8.white

63 3 2
                                    

Le gambe erano pesanti, sentivo il suono dell'ultima campanella suonare quando iniziai a prendere in considerazione l'idea di alzarmi. I rumori erano lontani, o almeno sembravano esserlo e le luci del bagno si spensero, i raggi del sole che entravano dalla finestra mi illuminavano il viso.

Mi portai le ginocchia al petto e mi strinsi in me stesso, rimasi in silenzio sperando che nessuno mi sentisse.

Mi faceva male tutto.

Dopo svariati minuti mi alzai e prima di uscire dalla porta mi guardai allo specchio, mi dovetti appoggiare al lavandino per quanto mi faceva male. Mi alzai la maglietta ma la rimisi subito giù perché non volevo guardare i gonfiori sparsi a caso e i lividi che si stavano formando.

Volevo sprofondare nel pavimento, volevo che un mattone si staccasse dal soffitto e mi cadesse in testa.

Rimasi in silenzio, uscii fuori dal bagno, fuori dal corridoio, fuori dalla scuola. Dove potevo andare? A casa mia madre se ne sarebbe accorta, per non parlare di mio fratello. Da Matt, chissà dov'era e se mi era successo tutto quanto era in parte colpa sua pensai. Ma decisi di non dirgli niente, niente di niente.

Me ne andai da Ronnie's una pasticceria buonissima che serviva esclusivamente frullati e ciambelle glassate, entrai dentro facendo tintinnare un campanellino e senza guardare i faccia nessuno mi sedetti in un tavolino lontano dall'entrata.
«vuole ordinare qualcosa?» mi disse una cameriera. Era Laura.
«un caffè per favore, nella tazza più grande che avete.» poi mi resi conto che era la McCoy.
«oh, scusa non ti avevo riconosciuto, come va? Non abbiamo mai parlato molto al di fuori della scuola.»
«va bene grazie, tu invece?»
«tutto okay. Non mi lamento.»

Dopo pochi minuti mi portò il caffè e dopo altri minuti per aspettare che raggiungesse una temperatura accettabile lo bevvi tutto d'un fiato.

Uscii senza salutare nessuno, a testa bassa, avevo ancora dolori dappertutto.

Ero a cinque isolati da casa mia ma non volevo andarci.

Il telefono iniziò a squillare.

Era Matt. Volevo rispondere ma poi riattaccai.

Mi richiamò e io riattaccai lo stesso.

Volevo stare da solo, o forse no, non volevo niente. Volevo sparire e basta.

Camminai fino a casa, il sole se ne stava andando e la notte iniziava a farsi strada.

Svoltai a destra, e mi inoltrai in una via buia e stretta. Camminavo velocemente perché non volevo restare in quel posto un secondo di più, mi metteva i brividi. Mancavano pochi metri o forse centimetri quando comparve un gruppetto di tre ragazzi dove c'era anche Fred, quel Fred. Quello che mi aveva picchiato e che i suoi gesti da stronzo si riscuotevano nel tempo.

Pregai che non si girasse verso di me, lo pregai, Dio intendo, lo pregai molto, moltissimo ma credo che in quel momento mi voleva vedere all'inferno.

Svoltarono verso di me, poi si fermarono a guardarmi. Fred avanzò e i ragazzi alle sue spalle gli andavano dietro come segugi. Che cretini pensai.

Era a pochi centimetri da me.

Troppo vicino.

«hey ragazzi, vi va di picchiare una checca stasera? Perché a me va moltissimo.»

Decisi che quella sera non le avrei prese io.

Gli tirai un calcio nelle palle e subito dopo gli sganciai un pugno in faccia per poi scappare velocissimo dalla parte opposta.
Sentivo i passi veloci di loro che mi stavano inseguendo ma io ero una vittima e le vittime scappano veloci per sopravvivere.

Non entrai subito in casa, non volevo che mi seguissero fino lì, li seminai a due isolati da casa mia. Ero fiero di me cazzo, avevo appena tirato un calcio nei coglioni a quello stronzo, come potevo sperare di scamparla a scuola? Oddio non ci avevo pensato. Vabbe, ci avrei pensato il giorno dopo.

Mi faceva sempre male tutto.

Salii le scale lentamente per non svegliare nessuno, entrai ancora con più cautela in camera mia per non far cigolare la porta. Mi voltai verso il letto e lo vidi, era bellissimo e incazzato nello stesso tempo ed io ero eccitatissimo per ciò che avevo fatto.
«dove sei stato tutto il giorno? Mi hai fatto preoccupare.»
«Matt stai tranquillo, sono qui ora.» gli avrei detto tutto, era giusto così ma... ero proprio un cretino.
«ma non c'eri quando avevo più bisogno di te, non c'eri, quando ti ho chiamato, dovevi esserci e non c'eri.» venne verso di me e mi abbracciò, lo respinsi, mi faceva troppo male tutto.
«scusa, non volevo, respingerti è che...» non servivano parole. Lo capì subito.
«alza la maglietta.»
«no senti, è tutto apposto non imp...» si avvicinò, la alzo lentamente. Mi vedevo nel riflesso di uno specchio dall'altro lato della stanza, mi facevo schifo.
«ma chi ti ha fatto questo?» mi sentivo in colpa per non averglielo detto prima. Aveva le lacrime agli occhi. Mi accarezzò la guancia e mi sentii subito meglio.
«Fred Smith, ma tranquillo gli ho restituito il favore.»
«che hai fatto!?!? Adesso ti ha sicuramente preso di mira.»
«Matt ho deciso di combattere, non voglio più nascondermi.»
Poggiò le sue labbra sulle mie, ci spostammo sul letto. Fece attenzione a non farmi male ed era carino mentre cercava di fare piano. La verità è che era sempre carino.
«ma tu che ci facevi qua? Di cosa avevi bisogno?»
«ho litigato con mia madre, di brutto questa volta e ho bisogno di un posto per un po'.»
«poi rimanere quanto vuoi lo sai.»
«bene, grazie mille.» indicò la sua valigia in fondo al letto prima di baciarmi.

Gli baciai il collo lentamente, poi la guancia e poi la bocca.

Poi scesi e gli baciai il petto mentre con una mano gli accarezzavo il viso.

Sentivo il suo respiro, il suo torace che si alzava e abbassava costantemente.

Ero sopra di lui con metà del corpo, quanto basta per sentire la sua .... cosa.... premere sui pantaloni.

Issues  Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora