Capitolo 3: un campo di lavanda

16 0 0
                                    

Kilian, oggi

La mia voce è appena udibile rispetto al frastuono della mia testa, ma le mie labbra si schiudono e ne esce quel nome, quel maledetto nome, quel nome che è l'unico che non dovrei pronunciare...

-Cloe- lo sussurro, ma il suo suono flebile sembra riecheggiare per tutti i campi, ora la mia testa è piena di quella parola che si ripete all'infinito aumentando il rumore insopportabile dei miei pensieri. Il gambo di lavanda mi cade dalle mani e con lui anche io scivolo lentamente tra i fiori. Il mio viso viene solleticato dagli steli dei magnifici boccioli viola, guardo il cielo stellato e non ho più la forza per alzarmi. Sono proprio un povero vecchio inutile, il ragazzo che mi ha accompagnato fin qua deve pensare che io sia pazzo, non sarebbe il primo...Però è stato molto gentile a farmi da badante e merita almeno una spiegazione per questi miei strambi comportamenti.

-Grazie per avermi portato via da quel cimitero- la mia voce è roca e gracchiante, non parlo da giorni. Ruoto appena la testa per vedere l'espressione sul viso del ragazzo e lo osservo davvero per la prima volta. Ha un volto amichevole e disteso, sembra non abbia mai sofferto, la sua espressione è confusa: non si aspettava che io parlassi. Si schiarisce la voce e risponde: -E' stato un piacere, signore- si guarda intorno smarrito e poi parla di nuovo: -Coraggio, si alzi, la porto a casa-                                                                                                                                                                                            -No, lasciami qui, tornerò a piedi-                                                                                                                                  -No, mi dispiace ma non posso accettarlo, mi dica dove abita- il suo tono sembra non ammettere repliche, ma non ho vissuto settant'anni per farmi mettere i piedi in testa da un ragazzino, inoltre la vecchiaia ha incrementato la mia testardaggine già abbastanza spiccata.

-Non esiste giovanotto! Nessuno ti ha insegnato a rispettare le persone anziane e i loro desideri?- ho involontariamente alzato il tono della voce, me ne pento immediatamente, ma le parole sono sempre state il mio punto debole, ci pensava Cloe ad ammorbidirle. Non ho mai imparato a mordermi la lingua. Il ragazzo sussulta impercettibilmente, ma non si lascia intimorire, chi voglio prendere in giro? Non intimorirei nemmeno un neonato, così lacerato come sono.

-Mi dispiace ma qui non si tratta di rispettare o meno i suoi desideri, si tratta di buonsenso, non posso lasciare un...- si blocca, ha paura di pronunciare quella parola, quella parola con la quale nessuno mi definisce mai, ma che è l'unica che mi rappresenti.

-Vecchio- sono io a parlare prima che lui possa tentare di sistemare le cose risultando solo più patetico -la parola che cerchi è vecchio- lo dico quasi con disprezzo, la odio, quella parola; la detesto con tutto il mio cuore, c'è qualcosa in quelle lettere che per qualche stupido motivo mi fa desiderare ancora di più la presenza di Cloe, l'essere vecchi me l'ha portata via, per sempre, irrimediabilmente. Quella parola mi condanna a fare a meno di lei.

-Le parole che stavo cercando erano uomo solo- il ragazzo interrompe i miei pensieri con una frase che stranamente mi suona bene, se anche solo qualche anno fa mi avessero dato del solo, avrei dato di matto, ma ora per qualche ragione sento che sia la delineazione perfetta del mio stato d'animo. Abbozzo un sorriso al cielo conscio del fatto che il ragazzo non mi può vedere e cambio discorso: -Come ti chiami?-                                                                                                                              -Damien-                                                                                                                                                                                    -D'accordo Damien, forse posso accettare il fatto che tu mi porti a casa-

Il ragazzo sembra stordito dalla mia affermazione, evidentemente non pensava sarebbe stato così semplice convincermi. Sorride soddisfatto e si avvicina a me porgendomi il braccio, io lo afferro con vigore e accennando un sorriso, mi alzo faticosamente. Sono di parecchi centimetri più basso di Damien che mi osserva dall'alto al basso con un paio di verdi occhi vispi. Non sono mai stato troppo alto, ma la vecchiaia mi ha consumato come una candela che brucia lentamente e ora sono ancora più basso di quello che sarei; inoltre questo ragazzo è una pertica!

In un silenzio religioso ci avviamo verso la sua macchina e io mi rannicchio sul sedile chiudendo gli occhi.

Damien

Sorrido tra me e me ancora compiaciuto per essere riuscito a convincerlo. Mi sembra di avere ancora a che fare con un bambino, è buffo come la fine della vita somigli così tanto al suo inizio.

Metto in moto e ripercorro il tragitto accostando vicino all'entrata del paese.

-Allora, dove abita?- domando

-Hai presente la casa sopra il panificio?-

-Sì certo, ci abitava Cloe Brunet- lo dico senza pensare, mi scivola fuori dalle labbra come se fosse stato il mio nome, non ci metto molto a capire: Cloe Brunet è morta qualche giorno fa, quest'uomo era al cimitero oggi, deve essere legato a lei in qualche modo. Strabuzzo gli occhi e mi volto verso di lui incuriosito. Lui annuisce stanco: -Vorrei che mi portassi lì-

Resto in silenzio, non so cosa dire, io non la conoscevo...si sapeva solo che era famosissima e che suo marito non si era mai fatto vedere. In molti avevano ipotizzato una relazione dell'attrice con un certo Armand Lefevre, ma non erano mai stati visti in nessuna situazione compromettente. Stento a crederci, un amico della Brunet, e chi l'avrebbe mai detto? Mia mamma aveva fatto tutte le ipotesi più strane sull'attrice e la sua vita privata. Sorrido, se sapesse con chi mi trovo in macchina ora...                                                                                                                               Avrei un milione di domande che, impellenti, sentono il bisogno di uscire dalle mie labbra, ma non è il caso di fargli rievocare ricordi ora come ora dolorosi; io lo so bene, dopo Ambre.

Kilian mi osserva seccato: -Allora andiamo?-

Mi schiarisco la voce e metto in moto imbarazzato. Nel giro di pochi minuti arriviamo davanti al panificio, non avevo mai fatto caso all'umiltà di quella casa, non spicca in mezzo alle altre case, anzi si uniforma perfettamente all'ambiente intorno.

Mentre rifletto Kilian scende dalla macchina e mi saluta agitando appena la mano per poi voltarsi verso la porta della casa. Io abbasso i finestrini e gli urlo: -Ma c'è qualcuno a casa con lei?- Lui mi guarda rassegnato

-No, ma per ora posso fare a meno di un badante- risponde secco.

Io scuoto la testa divertito, quest'uomo è impossibile...

CrepeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora