Capitolo 2

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Il vociare che percepiva dalla televisione non era l'unico suono che sentiva, mentre si avvicinava alla porta socchiusa della sua camera da letto gli sembrò di sentire dei mugugni. Il sorriso sul volto gli si spense immediatamente e una strana sensazione lo prese alla bocca dello stomaco. Aprì la porta con l'assoluta certezza di trovare ciò che aveva intuito, conosceva quei mugugni, quei suoni legati a quell'intimità che ormai non condividevano quasi più. Elena era nel letto a cavalcioni su un altro uomo mentre muoveva il bacino in su e in giù. Quell'immagine fu come una scossa elettrica, come ricevere un pugno in pieno viso, era stordito, quasi come se non volesse accettare realmente quello che stava vedendo, sbatté le palpebre più volte. Lei si fermò voltandosi verso la porta non appena percepì la sua presenza. Il volto arrossato di piacere le si trasformò in una maschera di stupore e poi di ansia mista a panico. Marco si girò senza dire nulla e scese di sotto. Non aveva visto nemmeno chi era l'uomo, non gli fregava un cazzo di chi fosse, la rabbia lo stava assalendo.

«Papà cosa facciamo dopo?» la voce di Tommaso lo riportò alla realtà. Accennò un sorriso accarezzando il volto di suo figlio mentre una lacrima iniziava a scendere sotto gli occhiali da sole. «Dopo torniamo in camera ci facciamo una doccia e andiamo a mangiare al ristorante» lo guardò sperando che non si accorgesse di quello che aveva dentro. Deglutì quel rospo di rabbia che aveva in gola, sapeva cosa voleva suo figlio «e stasera ci sediamo in terrazzo e guardiamo tutte le stelle». Tommaso spalancò gli occhi estasiato «siii» abbracciandolo forte mentre la lacrima trattenuta a stento sotto gli occhiali da sole, si distese lungo il suo volto.

«Non è come pensi» Elena era scesa in cucina rivestita e agitata mentre l'uomo che era a letto con lei si era dileguato in silenzio. «E cosa dovrei pensare?» la rabbia lo stava divorando «eri lì nel letto che te lo stavi scopando» agitò le mani in preda alla rabbia indicando la camera da letto al piano di sopra «e nel nostro letto cazzo nel nostro letto». Lei si accasciò sulla sedia portandosi le mani sul volto «mi dispiace» sussurrò. «Bene allora è tutto a posto ora. Ora che so che ti dispiace mi sento meglio» iniziò a camminare per la cucina cercando quella lucidità che gli permettesse di essere razionale, ma era tutto inutile. Tutto sembrava così insormontabile «ora capisco perché mi hai fatto portare Tommaso a casa dei miei, volevi fare i tuoi porci comodi in tranquillità». Lei si asciugò il volto «non mettere in mezzo Tommaso, lui non c'entra con i nostri problemi». Marco si fermò di fronte alla donna che aveva amato «da quanto dura questa storia?» non gli interessavano le scuse o i suoi mi dispiace, non riusciva a non odiarla in quel momento, e pensare che era tornato per cercare di recuperare, per provare a chiarire. Lei non rispose subito, alzò gli occhi al cielo come a cercare la forza per parlare «da qualche mese» rispose con un filo di voce. Lui riuscì solo a dire «perché?». Elena si passò le mani tra i capelli, non sapeva cosa rispondere, non lo sapeva neppure lei perché «tu non c'eri più da tempo, Enrico invece era presente». Enrico pensò Marco, ecco chi era l'uomo, il nuovo collega di lavoro di Elena, ecco spiegato le ore in più e gli strani appuntamenti di lavoro che ultimamente lei aveva. Da dopo la maternità avevano iniziato a lavorare insieme, praticamente da quando l'avevano spostata «quindi dura da quando hai ripreso a lavorare». Lei lo guardò, il volto segnato e scosso dalle lacrime e dal dolore «non da subito» rispose «io mi sentivo sola capisci» cercava una via d'uscita anche se dentro di lei sapeva che non era una scusante, quello che era successo lei lo aveva voluto, inizialmente era stato un trasporto quasi viscerale, un desiderio di sentirsi ancora viva, ancora apprezzata. Poi però quella storia aveva preso un cammino ben preciso, e lei sentiva per Enrico un affetto profondo che era molto più di un infatuazione passeggera. «Quindi la colpa è mia?» disse ironico Marco «io non ci sono e questo ti autorizza a mandare tutto a puttane» riprese a camminare nervosamente per la cucina «io lavoravo Elena non mi assentavo per altri motivi» aprì il frigorifero per prendere una lattina di birra «lavoravo per mantenere la nostra famiglia, per regalare un futuro a nostro figlio» alzò la linguetta metallica e iniziò a bere.

