CAPITOLO 1

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La notte era luminosa, buia e piena di iguane. Umida. A tratti ionica. Era la classica sera da caffè latte e libro. Io non bevevo più, non traevo più piacere ne dal cibo ne dall'aloe vera. Ero lì a guardare il panorama babilonese, e riflessi: mi ero dimenticata di chiedere informazioni per tornare a casa. Perché mi ero dimenticata di chiedere informazioni per tornare a casa? Ero persa, perduta, la mia unica caviglia addolorata. Le mie mani fredde e sgocciolanti, insomma, un vero pastrocchio. I giorni passavano sorabili e le notti, come pappataci punzecchiavano ad ogni mio rintocco. Passarono 7 giorni e 3 notti, i pomeriggi solo i giorni dispari. Al limite delle forze, con fare prosperoso come i miei seni, mi accasciai sul morbido ma duro pavimento di gommapiuma e caucciù. "Oh mi sto accasciando sul morbido ma duro pavimento di gommapiuma e caucciù. U. u.". Svenni.

Rinvenni aprendo gli occhi in maniera alternata mentre un'unità mi trascinava dalla mia unica caviglia per il mondo delle molteplicità.

<<Salom ajnabiy, shirin va nordon tofu kabi>> (ciao straniera, ti piace il tofu in agrodolce) masticò questa lingua a me non conosciuta (sconosciuta) mentre mi lanciava una sostanza dalle forme spigolose, ma non era una spigola. A me comunque piaceva di più l'orata. Dorata. Parlata.

<< Nǐ shuōhuà xiàng vatuzzi gāo hēirén?>> (parli come Vatuzzi altissimi negri?)

Io risposi mostrando un seno <<Bollicine?>>

Lui, che stranezza, non parve attratto dalla mia sfera patheonica sinistra. Eppure era la più invidiata. La destra spesso aveva compensi nefritici al confronto. Sorrise seguitamente, cioè di seguito, alle mie palabras. Uscì uno spara patate, ma non puntò alla mia, bensì mi colpì dritta nel lobo sinestrino azzittendomi, impedendomi quindi di profetare qualsivoglia parola. Caddi come corpo morto cadde. Il mio salvatore era adesso carnefice, e io seppi sempre che d'indifferenza o si muore o si uccide, e spesso a morire è il cattivo.

Dalla vetta ho visto l'infinitoWhere stories live. Discover now