrei avrei conosciuto il bidet per la prima volta? Troppe domande, troppi pensieri, una sola gamba. Sciscì e io ci fermammo dormammu davanti la statua di un grande orso bronzeo ignifugo portante una sirenetta sul ginocchio e un cappello di paglia fra le orecchie. Sciscì quasi proncunciò parola, quasi si azzardò, ma come un dardo gli tolsi le parole di bocca e gli ficcai le mie "PRIMA CHE TE LO DIMENTICHI, SONO HUNS, è questo il mio nome, non dimenticare".
Lui sorrise, sembro sorridere con i denti. Per un attimo mi affezionai al suo canino, anche se di solito preferivo i molari. Era da tanto che non provavo questa sensazione, un brivido lungo la mia topa. "Come ti stavo dicendo" disse lui "quest'orso è il simbolo del nostro monastero, in tempi antichissimi lottò sconfiggendo il male grazie all'aiuto di una bellissima donna pesce, La Signora, come la chiamiamo noi." Chiesi infilandomi un dito nel naso per fargli capire che non scherzavo "È Jilian il capo?" "No!" Sbottò sbottonandosi. "Lui è solo il braccio destro del Lord Monastero, il lord del monastero, come noi lo chiamiamo. La sua ubicazione è ubicata tra le cosce del monte, dentro quel tempio ungaro. A nessuno è permesso entrare lì." "Non mi interessa quello che dici, noia. Parli parli e non agisci, mi usi e regredisci. Non tergiversare, che ci faccio io qui, quo, qua?" Lui feci per rispondermi "vorrei potertelo riferire ma..." e fu interrotto da un ronzio zzzzzzzzzzzzz. Mi voltai, volendomi voltare, per osservare quel che io credevo un calabrone, ma era quel pezzo di mistico dell'ursus Anversa. Mi trasmetteva inquinamento, non mi fidavo di lui, ma dopotutto, non mi fidavo di più dei mammiferi. L'Ursus esordì "Gambero primario, qui il tuo ruolo si interrompe, la signorina viene con me" e dopo quelle parole ce ne andammo. Chissà verso dove, chissà perché, ma sopratutto dove è il Nord?

Dalla vetta ho visto l'infinitoWhere stories live. Discover now