Uomo in fiamme

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Regnava il silenzio più assoluto.
Lion non riusciva a sentire nulla, se non il battito del suo cuore, perfetto come il ritmo di un tamburo. L'ingresso era buio e polveroso, come se nessuno vi entrasse più da una settimana o due.
I suoi occhi semidivini riuscirono a cogliere solo alcuni particolari illuminati dalla fioca luce delle loro armi, come un cappello e una finestra rotta, compresa di vari pezzi di vetro sparsi a terra.
Si portò un dito alla bocca, facendo segno agli altri di non fare rumore. Poi mosse il primo passo, oltrepassando la soglia di casa, venendo investito da un'ondata di vento freddo.
I brividi corsero lungo la sua schiena, come se delle dita ghiacciate lo stessero accarezzando. Era consapevole della presenza di Wolf alla sua destra, la mano stretta intorno alla spada, lo sguardo fiero e attento che perlustrava lo spazio circostante.
I piedi di Lion si poggiarono delicatamente sul pavimento di legno, evitando un vaso caduto a terra e andato in mille pezzi. Le mani di Cassie mandarono bagliori nella penombra, attraendo lo sguardo del figlio di Plutone fino a fargli notare qualcosa che gli era sfuggito: si avvicinò alla parete, passandoci le dita con la stessa dolcezza che si usa con gli amanti.
Sangue.
Wolf sgranò gli occhi, mentre Castiel gli metteva una mano sulle spalle, cercando di calmarlo.
« Dov è Alec? »
Lion avrebbe tanto voluto rispondere a quella domanda, ma la sua bocca si rifiutava di parlare, come se in bocca avesse migliaia di spilli appuntiti. Si limitò a guardare il figlio di Chione con amara compassione, brandendo più forte il suo forcone.
Alec era uno dei ragazzi che lo avevano accettato così come era, giù al Campo Giove. Non lo aveva mai preso in giro per via della sua discendenza, deriso per il taglio di capelli o per lo strano copricapo che si portava appresso.
Lion lo avrebbe ritrovato, questa era una promessa.
Fece cenno agli altri di proseguire e di fare attenzione. La cucina era in perfetto ordine, cosa totalmente assurda, vista la situazione in cui l'intera casa versava.
Gli sembrò di avvertire qualcosa, con la coda dell'occhio, ma, voltandosi, non vide nulla.
Alexis gli toccò il braccio e gli mimò qualcosa con le labbra che, però, non riuscì ad afferrare. Era spaventata, notò Lion, forse per via di quella strana sensazione che sentiva anche lui alla base del polso, dove il simbolo di suo padre era marchiato a fuoco sulla sua pelle.
« Non mi piace. » sussurrò Caelie, una spada di bronzo celeste stretta fra le mani, « C'è qualcosa di malvagio, nell'aria. »
Lion la guardò.
Lei rispose al suo sguardo e, mentre stava per dire qualcosa, urlò, un urlo di quelli che ti porta via l'anima, puntando gli occhi direttamente dietro le spalle del figlio di Plutone: qualcosa lo trafisse esattamente in mezzo alle scapole e, nel momento stesso in cui la sua carne veniva lacerata, cominciò a bruciare.
Cadde a terra, perdendo la presa sul suo forcone, mentre Caelie balzava in avanti e allontanava ciò che lo aveva ferito con un urlo di battaglia, la lama che attraversava il buio e lo tagliava come burro. Alexis si inginocchiò vicino a lui, prendendogli un braccio per farlo rialzare, ma lui la allontanò.
Lo avrebbe fatto da solo.
Si puntellò sulle ginocchia, stringendo i denti mentre la ferita sulle spalle bruciava come lava, poi riprese l'arma in oro imperiale e si rialzò in piedi.
Quello che vide lo sconvolse: gli altri si erano disposti a cerchio intorno a lui, facendogli da scudo, combattendo corpo a corpo contro spiriti evanescenti, trasparenti come nebbia.
"Impossibile."
Gli sembrò che Wolf fosse contornato da una leggera aura azzurra, mentre brandiva la sua arma verso un uomo vestito con un'armatura romana. Cassie evocò un fulmine che distrusse parte della casa, ma che centrò il suo bersaglio e rimbalzò su uno specchio, infrangendolo.
« Sette anni di sfiga! » esclamò Castiel, incoccando una freccia e puntandola fuori dalla sua visuale, « Come se non ne avessimo già abbastanza! » gli fece eco Serena, anche lei armata di arco e frecce. Ma la figura più emblematica che attraeva la sua vista era Zheng, il figlio di Ecate, che stava fermo, mentre muoveva solo le labbra e cantilenava una litania tetra e sinistra.
Tetra come le ultime parole di un uomo morente.
« Lemuri. » sussurrò Lion, « Maledetti lemuri. »
Serena fu ghermita da alcune mani scheletriche e, mentre si divincolava urlando, Alexis lanciò un piatto contro uno spirito, il quale si dissolse in fumo, e attaccò l'altro con la sua spada. Caelie gli passò accanto, combattendo contro una donna vestita di stracci, un ghigno malefico dipinto sul suo volto.
C'era una cosa che Lion non aveva notato, e cioè come tutti gli spiriti che si riversavano nella cucina di Alec fossero contornati da fiamme, come se fossero morti bruciati.
Era così assorto nei suoi pensieri che quasi non si accorse che stava per essere trafitto un'altra volta: scivolò verso destra, trapassando con entrambe le punte del suo forcone lo spirito che gli vomitò una maledizione addosso, prima di sparire.
Il lavandino della cucina esplose, sobillato dall'urlo freddo di Wolf, estinguendo brevemente le fiamme degli spiriti e bagnando gli altri semidei. I lemuri cercarono di divincolarsi, ma Lion si accorse che erano trattenuti da un sottile strato di ghiaccio che li appesantiva e gli impediva di scappare.
« Ti stai godendo lo spettacolo, romano? » esclamò Caelie, la quale si era appoggiata alle sue spalle, combattendo contro i suoi nemici. I suoi capelli gli solleticavano il collo, mentre la ferita bruciava, in cerca di aria.
« Neanche per sogno. » rispose lui, sollevando il forcone e facendo fuori altri due spiriti, « Credo che tu ti sia già stancata, o sbaglio? »
La figlia di Apate abbozzò un sorriso sghembo.
« Beh, allora tutte le storie che si raccontano su voi romani sono vere. » commentò, facendo sparire alcuni lemuri senza interesse.
« Che storie? »
« Che siete addestrati a tutto, persino a combattere con una ferita in mezzo alle spalle. » rispose lei, decisa, gettandosi su uno spirito in fiamme e abbattendolo. Lion la guardò rialzarsi e aiutare Serena con l'arco.
Ma, per quanti spiriti facevano sparire, altri prendevano il loro posto.
Il terreno sotto i piedi di Lion si spaccò, rivelando mani scheletriche che ghermivano l'aria, brandendo rudimentali armi infernali.
"Alexis."
La figlia di Ade era appoggiata sullo stipite della porta, ansimante, una brutta ferita che correva lungo la gamba destra. Aveva sempre invidiato i figli della controparte greca di suo padre per via di quel potere.
Lui non ne era in grado.
Tutti gli spiriti che si avvicinavano a Zheng si portavano le mani alla gola e sparivano, come se morissero ancora una volta, affogati dalla loro stessa essenza incorporea.
Lion lanciò il suo forcone contro il figlio di Ecate che, grazie agli dei, capì: si abbassò, mentre un lemure venne soffocato dalle due punte di oro imperiale, tossiche per un mostro come lui.
I due semidei si scambiarono uno sguardo, poi il figlio di Plutone staccò l'arma che si era conficcata nel muro e si gettò ancora una volta nella mischia, sempre più debole.
« AIUTO! »
"Cassie." pensò, voltandosi poco prima che un lemure lo atterrasse. Non sapeva come, ma quegli spiriti puzzavano più del classico odore di zolfo che aveva sentito l'unica volta che era disceso negli Inferi.
L'uomo in fiamme digrignò i denti e lo azzannò su una spalla, lasciando l'impronta della sua dentatura sulla carne.
Lion urlò, richiamando a sé la Foschia e lo spinse via, toccandolo con il forcone.
Strinse i denti per via del dolore, mantenendosi la spalla che zampillava sangue, poi cercò con lo sguardo la figlia di Zeus: una freccia di bronzo celeste colpì il lemure dritto in fronte, il quale lasciò la presa su Cassie.
