Capitolo dodici

678 68 22
                                    

BRENTON

«Cos'è che disegni sempre?»
Me lo chiedevano in tanti, quando non mi accorgevo di loro perché ero troppo concentrato a vederla nella mia mente, e sul foglio.
Ero talmente perso in te, di te, Jane, che tutto attorno a me si disintegrava. Mi avresti preso per pazzo se ti avessi riferito ciò, ma l'amore ci rende completamente pazzi. La ragione non esiste, scompare come per il resto di tutte le altre cose.
Non volevo condividerti con nessuno e ogni santa volta volevo precisare che la domanda opportuna era più un: "Chi disegni?". Finivo sempre per non rispondere, non mi andava.
Sviavo l'argomento ripiegando malamente il foglio nella tasca dei jeans perché avrei dovuto rispondere: "una ragazza", ma tu non eri una ragazza. Non eri affatto, in nulla e per nulla, come le altre. Fingevo di non sentirli perché tanto non avrebbero mai capito. E non lo capii nemmeno io la ragione del dolore che mi lasciasti dentro, della vita che mi era stata risucchiata via, delle vene che non pulsavano, degli occhi spenti e secchi... senza lacrime.
Non ti avevo mai pianta, non me lo permettevo. Sapevo di essere io il motivo di tutto e mi ero ripromesso che sarei andato avanti con la mia vita, ma non dovevo fare una promessa che non avrei mantenuto.
Cos'è che non andava in me? Ti amavo, ecco tutto.
Ti volevo così bene che non avrei accettato di averti accanto per il resto degli anni e del tempo che ci saremmo concessi, se tu non coglievi quella proposta lavorativa che aveva sempre fatto parte dei tuoi sogni. Io non ero in quelli, probabilmente non lo sarei mai stato.
E' successo che non doveva succedere.
Un giorno mi portasti a vedere il piccolo angolo di mondo che ti ospitava durante le ore che ci lasciavamo temporaneamente: tu nella tua stanza a dipingere, e io a lavorare e vendere dischi di vinile.
Credevo che avrei avuto modo di conoscerti finalmente, ma conoscevo ancora poco di te, nonostante ogni abbraccio e ogni sussurro ne dimostrassero il contrario.
«Ti piace?»
Eri un po' nervosa e mi facevi ridere. Eri buffa mentre ti si tingevano di rosa le guance chiare e sbattevi ripetutamente le ciglia scure.
Mi piaci di più tu, avrei voluto dirti, ma mi limitai a sorriderti.
Vagai per qualche minuto tra i muri del tuo appartamento e non ne avevo mai abbastanza. Prevaleva il giallo girasole, lo stesso che mettevi sempre tra i capelli come fermaglio; lo stesso che c'era sulle pareti della tua cucina; lo stesso che si ripeteva negli sfondi dei tuoi quadri che adornavano la vecchia carta da parati in camera tua.
Mi metteva allegria stare in quel posto, sentirmi inevitabilmente più vicino a te. Facevo parte di te, ormai.
Notare i pennelli ancora intrisi di colore, i fazzoletti bagnati e il tuo camice sporco... mi trasmettevano un certo senso di pace che non ero in grado di descrivere. Il tuo sorriso portava caos.
Mi bloccai quando scorsi una figura scura al centro della tela che stavi terminando. La strada era desolata, eccetto per questa persona che camminava con lo sguardo chino e le mani nelle tasche. Un cappello di lana che creava un' ombra a coprirgli interamente il volto, i lacci sciolti degli anfibi che si bagnavano mentre la pioggia spazzava via tutto. C'era un'insegna in fondo al vicolo che riportava il nome del negozio di musica. Io e il negozio; l'acquazzone che ci ha fatto incontrare. Si alternavano i toni soffusi del rosso, arancio e giallo. Una luce strana nell'aria.
Mi voltai, senza fiato.
«Non volevo lo vedessi già, ma era troppo tardi quando me ne sono resa conto.»
Timidamente scrollasti il capo e ridacchiasti come era solito fare quando eri nervosa. Ti baciai per tranquillizzarti.
E' bello quasi quanto te, stavo per mormorarti, ma mi rimangiai le parole. «Splendido.»
«Sul serio?»
La tua insicurezza mi spiazzava tutte le volte. Cavolo, eri favolosa, il tuo talento e la tua passione non l'avevo vista in nessuno.
«Sul serio.» ribadii, senza smettere di contemplare quel capolavoro che avevi realizzato pensandomi.
«Uhm, scusa per il disordine...» cominciasti a raccogliere i tubetti di tempera da terra, ma ti fermai.
Desideravo che tutto restasse come l'avevi lasciato, in modo da poterti immaginare lì, seduta davanti alla finestra con il pennello tra le labbra, con la tua solita espressione concentrata e pensierosa.
Ti perdevi completamente in ciò che facevi. Ed io mi perdevo in te.

🌻

ABBI CURA DI TEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora