Capitolo tredici

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BRENTON

Credevo che non mi sarei innamorato ancor di più, prima che arrivasse quella sera di gennaio.
Fui costretto ad andare in un locale nel centro della cittadina dove era stata organizzata una serata con una band che avrebbe suonato del blues.
Non sapevo ti piacesse tanto quel genere musicale, ma ero affascinato dal fatto che scoprissi sempre delle cose nuove di te. Non ero mai sazio, non mi bastavi mai abbastanza.
Non volevo andare a quella serata, ma se ti avesse resa felice avrei fatto un piccolo sforzo. Dopotutto avrei potuto osservare te, piuttosto che una band di cui non me ne importava nulla.
Ti avrebbero guardata tutti con quell'abito bordeaux, caldo e morbido tra le mie mani mentre ti strinsi in un abbraccio per poi baciarti. Saresti stata tu al centro dell'attenzione con quei ricciolini che ricadevano oltre le spalle piccole, con quegli occhi da cerbiatta che avrebbero incantato chiunque. Volevo che si girassero dall'altra parte per averti tutta per me, desideravo che sapessero che Jane era la donna che mi stava insegnando a rinascere.
Ancora facevo fatica a capire che avevi scelto me, che tra tanti amavi un ragazzo pieno di problemi, uno che la vita non l'aveva vissuta perché era stato costretto a crescere troppo in fretta; uno che l'amore non aveva la minima idea di cosa fosse.
Odiavo essere così sdolcinato, arrivare a temere che qualcuno ti portasse via da me... era qualcosa a cui non ero mai stato abituato, ma mi piaceva quella sensazione.
Ballavi su una pista improvvisata insieme a qualche altra donna, la gonnellina del vestito volteggiava insieme alla tua chioma dorata.
Me ne stavo lì a guardarti come si fa con un quadro, a studiare e a capire chi mai ti avesse dipinta così bene, quale colore venne usato per rendere lucenti i ciuffi che portavi spesso dietro l'orecchio.
Ti muovevi, danzavi, e mi facevi innamorare di nuovo per la prima volta.
Il tuo sorriso mi scombussolava, m'invitava ad avvicinarmi e legarti le braccia in vita per trattenerti il più possibile accanto a me. Solo che ero negato a ballare, avrei soltanto pestato più volte i tuoi piedi e ti avrei fatto fare una figuraccia.
Mi avevi raccontato che tuo padre ti portava spesso a serate come queste, lì a Pembroke, e mi chiesi perché non fosse con te a Chester.
Avevo avuto modo in quei mesi di conoscere tua zia, e le risate che ci eravamo fatti mi ricordavano una famiglia che non avevo mai avuto.
Stavi colmando i miei vuoti, i miei silenzi, i miei sguardi persi. Stavi rimpiazzando tutto con sorrisi, lunghe conversazioni su ciò che ci aspettavamo dalla vita, dei sogni mancati e dei desideri futuri.
Diventavo persino più simpatico, e Chuck non esitava mai nel farmelo notare.
«Questa Jane non è poi tanto innocua. Ti sta cambiando, e in meglio, amico mio.»
Aveva proprio ragione, non potevo dargli torto.
La voce di quella cantante ti coinvolgeva, e i tuoi movimenti erano sensuali, allo stesso tempo timidi e delicati.
Eri una rosa rossa appena sbocciata, accattivante, ma tremendamente pericolosa con le tue spine.
All'inizio avevo paura a toccarti, perché mi sarei punto, avrei versato gocce di sangue e quella ferita non si sarebbe più rimarginata quando te ne saresti andata. Saresti appassita tra le mie mani e il vento avrebbe portato via i tuoi petali soffici.
Ti brillavano gli occhi non appena cantarono una canzone in onore di Billie Holiday. Luccicavano, le labbra piegate in un grande sorriso e quella felicità che non avevo mai visto su nessun volto.
Mi avevi invitato a ballare con te, cercai di rifiutare, ma il tuo sguardo pieno di speranza non mi trattenne più di tanto.
La voce di quella donna ci accompagnò mentre ti avvicinai a me, il tuo respiro che si spezzò per un secondo. Abbassasti lo sguardo, le guance arrossate e quell'imbarazzo che ti donava. Ti sollevai il mento perché volevo guardarti mentre mi guidavi in semplici passi, volevo affondare la mia insicurezza nei tuoi occhi per trovare stabilità, per sentirmi l'uomo più stupidamente innamorato di una donna pazza e bellissima come te.
Jane, eri ciò che avevo sempre sperato d'incontrare, nonostante mi ripetessi più volte che non ero fatto per quelle cose.
Lo swing di quelle note ci portò con sé per un po', la mano stretta nella mia e un'altra che ti circondava la vita. Ridacchiavo sul tuo collo, affondavo le labbra sulla tua pelle chiara per evitare che la mia risata si diffondesse nel locale. Ti portai al mio petto, la mia maglietta nei tuoi pugni stretti.
La cantante cominciò a dare vita ad un pezzo intitolato I'm a fool to want you e credetti, in un primo momento, che fosse stata scelta apposta per me.
«Che c'è?» ti incupisti per qualche secondo.
«Niente.» sorrisi per tranquillizzarti, e avvicinasti il bacino per starmi più attaccata durante quel brano che doveva essere ballato più come un lento.
Ero pazzo a volerti, lo sapevo benissimo.

🌻

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