Capitolo quattordici

543 46 43
                                    

JANE

Mi dicevi di stare ferma, ma scoppiavo a ridere subito dopo. Ero abituata a stare io dall'altra parte, di fronte a un foglio o una tela, per poter ritrarre un soggetto. Solitamente mi servivo dei ricordi, o di oggetti inanimati.
Quella volta però fu diversa: ti chiesi di disegnarmi affinché mi rimanesse qualcosa di te, in modo da appenderlo al muro di camera mia e potermi guardare prima di dormire.
Il quadro che realizzai di te l'avevo proprio sopra il letto. I girasoli di Vincent erano stati rimpiazzati e, sebbene fossero i miei preferiti, quello sarebbe stato il tuo posto. Volevo alzare gli occhi la mattina e sorridere pensando che ti avrei accompagnato al Back Alley Music, che quella figura solitaria con gli anfibi mi avrebbe avuta accanto con una tazza fumante di cappuccino.
La sera volevo chiudere le palpebre osservando un ritratto che mi avevi fatto quel pomeriggio, nel negozio. Avrei ammirato il tuo tratto potente e delicato allo stesso tempo. Volevo vedere come apparivo ai tuoi occhi.
Ero venuta a prenderti per la pausa pranzo e, puntualmente, ti stupivi della mia presenza. Sapevi in cuor tuo che per te sarei sempre venuta, ma mi sorridevi come se ti convincessi fino all'ultimo secondo che quel giorno non sarei passata.
Ti immortalai col tuo solito blocchetto, le gambe divaricate, i gomiti poggiati sulle ginocchia, e il capo chino a studiare cosa c'era sulla carta.
«Perché non me li mostri mai?»
Ti tenevi tutto per te e mi faceva piacere essere più tua che mia, essere quella grafite che colorava la carta ingiallita del tuo quadernetto, sapere che nei tuoi pensieri c'ero spesso e comunque.
«Non so...» un piccolo ghigno si formò sul tuo volto. Ti prendevi gioco di me, lanciavi qualche occhiata furba e maliziosa, sorridevi a te stesso per avermi lasciata senza parole.
Cosa dovevo fare con te?
Mi ricordavi un bambino che si teneva tutto per sé, che passava gran parte del suo tempo a realizzare un ingegno che sarebbe stato solo ed esclusivamente per lui.
Ero curiosa, troppo perché me ne stessi zitta e facessi finta di non avertelo mai chiesto.
«Realizzane uno. Ora.»
Ero eccitata all'idea di posare per te, abbassare lo sguardo, mettermi di profilo, o puntare i miei occhi nei tuoi per distrarti.
Avevi acconsentito, sorprendendomi.
Girasti il foglio e ti appoggiasti allo schienale della sedia. Io presi uno sgabello per mettermi di fronte e cercai di mostrarmi indifferente al tuo sguardo che correva sulle curve del mio viso, del mio corpo che si stava mettendo in posa solo per te.
Non mi ero mai condivisa con nessuno, non lasciavo che qualcuno si appropriasse di qualche pezzo di me per paura che se ne servisse per farmi male.
Mi sentivo stranamente spoglia e fragile, sotto i tuoi occhi, davanti alla tua mano che impugnava il carboncino. Sfregavi sulla carta ruvida, premevi con forza, talvolta ti sporcavi le mani, ma non te ne curavi.
Volevo che quell'istante non finisse mai.
Fosse stato per me sarei rimasta lì per ore a guardarti concentrato, la tua espressione un po' contorta mentre cercavi di decifrarmi le iridi, la mandibola serrata quando delineavi le curve delle mie labbra.
Era difficile trattenermi lì, ferma immobile, e lasciarmi plasmare con una matita.
«Sei proprio bella.» sorridesti al disegno e non capii a chi ti rivolgessi.
«Con chi parli?» c'era una punta di delusione nella mia voce. Ero più infantile di ciò che credevo, ma amarti mi rendeva semplicemente così. Mi faceva scordare cosa fosse l'autocontrollo, mi rendeva egoista, addirittura gelosa quando sapevo di esserti lontana. Tutte emozioni che si amplificavano, che mi rendevano in un certo senso bambina. Volevo tutto di te, non desideravo chiedertelo, lo pretendevo e basta. Dovevi solo lasciarmelo fare.
«A te, ovviamente» alzasti subito lo sguardo intento e corrucciato che ti formava una rughetta sulla fronte. Un sorrisetto furbo ti si dipinse in volto per come mi ero dimostrata.
Non volevo condividerti con nessun altro, ora che ti avevo trovato, ora che amavo per la prima volta.
Tornasti serio e ti avvicinasti per rubarmi un bacio.
«Ci sei solo te qui,» indicasti la tempia «e qui» posasti un dito sulla parte in alto a sinistra del tuo petto caldo che si dimostrava essere sempre il mio angolo di mondo preferito.
Sapevo che la tua riservatezza ti rendeva difficile aprirti in questo modo alle emozioni, ma ogni giorno che passava eri capace di rendermi la donna più felice. E unica. Mi facevi sentire in questo modo, anche se non te lo ripetevo mai abbastanza.

🌻

ABBI CURA DI TEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora