Il giorno seguente Ben si svegliò con molte energie in corpo, si guardo un po' e si accorse di aver dormito scoperto tutta la notte, cosa strana, di solito, a novembre, moriva di freddo e tremava come un cucciolotto impaurito se non aveva le sue coperte. Si strofinò gli occhi con pollice e medio, cosa che le procurò le classiche stelline e poi si grattò con entrambe le mani i capelli facendo versi tipici di uno che si è appena svegliato. Guardò fuori dalla finestra, il cielo era pieno di nuvole nere ma non pioveva, in compenso soffiava un vento forte. Aprì la finestra e si sporse fuori per godersi un po di aria gelida sul volto e tra i suoi capelli rossi. Gli piaceva un sacco la sensazione del vento tra i capelli, gli ricordava l'infanzia: quando aveva quattro anni, Stewe lo portò con sé in montagna durante una delle sue missioni; non poteva portarlo in missione, ma Ben se lo era fatto promettere al suo compleanno da un padre che non aveva saputo dirgli di no e si era solo limitato ad accontentare il figlio.
Stewe aveva dovuto fare i proverbiali salti mortali con i suoi superiori per portarlo con se là sopra e alla fine li aveva convinti, a patto che Ben rimanesse nella base dove avrebbero alloggiato.
Il piccoletto era stato contentissimo, si ricordava ancora le emozioni che si erano mischiate dentro la sua testa, aveva provato gioia, paura, senso d'avventura e molto altro. La base poi gli era sembrata fantastica, si sentiva come se fosse entrato dentro il laboratorio di qualche scienziato malvagio che aveva visto in qualche film. La sua felicità si era spenta quando, per motivi di sicurezza (così dicevano loro), lo avevano rinchiuso in una stanzina con due finestre barrate: sembrava una prigione, con tanto di muri grigi ed un unico e solo letto accanto al bagno.
Ben usciva solo quando era ora di mangiare oppure quando suo padre era alla base a tenerlo d'occhio, ma la maggior parte delle volte stava rinchiuso là dentro per ore a causa di quei dannati motivi di sicurezza.
Un giorno, suo padre, dopo essere tornato da uno dei giri di controllo giornalieri, lo aveva trovato nella sua stanza tutto raggomitolato sul lettino che piangeva, . Gli aveva chiesto il motivo per cui piangeva e Ben aveva finito per vomitargli addosso tutta la sua rabbia e tutte le cose gli facevano e non gli facevano fare in quella dannata base.
Quel giorno nevicava un po' ma non c'era vento ed era abbastanza chiaro fuori nonostante il freddo. Stewe, per far contento il figlio, lo vestì con un giubbotto imbottito tanto da farlo sembrare una palla dalla quale spuntava una piccola testolina con i capelli rossi (quando lo videro gli altri soldati si misero a ridere a crepapelle alla vista di quel pallone da spiaggia). Andarono ad una grandissima porta di ferro e Stewe iniziò ad armeggiare con una pulsantiera posta accanto ad essa. Dopo pochi istanti di smanettamento, la porta si aprì di colpo e Ben venne travolto da un'ondata di aria gelida mista a neve. Le sue guanciotte divennero dello stesso rosso vivo dei suoi capelli per quanto fosse fredda. Stewe dovette prenderlo in braccio perché il piccolo Ben era rimasto bloccato dal giubbotto e calzoni imbottiti e non riusciva a fare nemmeno un passo in avanti con le sue piccole gambine.
"Chissà cosa penserebbe Lisa se mi vedesse in questo momento." Pensava fra sé e sé Stewe.
Ben era felicissimo di vedere quel bianco freddo...
"BEN, SCENDI A FARE COLAZIONE!"
Ben quasi si risvegliò da quel ricordo come se fosse stato un incubo gigantesco. Si accorse che era iniziata la pioggia e che aveva metà faccia bagnata; prese una sua maglietta, si asciugò ed andò a fare colazione.
Come al solito, Lisa era lì che stava smanettando ai fornelli con grande maestria con ancora addosso il pigiama rosso con gli alberelli verdi che si era presa a Natale (Stewe aveva cercato di convincerla a toglierlo, ma non c'era stato verso di farlo e quindi aveva lasciato correre). Ben cercò con gli occhi suo padre guardando il posto in cui lui stava di solito ma non lo trovò. Era strana l'atmosfera senza di lui. Ogni volta che partiva per qualche missione, a Ben sembrava come se una parte della sua bella vita di famiglia se ne fosse andata assieme a lui ed ogni volta che lui tornava, la vita felice faceva lo stesso. Con Lisa le cose erano diverse; lei, quando non c'era Stewe, era sempre taciturna e non parlava a Ben se non per dirgli di fare colazione o i compiti o ancora per dirgli di pulire la sua stanza.
"Buon giorno, mamma!" Disse cercando di essere il più vivace possibile (per quello aveva preso dalla madre) ma senza riuscirci molto.
Lisa lo guardò di sfuggita e lo salutò con un tristissimo "Ciao, caro." per poi rimettersi distrattamente ai fornelli.
Ben si sedette a tavola e, con i capelli che gli pendevano ai lati degli occhi, guardò il piatto che sarebbe dovuto essere la sua colazione del giorno, ossia: due strisce di pancetta e un uovo su un piatto verdognolo che dava quasi la nausea.
Mangiò in fretta e si diresse subito in camera sua; se fosse rimasto per un altro minuto in quella stanza sarebbe esploso di nuovo distruggendo tutto, tanta erano la tristezza e la negatività che vi aleggiavano. Entrò nella sua piccola stanza per vestirsi e vide che i vestiti che aveva indosso il giorno prima erano ancora bagnati e quindi dovette cercarne altri. Si mise una maglia nera con la foto di Elvis Presley in smoking che alzava il braccio sinistro lateralmente (non si ricordava nemmeno dove l'avesse presa), un paio di Jeans ed una felpa rossa. Per finire, prese lo zaino che non faceva mai e se ne andò all'uscita, indossò le scarpe ed afferrò un ombrello rosso dileguandosi con un "Ciao mamma!". Quello era l'ultimo saluto che le avrebbe mai dato da viva.
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The Darkness Inside The Light
FantasiLa vita di Ben Clarc è una vera schifezza...non è un ragazzo come gli altri...e gli altri, ovviamente, glielo fanno notare. Continuò ad andare tutto male finche lui non trovò una cosa che gli cambiò la vita per sempre!