Per il ponte del primo Novembre scesi in paese; la nonna erano ormai settimane che mi chiamava, chiedendomi quando sarei sceso, se portavo una ragazza, se mi mancava la sua famosa torta ricotta e marmellata di ciliegie. «Presto nonna», «no nonna», «molto nonna» e, quando mi resi conto che era la terza volta in una settimana che mi ritrovavo incollato al telefono a risponderle a monosillabi, decisi che era venuto il momento di sfruttare la sospensione delle lezioni e andare a fare incetta di delizie del Sud.
Inoltre, volevo parlare con mio padre.
Negli ultimi mesi il pensiero di mia madre e di quella scatola di latta mi avevano perseguitato giorno e notte. Al bar con gli amici, alle lezioni di medicina, sotto il cuscino, persino tra le gambe delle ragazze con cui andavo a letto; anzi, lì soprattutto.Ma a questo arriverò più in là, abbiate pazienza.
Quando scesi dal treno, sia nonna che papà erano alla stazione ad aspettarmi. Non era cosa poi così solita che io scendessi al paese per occasioni che non fossero Natale e Pasqua, dove ero costretto a pranzi e messe interminabili.
D'altro canto, neanche il rapporto con mio padre era dei migliori: lui era sempre stato lì, certo, mi aveva cresciuto da solo; eppure non era mai stato un uomo affettuoso, mai mi aveva dimostrato la sua approvazione, mai supportato nelle mie scelte tranne «un giorno il mio posto sarà tuo» quando gli avevo detto dell'ammissione alla facoltà di medicina cinque anni prima – d'altro canto era proprio lui il motivo per cui avevo fatto il test.
Un'infanzia con una madre pazza e inaffidabile e un padre anaffettivo e assente – forse anche lui scottato dall'amore con mia madre? – era risultato in un ragazzo con nessuna fiducia né in se stesso né nell'altro sesso. Ma, almeno, ero bravo a rimboccarmi le maniche.
I giorni in paese passarono stranamente in fretta. Quando non ero a pranzo da nonna mi riversavo sulla scrivania di quella che un tempo era la mia stanza e cercavo di mettermi in pari con le lezioni. Quel venerdì pomeriggio, proprio mentre ero tra i libri, ricevetti un messaggio, al quale le mie labbra si piegarono istintivamente in un sorriso.
Che fai, vieni in paese e neanche me lo dici più?
Mi morsi il labbro, restando a pensare. Non sapevo se quella sera ero abbastanza lucido per vedere Giulia, eppure la sensazione calda che si era diffusa nel mio basso ventre al leggere quelle parole mi spingeva a risponderle, a invitarla alla scogliera, a portare da bere, a baciarla come l'ultima volta.
Scusa, sono state giornate impegnative. Sotto da te tra 20 minuti?
Quando il telefono vibrò contro le pagine del libro, non dovetti alzare gli occhi per sapere che la risposta era affermativa e, invece, mi alzai infilando il giubbotto di pelle e uscii.
Venti minuti dopo ero sotto casa sua, la schiena appoggiata al muro della casa di fronte e la sigaretta in bocca; fosse stato qualcun altro mi sarei messo a rovistare tra le app del mio telefono pur di non farmi cogliere intento a fissare la porta in sua attesa; ma con Giulia tutto era diverso, così familiare e completamente al di là di imbarazzo e buon costume.
E fu così che non appena aprì la porta di casa per uscire i nostri occhi si incontrarono; vederla così poco ma conoscerla così bene significava notare ogni volta i più minimi cambiamenti, dai capelli, alle scarpe, ai chili in meno, o in più.
Sorrise subito e, in breve, le sue braccia erano attorno al mio collo e la sua guancia sulla mia, per baciarmi. Inspirai a fondo il suo odore, come cercando di farne scorta per quando sarei tornato in città: il suo odore mi ricordava le scappatelle di quando eravamo bambini, i baci in bocca quando ancora non sapevamo neanche scrivere, rubare i motorini a dodici anni, passare le notti a ballare e poi andare al mare.

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Fase Zero
RomansaPROMPT: "Lavori in un cantiere e, mentre scavi una buca per costruire un nuovo palazzo, ti imbatti in un'insolita scatola che contiene al suo interno cinque specifici oggetti accompagnati da un biglietto: - Quando trovi questa scatola, chiamami. Qu...