Fuori dalla finestra

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Quella mattina Flower Burch si trovava sul tetto di casa sua.
Come tutte le mattine, del resto.

Dovete sapere però che il tetto della palazzina dove abitava era coperto da una grande serra trasparente, che vista dall'alto appariva più come un semplice copertone di plastica, che un orto botanico.

Quel posto sapeva di tranquillità, di silenzio senza pretese.
Sapeva di tutto ciò che Flower Burch adorava disperatamente.

Pensare.

Oh, quanto amava pensare.
Rifletteva sempre su ogni piccolo particolare.
Sul perché le rose si chiamano rose.
Sul perché Dio esiste.
Sul perché l'universo è infinito.
Sul perché esiste l'amore.

Il ticchettio dell'orologio a lancette sul muro di mattoni rossi e rettangolari scandiva il meccanismo dei suoi tumultuosi pensieri.
Se ne stava sempre lì, a sedere su quella poltroncina di vimini sfilacciata, ancora addobbata con gli aghifogli del Natale precedente.
Portava sempre le ginocchia al petto e vi metteva sopra il suo avere più prezioso, lasciandolo in equilibrio sulle rotule leggermente sporgenti.

Trattava quel bloc notes come un gioiello.
Lo accarezzava.
Sentiva l'inchiostro tra le pagine sussurrare impercettibilmente.

Erano quelle parole impresse nella carta bianca, a descrivere meglio Flower Burch.
Diceva sempre che l'uomo non è fatto per parlare, ma per scrivere.
E lei era molto brava, a scrivere.

Solo che quella mattina non ci riuscì.

Alzò gli occhi al cielo, e si mise ad osservare la pioggia scorrere attraverso la grande vetrata del tetto.
Era bello, quel posto, ma mai come quando pioveva.
Le piante intorno a lei si spegnevano leggermente, lasciando alle foglie il caldo ricordo del sole.
Le nuvole sopra la sua testa rossiccia correvano inseguite dal vento, erano grigie come i suoi occhi.
Solo che i suoi occhi erano di un grigio così chiaro da sembrare quasi azzurro.

Cielo d'inverno, cielo d'estate.

Passò un dito sul bloc notes, inspirando quell'aria pesante come una verità nascosta.
Lo sfogliò, il rumore sordo della pioggia che contrastava il ticchettio dell'orologio.

Si fermò ad una poesia, l'ultima che aveva composto.
Le era venuta in mente ad un tratto, mentre stava tornando a casa il giorno precedente.
La calligrafia era un po' confusa, c'erano alcuni scarabocchi qua e là.

Era l'unico modo per non farsi trascinare, scrivere.
Per non volare troppo con la mente.

Ma spesso non poteva farne a meno, Flower Burch.
Ne aveva bisogno.

Deglutì, cercando di rimanere sulla poltroncina scassata.
Ma non ci riuscì.

Sentì all'improvviso un miagolio basso, e si voltò.

C'era un gatto rosso sul cornicione del tetto, faceva danzare pigramente la sua coda sotto la pioggia.
Continuava a miagolare.

Flower poggiò il notes sul tavolino fatto con un pezzo di tronco di albero, e si alzò.
Aprì un'anta della finestra, le gocce di pioggia le entrarono negli occhi.
Strizzò le palpebre.
Afferrò il gatto bagnato, lo sentì tremare fra le sue dita lentigginose.
Quando lo lasciò andare sul pavimento si formò una pozza sotto la sua esile figura, e sbuffò.
Non ci sapeva fare con gli animali.

Fu proprio in quel momento che il gatto salì sul tronco, e si mise a giocare con la copertina pelosa del bloc notes.

E fu proprio un momento più tardi, che l'ultima pagina si ritrovò ai suoi piedi, strappata dal resto.

Flower Burch non strappava mai le pagine del suo tesoro.

Si abbassò, le ginocchia fasciate dai jeans consunti sfiorarono il pavimento freddo.
Trattenne le lacrime.
Allungò una mano e afferrò la sua poesia.

Le sembrò lontana.
Come se non fosse stata lei a scriverla.
Come se non ci avesse mai pensato.
Come se se lo fosse soltanto immaginato.

Seguì l'istinto, e accartocciò il foglio.

Andò di nuovo alla finestra, la aprì con più decisione.
Mise la mano sotto la pioggia.
E lasciò cadere quella piccola parte di sé.

Fu come tornare alla realtà all'improvviso.

Sbattè un paio di volte le palpebre, e si girò.

Il gatto non c'era più.
E nemmeno la pozzanghera.





🐚Angolo autrice🐚

Buonasera a tutti, come va?
Spero vi sia piaciuto il capitolo😊

Ci vediamo al prossimo aggiornamento.


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