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Cazzo.
La professoressa di aritmetica ha appena consegnatoci le verifiche della settimana scorsa corrette e con tanto di voto.
Ho preso 4 naturalmente, quella volta non avevo studiato.
Detto con questo tono sembra che me ne stia vantando, ma non è così, anche se mi piacerebbe.

Esco da scuola alle 14:00 esatte, giusto per evitare persone da me non tanto gradite o inaspettati intrattenimenti in classe da cinque minuti.
Il tempo è denaro, lo dicono tutti, credo.

Durante il tragitto verso casa la mia mente viene sommersa da molteplici pensieri, ma uno più di tutti mi tormenta: cosa ci sarà oggi a pranzo.
Esatto, una ragazza normale si inizierebbe a preoccupare della reazione dei suoi genitori al voto della verifica, ma a me non importa niente, e come a loro volta i miei genitori.
Per quel che io ricordi non si sono mai complimentati con me per un bel voto, non mi hanno mai dimostrato il loro affetto in alcun modo se ci penso bene (non che ce ne sia di affetto poi), e questo mi ha indotta al pensare che se non studio, se non faccio niente, è meglio.
Almeno così non mi sforzo e tanto agli altri non fa nessuna differenza.
Ma attenti bene, ho detto: mi ha indotto a pensare, non a fare.
Infatti la mia razionalità a avuto la meglio sui miei soliti pensieri ignoranti: anche se a loro non importa niente del mio studio, della mia vita, io lo devo fare per me, per garantirmi un futuro prosperoso e felice, è questo il mio obiettivo.
Sono una che studia molto per l'appunto.
Solo questa volta ho fatto un brutto risultato, e come ho detto (ribadendo il "cazzo") mi dispiace, ma allo stesso tempo non me ne faccio un problema perché so già che come dico a mia madre che ho perso nove, lei reagirà al quattro con codesta frase: ah okay.
Spero si siano capite le mie complessità di vita.

Mancano solo all'incirca cento metri per arrivare al portone di casa mia, il mio sguardo fisso sui piedi, quando ad un certo punto odo dei passi venire accelerando sempre di più verso di me. Non faccio in tempo a girarmi che mi ritrovo a terra.
Ci risiamo
In un millesimo di secondo infatti, realizzo di chi si tratta; ma oramai sono abituata anche a questo.

"Levati dal cazzo Bang Chan" sussurro con ancora il viso rivolto verso l'asfalto e le mani che mi sorreggono tremando leggermente sotto il mio peso.
Sento strattonarmi da dietro tirandomi per il colletto e facendomi alzare in piedi.
Delle mani maschili che purtroppo conosco fin troppo bene mi fanno voltare verso di lui.

"Guardami bene T/n, okay? Non osare rivolgerti più a me in questo modo...o saranno guai, e questo tu lo sai meglio di chiunque altro" i suoi occhi bruciano sui miei e a quel punto non posso fare altro che annuire.

"Bene" dice poi accennando un sorriso.
"Comunque ho sentito che non hai preso un bel voto questa volta; strano, ora sei la mia bad girl" si avvicina lentamente a me e con la coda dell'occhio vedo le sue mani che si allungano sulla mia mascella per poi accarezzarla.
"Non sono tua" dico con fermezza.
"Ah no? -mi spinge leggermente- davvero? Io dico di sì invece" faccio due passi indietro, ma lui mi raggiunge velocemente per non farmi scappare; mi sento in gabbia.
"Sei solo un puttaniere" sinceramente non so dove abbia trovato il coraggio di pronunciare le seguenti parole.

Okay, non dovevo dirlo. Decisamente.
Bang Chan si avvicina ancora di più al mio esile corpo e mi avvolge la vita con le sue possenti braccia, solo che ad un certo punto una di queste inizia a scendere più verso il basso per poi toccarmi avidamente il sedere.
Sussulto.
Lo odio.
"Senti sfigatella, quel che dico io è legge, quindi non osare contraddirmi o te la vedrai con me"
Finalmente se ne va, ma prima di farlo mi molla una pacca nel punto in cui la sua mano era scesa in precedenza.
Lo fisso andarsene con le lacrime agli occhi, il mio cuore che batte velocemente a causa dei forti sentimenti che mi fa provare, ma non fraintendetemi, non intendo amore o cos'altro, intendo vergogna, umiliazione e rabbia verso me stessa che non lo sa affrontare.
Stupida me.

Dopo cinque minuti, passo dopo passo, arrivo a casa, dove trovo mio padre e mia madre che si preparano per uscire di casa.
"Ciao" una fievole vocina mi esce dalla bocca.
"Ah sei tu, come è andata a scuola?" mi chiede mio padre con nonchalance; come se gliene importasse.
"Ho preso quattro in matematica"
"Ah okay" risponde mia madre mentre si aggiusta la scollatura...lo sapevo.

Li guardo attentamente mentre si preparano; credo che sul mio viso sia presente un'espressione vuota, vacua.
Si girano verso di me.
"Nel microonde c'è la pasta da scaldare, noi torniamo domattina, non fare casino come tuo solito e non rompere i coglioni ai vicini, che poi si vengono a lamentare e sono cazzi tuoi" gli occhi di mia madre puntati sui miei mentre dice quella frase esercitano il suo comando su di me. Guai a me se le disobbedisco.
"Certo, starò nella mia stanza facendo finta di non esistere"
"Brava, tanto non sarebbe male" dice mio padre ridendo e guardano sua moglie che a sua volta ride di gusto.

Se ne vanno, chiudono la porta ero rimango lì da sola, in piedi a fissare la porta felice di un po' di libertà.

A/A
Annyeong, come va?
Raga sono più di 900 parole, amatemi.
Anyway vi lascio, forse stasera inizio il secondo capitolo.

Love u all

-anne🥀

BUNNY KILLER||Jeon JungkookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora