Torno nella sala principale e decido di iniziare ad indagare, sperando di non essere scoperto.
Provo a spingere le varie porte, alcune sono chiuse da semplici chiavi tradizionali, altre da quelle tessere pass-partout. In ogni caso, non posso andare lontano, sopratutto considerando che gli ascensori sono bloccati da cancelli e che le scale mi porteranno solo su e giù attraverso i piani, rendendomi un target ancora più sospetto e facilmente individuabile dalle guardie.
Sulla mia strada incontro dei bagni, un altro spogliatoio e un'inutile sgabuzzino con prodotti per le pulizie, secchi e scopettoni.
Il lungo bancone di metallo scuro addossato alla parete attira la mia attenzione. Avrà sicuramente dei cassetti, e il grosso mobile a piccoli scomparti che lo segue è piuttosto sospetto. Una volta aggirato, lo scopro essere cavo, con cassettini e scaffali pieni di libri e scartoffie. Mi inginocchio davanti alla prima serratura, non sperando minimamente di trovarla aperta. Ma con mia sorpresa, il cassetto scivola senza sforzi sui suoi binari, rivelando una delusione. Una bottiglietta d'acqua, qualche accendino, due pacchetti di sigarette e un piccolo taccuino pieno di scarabocchi inutili. Esamino quest'ultimo, cercando di trovare un numero di telefono, un appunto, un nome, ma nulla. Il cassetto subito sotto è chiuso a chiave, ma aprendo del tutto quello che gli sta sopra, riesco ad avere un assaggio dell'interno. Qualcosa sbrilluccica sotto ai faretti di luce bianca soffusa. È un mazzo di chiavi. Potrebbe essere un mazzo di chiavi assolutamente futile, ma qualcosa dovrà pur aprire. Cerco di infilare la mia mano in quel minuscolo spazio vuoto che resta fra la struttura e i cassetti, quando sento dei passi avvicinarsi. Rimango pietrificato sul posto, sono terrorizzato.
-Diamine, la mascella di quel tizio era proprio messa male...- sospira una voce maschile.
-Già, gliel'hanno dovuta distruggere per poterla ricostruire.- risponde disinteressata un'altra voce, più profonda, come se appartenesse a qualcuno di anziano.
Faccio per ritirare la mano di scatto quando sento il ticchettio delle loro scarpe avvicinarsi sempre di più, ma le mie nocche sbattono contro la struttura, facendo rimbombare il suono sopra le loro chiacchiere.
-Uh? Cos'è stato?- chiede quello più giovane. L'altro emette un verso di confusione.
-L'hai sentito, no? Era un rumore metallico.- ripete.
-Saranno quelli dell'S3 che riportano indietro la barella. Non ti preoccupare su, andiamo a casa.- sbuffa l'altro sbattendo qualcosa sul tavolo e allontanandosi in tutta fretta.
-Va bene...- mormora, appoggiando anche lui qualcosa sul bancone e seguendolo di corsa.
Rimango per qualche minuto spalmato sul pavimento, la mano lesa premuta contro al petto, il respiro irregolare e il cuore che batte all'impazzata.
Oso sbirciare al di sopra del ripiano solo quando non sento più nessun rumore. I due hanno abbandonato le loro carte sul bancone, sperando che qualcuno le metta in ordine al posto loro, immagino. Le prendo entrambe, e me le ficco in una tasca del camice.
La prima cosa che faccio è capire come funzionano gli ascensori, e nel farlo noto che i pulsanti vanno fino al numero 15. il che significa che ci sono 15 piani, meno quello su cui mi trovo, e se la memoria non mi inganna le stanze che ogni piano ospita sono 16: fanno un totale di 224 camere. 224 persone rinchiuse da chissà quanti anni.
Riesco ad aprire un'altra stanza, un semplice archivio a prima vista. Tomi voluminosi riempiono svariati scaffali, tutti contenenti dati annuali e fotografie dei prigionieri addormentati. Mi viene la nausea quando vedo la quantità di armadi dedicati esclusivamente ai bambini.
La prima pagina di ogni album ha una piccola incisione che recita "The Factory – Seoul".
Siamo Seoul! Un brivido di infantile eccitazione mi scuote la spina dorsale...per un ragazzino della periferia di Daegu era un miracolo trovarsi in piena Seoul.
La cosa mi rassicura in parte, mi è sempre stato raccontato che nella capitale la gente non dorme mai. Nonostante questo, so perfettamente che questa fantomatica "Fabbrica" si trova fuori dal centro città, sarebbe impossibile nascondere una simile attività criminale. E il silenzio che avvolge la struttura ne è la conferma.
Sul fondo della pagina una piccola firma scritta a mano attira la mia attenzione. "A project by J.Jeon". Il fatto che sia scritto in penna mi sorprende, questo tale vuole che il suo nome sia su ogni libro, desidera che si sappia che tutto questo è suo. Una persona normale se ne vergognerebbe.
Altri passi mi avvertono di nuove presenze, perciò mi affretto a rimettere in ordine quello che ho tirato fuori ed esco furtivamente dall'archivio. Vado a stazionare dietro ad una colonna di pietra, attendendo che i nuovi arrivati se ne vadano, e mi dedico alle porte scorrevoli. Attraversandole, con l'aiuto della mia nuova carta magnetica, solo delle lunghe scale mi attendono. Non ne vedo la fine, e il led non perfettamente illuminato non aiuta, rendendo il tutto abbastanza inquietante. Mi avvio, notando vari televisori spenti ai lati della scala. Purchè non sapendo a cosa servano, mi sembrano molto sospetti: meglio tenerli d'occhio. Quello che trovo in fondo mi sconcerna: non c'è nulla in particolare. Solo altre scale che tornano verso la superficie si stagliano davanti a me, buie e poco invitanti. Il corridoio prosegue verso destra, lo stesso led poco funzionante lampeggia sopra alla mia testa, e in fondo una grossa porta scorrevole di acciaio lucido copre l'intera parete. Sarà alta almeno cinque metri, è incredibile. La scritta "S3" è incisa in opaco
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ROOM 215
Fanfic"Passo le mani tra i miei capelli e poi sugli occhi, come per spazzare via il sonno e la sensazione d'intontimento che mi rimane sempre addosso dopo una dose di quelle droghe. Mi allungo verso il pavimento, ancora nel buio, e faccio per prendere la...