Era quasi mezzanotte, Tommaso era crollato addormentandosi sulla sedia in terrazzo con il naso all'insù. Guardando al telescopio che gli aveva regalato il nonno, gli aveva fatto centinaia di domande sulle stelle la luna e i pianeti che ci sono nell'universo, alcune volte per non dire cose inesatte era stato costretto a cercare in internet col cellulare le giuste definizioni, suo figlio era la curiosità in carne ed ossa. Però lo aveva reso felice e questo era la cosa a cui più teneva. Le pratiche per la separazione sarebbero state lunghe e per molti versi dolorose e anche se avrebbero cercato di non coinvolgere Tommaso sapeva che, purtroppo questo, sarebbe stato impossibile, i bambini sono come spugne che assorbono tutto quello che li circonda. Per questo aveva voluto con tutto se stesso quella vacanza, per tranquillizzare suo figlio e provare a spiegargli cosa stava per succedere. Non doveva aver paura di quello che stavano per fare, non avrebbe perso né sua madre né suo padre. Non voleva portarlo via da Elena, lui sapeva che nonostante tutto, lei era una brava madre, e che amava profondamente suo figlio. Per questo qualche giorno prima di partire le aveva chiesto di andare con loro anche se farlo gli era costato parecchio, ma per Tommaso per il suo bene avrebbe affrontato qualunque cosa, comprese due settimane con lei vicino. Da quella sera non era più riuscito a guardarla con gli stessi occhi di un tempo, Elena per lui era diventata quasi una sconosciuta, non era riuscito a perdonarla e nemmeno lo voleva fare, continuava ad avere rapporti con lei solo per Tommaso, per il resto poteva andare a farsi fottere da chi voleva. Prese in braccio suo figlio e lo adagiò nel letto, gli accarezzò la testa sorridendo, fermandosi a guardarlo per alcuni secondi prima di girarsi e ritornare in terrazzo. Non aveva sonno, non ancora. Si poggiò alla ringhiera fissando il mare illuminato dalla luna. Il lungomare era ancora pieno di gente che passeggiava, alla sua sinistra una villa immersa in un parco verde che sembrava disabitata e alla sua destra si intravedeva un'altra abitazione, ma lo spettacolo era il mare che aveva di fronte. Aveva una tristezza infinita nel cuore ma non si può essere infelici quando si ha quella vista e quel profumo, e guardandolo per qualche istante sembrò dimenticare tutto il dolore che sentiva. La luna con i suoi ricami di luce filiformi sembrava sospesa lasciando un riverbero di luce sull'acqua calma del mare. Sospirò, cosa aveva sbagliato? Dove aveva fallito? Una luce improvvisa proveniente dalla finestra del secondo piano della villa attirò la sua attenzione. Il suo sguardo si posò su quel balcone aperto dove la brezza della sera faceva svolazzare le tende facendo intravedere parte dell'interno illuminato della stanza. Vide la sagoma di una donna che si spostava nella camera, non riusciva a vederla bene ma percepiva una sensazione di piacere guardandola. Lei uscì sul balcone con in mano un bicchiere. Sorseggiò il calice guardando il parco sotto di lei prima di sedersi su una sedia a dondolo e lasciarsi cullare. Marco si sentiva quasi in disagio nel guardarla ma si era reso conto che non riusciva a distogliere gli occhi da lei. Dopo qualche minuto la donna si rialzò ed entrò nella stanza lasciandolo con un senso di delusione crescente e la sedia a dondolo che ancora si muoveva. La luce si spense e il buio lo circondò. Marco restò ancora qualche minuto a fissare quella finestra buia, poi con un senso di frustrazione rientrò in camera e si sdraiò accanto a suo figlio.

IL RIVERBERO DEL MAREDove le storie prendono vita. Scoprilo ora