Inchiostro

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Flower Burch amava la musica.
Era la sua vita.

Se accendevi il giradischi e facevi partire una melodia, lei era la prima a chiudere gli occhi.
Lei assaporava ogni nota.
Ogni parola di una canzone era poesia, per lei.
Diceva che gli artisti hanno occhi diversi dai nostri.
La cosa che non sapeva però, era che anche lei, ce l'aveva.

Andava sempre in giro con quell'espressione spaesata e meravigliata allo stesso tempo.
Guardava le cose come fanno i bambini, e le capiva come fanno i grandi.

Flower Burch era un insieme di contraddizioni assurde.
Fu in quella mattina d'autunno, che lo capì.

Le nuvole del giorno prima avevano fatto spazio ad un cielo azzurro come i fondi di alcune bottiglie. Limpido, acceso.
Quasi iridescente.

Flower Burch non amava molto il sole, lo trovava troppo tondo e goffo.
La Luna, per lei, era la vera protagonista del mondo celeste.

Amava sedersi sulla sua solita poltrona di vimini sfilacciata, ad osservare quel cerchio perfetto e bianco.
Candido e silenzioso.
Era una confidente, con quegli occhi grigi e l'aria immobile di chi ti sprona a parlare senza dire niente.

Ma la Luna, a volte, le parlava.
Aveva una voce calda, di bambina, e sussurrava parole dolci in modo affascinante, come una mamma fa con il proprio neonato.
Era proprio bello, ascoltarla.

Fatto sta che quella mattina si alzò pigramente dal letto, il diario stretto al maglione celeste.
Strascicò fino alle scale respirando a scatti.
Ma si fermò al primo scalino.
Sul corrimano, in cima alla scalinata, c'era un passerotto.

Muoveva il becco con movimenti frenetici, e fischiettava melodie incantevoli come quelle che si sentono nei cartoni animati.

Sembrò quasi dirle qualcosa attraverso quello sbatter d'ali.
Ma si sollevò prima che la ragazza potesse giungere altro.
Sparì nel corridoio, i fischiettii sempre meno udibili.

Flower Burch salì le scale a due a due, strinse il diario con così tanta forza fino a sentire il sangue defluire dalle dita corte e squadrate.
Corse dietro al volatile.
Aveva il fiato corto e gli occhi spalancati.

Amava entrare nel suo mondo, quel mondo così lontano dalla realtà che pareva dipinto su una tela troppo scivolosa per essere dipinta.

Rincorse l'uccellino stando attenta a non cadere sul pavimento freddo, poteva sentire il marmo sotto i calzini di lana.
Giunse nella veranda con un ultimo sbuffo.

Faceva caldo, il sole riscaldava la serra con le sue braccia di girasole.

Vide il piccolo passerotto adagiarsi sul cornicione della finestra appena schiusa dinanzi a lei.

Si avvicinò.
Il cuore le tremava ancora.
Sfiorò con le dita il vetro un po' sporco, aprì la finestra.

E la vide.
La poesia che aveva scritto.
Quella che aveva buttato dalla finestra il giorno prima.
Le arrivò dritta agli occhi come una spina nella pelle, con una sfilettata.

Lesse quelle grandi lettere cubitali spruzzate con sicurezza sul muro scrostato del palazzo accanto al suo.

È solo quando siamo consapevoli della morte, che ci aggrappiamo alla vita.
È solo quando calpestiamo le spine, che ci accorgiamo della rosa.
È solo quando siamo innamorati di un paio di occhi, che apriamo i nostri.

Sentì il peso delle sue stesse parole ricaderle addosso come resti di un muro troppo fragile.
Le osservò a lungo, anche quando il sole aveva deciso di oscurarle, lasciando spazio alla Luna.

Flower Burch chiese aiuto alla sua consigliera notturna.
Ma quella notte non le rispose.

Era come morta.

🌈Angolo autrice🌈

Buonasera, spero che questo nuovo capitolo vi sia piaciuto 😊

Lo so, all'inizio può sembrare troppo strana o forse un po' inquietante, ma deve essere così 😂

Nel prossimo capitolo si scoprirà qualcosa in più su Flower Burch, siete pronti?

See you soon,
India🌹

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