Avevo la scatola bianca stretta fra le dita quel giorno, la pioggia scendeva lieve, neanche fosse vaporizzata, neanche il cielo possedesse un impianto di irrigazione e fosse stato settato su "vaporized".
Seduto sulla riva del lago, mi tolsi le scarpe e infilai i piedi nell'acqua gelida. Mi percorse un brivido, strinsi di più la scatola, e mi scese una lacrima. Immagino fosse dovuto per la reazione con il freddo. Il sole c'era, ma era freddo. Tentavo di non osservarlo direttamente (studi liceali mi avevano ravvisato sulla possibilità di danni alla retina), ma i giochi di luce mi affascinavano. E la pioggia ne stava tirando fuori davvero di buffi.
Posai per un secondo la scatola bianca sull'erba bagnata (era cartone robusto, non si sarebbe rotta), e con entrambe le mani comincia a tirare una corda, alla quale era legata un'altra scatola, ma delle dimensioni di un leone. Più che una scatola era una vera e propria cassa : mi è venuto in mente un leone perché sembrava di quelle usate per trasportare gli animali feroci. Con l'unica differenza che non aveva dei buchi per far passare l'aria (e forse, a ben pensare, era più grande di un leone).
Tirai fuori dalla tasca una Goleador alla frutta, e comincia a succhiare la parte rossa. Sapevo che avrei dovuto attenderla, e la mia pazienza quel giorno non conosceva limiti. Sarei potuto rimanere lì seduto un mese. Sarei potuto rimanere lì immobile per anni. Sarei potuto rimanere sulla sponda di quel lago per cinquantatrè anni, sette mesi e undici giorni, proprio come scrisse Garcia Marquez.
Appena la vidi, mi venne voglia di correrle incontro e di baciarla. Gesù, quelle labbra le conoscevo come neanche me stesso. Le conoscevo così bene che avrei potuto elencarne ogni piega, ogni piccola ruga, ogni sottile riga, sia di quello inferiore che superiore. E scommetto anche che, alcuni di quei piccoli segni presenti su quelle meravigliose labbra, gliel'avevo procurato io con gli eccessivi baci. Si poteva quasi dire che le avessi create io, quelle labbra così confortevoli, così invitanti, così consolanti.
Mi posò addosso quegli occhi freddi, svuotati di ogni goccia d'amore o pietà. Me li sentii addosso come macigni, ma l'avevo immaginato. Quello sguardo mi faceva paura. Non c'era in lei, nei suoi occhi, alcun segno del passato. Era puro e semplice disprezzo, e non si curava certo di celarmelo. Le tremavano le mani, ma era algida nel sostenere il mio sguardo. Le si appannò la vista per tre o quattro secondi, dopodichè sussurrò appena
"che cosa vuoi da me, ancora?"
ma senza la voce tremante. Era sicura. Sicura del suo dolore. Sicura nel suo approcciarsi al rifiuto.
Poi voltò la testa verso la cassa di legno, e trasalì. La sua espressione si trasformò di colpo, e, sempre senza dir nulla, mi guardò interrogativa.
"Elena. Non ti chiederò di non interrompermi, perché so come sei fatta. Conosco la tua immensa educazione, e so che non lo faresti. Quindi, non ho nessun preambolo da farti. So che mi ascolterai. Elena..
dentro questa specie di enorme cassa per animali feroci, è racchiuso tutto il male che ti ho fatto. È grande, me lo riconosco. E' talmente grande che supera il mio corpo e il tuo insieme. È così grande che, se si abbattesse su una persona, è probabile che la paralizzi o la uccida. Il male che ti ho fatto è talmente grande che ti ha paralizzato il cuore. Questa...questa cassa è talmente grande che, infatti, hai notato solo questa. Ma, Elena..."
a quel punto mi girai, e presi la scatola bianca, ponendomela sul grembo.
"Elena, quella che tu non hai notato è questa piccola scatola bianca. Nella sua purezza, racchiude tutto ciò che io sono in relazione con te, la bellezza e la commovente voglia di averti di nuovo accanto. Non c'è relazione tra questa e il male che ti ho fatto.
Ma la scatola c'è. È piccola, ma c'è. Ed è un qualcosa che riesco a portarmi sempre dietro, a portarmi ovunque...a differenza della cassa enorme per animali feroci qui di lato. Per portarmi dietro il male che ti ho fatto, ho dovuto chiamare una ditta di trasporti, pagare un conto salatissimo, chiedere il permesso al parco di trasportarla fin qui, e sudare come una bestia per posizionarla dove è. E' di certo un qualcosa che non farò mai più, Elena, perché mi costa troppa fatica. E perché...perché è troppo più semplice, bello e leggero amarti. Portarmi dietro questa scatolina bianca. Che non pesa, non è d'impaccio, e che..."
Porsi la scatola tra le sua mani bianche.
"e che è tua, e lo sarà per sempre. A differenza di questa cassa, che non sapresti proprio dove mettere nel tuo mini appartamentino... non entrerebbe mai".
La lasciai così, con la scatola bianca in mano, la bocca serrata, quelle labbra che conoscevo bene.
Mi allontanai senza avere più nulla in mano, senza la cassa da trascinare e senza la scatola bianca da cullare.
Non avevo più nulla con me, ed incredibilmente, non mi sentivo affatto leggero.
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I Racconti Del Sale
Roman d'amourUna raccolta di racconti brevi, brevissimi, ed estremamente diretti e pieni di sapore: come un pizzico di sale.