Castiel di precipitò da lei, constatando solo qualche lieve ferita.
Dopotutto, se la stavano cavando, in qualche modo. Scacciò subito quel pensiero, visto che non era saggio cantare vittoria prima del tempo.
Portava sempre sfortuna. E questa non si fece neppure attendere.
L'aria venne squarciata da un suono assordante, come se qualcuno gli avesse suonato una trombetta da stadio direttamente nelle orecchie, seguita da un odore di morte e di sangue. Alexis lasciò cadere la spada a terra, tentando di non ascoltare, inutilmente.
Lion urlò, un urlo di puro dolore richiamato da tutte le cellule del suo corpo, mentre nella stanza, in maniera magistrale, entrava un carro da guerra, sfondando le pareti in migliaia di pezzi. Su di esso, uno spirito suonava la tromba che aveva appena scatenato la sua sordità e, accanto ad esso, si ergeva un lemure imponente, lo sguardo fiero contornato da fiamme evanescenti.
Alzò la mano e il cocchio si fermò, assieme agli altri che combattevano nel suo nome.
Il figlio di Plutone non si rese conto di avere il fiatone finché il rumore della battaglia non fu cessato. Le ferite sulle spalle bruciavano come acido contro la sua pelle. Si chiese se l'arma che lo aveva colpito, in realtà, non fosse stata avvelenata.
Lo spirito sul cocchio ghignò, ridendo di una di quelle risate che gelano il sangue nelle vene. Poi scese a terra, fluttuando verso di lui, gli occhi puntati sul semidio pirata.
« Lion Davis. » esclamò con freddezza, mentre il ragazzo, adesso, notava alcuni dettagli che gli erano sfuggiti, come la cicatrice che correva sul suo braccio, la gola squarciata che zampillava sangue fantasma e il volto bruciato, come se lo avesse posto sopra un braciere.
« Ti stavamo aspettando. » annunciò.
Lion sgranò gli occhi.
"Lo sapevano, sapevano che stavamo venendo qui!" pensò, mentre tutto il suo corpo reagiva e si lanciava contro di lui, il forcone stretto tra le mani. Lo spirito si limitò a spostarsi alle sue spalle e poi non fu altro che dolore.
Per essere evanescente, era più che materiale.
Le sue dita penetrarono nella sua carne, facendolo urlare e allentare la presa sul forcone. Alexis fece per correre in suo aiuto, ma uno spirito la colpì alla testa e lei cadde. Lui trasalì, quando lo spirito si avvicinò al suo orecchio e gli domandò « Devo per forza farti urlare di dolore per farmi ascoltare? »
Lion ringhiò, come una bestia in trappola.
« Chi diavolo sei? » chiese, il cuore che pompava più adrenalina che sangue, « E cosa diavolo vuoi? »
Lo spirito rise, ritirando le dita dalla ferita, e lasciandolo stramazzare al suolo, accanto a sangue, vetro e cocci dei vasi che avevano distrutto. Gli girò intorno, osservando i suoi compagni di impresa.
« Questo è il meglio che sei riuscito a mettere assieme, per liberare i tuoi commilitoni? » domandò, la voce piena di disprezzo, « Avresti saputo fare di meglio, ne sono certo. »
Le fiamme sulla sua schiena sembrarono scintillare con più vigore, come se stessero bruciando veramente. Il figlio di Plutone fece per alzarsi, guardandosi poi i palmi trafitti da schegge di vetro, la voce distorta dal dolore e dalla rabbia.
« Non hai risposto alla mia domanda. »
Lo spirito ridacchiò, attraendo lo sguardo di tutti, camminando con i suoi sandali di cuoio sul pavimento sporco. Il suo sguardo incrociò quello di Lion.
« Come, figlio di Plutone, non ti ricordi di me? » chiese, alzando quello che una volta era stato un sopracciglio, « Mi ritengo personalmente offeso. »
Lion lo osservò, cercando di immaginare il suo volto non bruciato. Poi qualcosa cominciò a farsi strada nella sua mente, un ricordo di dolore e di vittoria.
« Piritoo. » sussurrò, spaventato, « Dovresti essere morto. »
Allo spirito scintillarono gli occhi.
« Bingo! » esclamò, poi continuò, precisando, « Lo sono, mi hai bruciato vivo! »

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