Battito animale

1 2 0
                                    

Lion urlò.
Era rannicchiato su sé stesso, le mani portate alle orecchie come per fermare il ronzio che si era acceso in esse. I suoi occhi erano chiusi, cuciti alla pelle da una mano invisibile, mentre il suo cuore continuava a martellare contro il petto, tamburo instancabile che lo teneva ancorato alla vita.
« Ti sente bene? » domandò una voce, anziana.
Lion aprì gli occhi, le vene sul polso che gli facevano male come se stesse scorrendo acido. Alzò lo sguardo sulla figura di una signora dai capelli candidi e il volto solcato da rughe, gli occhi gentili e preoccupati. Stringeva tra le mani un mazzo di fiori dai più svariati colori e una borsa pezzata le pendeva dalla spalla.
« Come scusi? » chiese, un cerchio violento che gli roteava intorno alla testa, costringendolo a mettersi pancia all'aria, rivolgendo i suoi occhi al cielo scuro per via della sera. 
L'anziana donna lo guardò con imbarazzo.
« Ti ho chiesto se stai bene, ragazzo. » ripeté, la voce caratterizzata da una nota di preoccupazione. Lion osservò il cielo, passandosi una mano nei capelli disordinati che gli ricaddero davanti agli occhi. Avrebbe dovuto tagliarli, prima o poi, ma adesso aveva altro a cui pensare.
Robin era stata presa in ostaggio, Cassie e Castiel potevano morire da un momento all'altro, Zheng anche. E poi Caelie, quella a cui avrebbe dovuto rivelare i suoi sentimenti, se mai ne avesse avuto il coraggio. La voce di Elena, triste e piangente, le risuonò nelle orecchie, più come una preghiera di sofferenza che come  monito.
« Che colpa ne avevo io, sventurata mortale, caduta completamente in balia della furia di Eros? » 
Si spolverò al meglio la maglietta macchiata del suo sangue, toccandosi leggermente la crosta che si era formata sulla spalla, là dove Alexis lo aveva medicato.
Alexis.
L'avrebbe riportata indietro, certo, anche se non sapeva come. Un'ondata di dolore e rabbia si abbatté su di lui, la sua voce interiore che lo istigava a farla finita, che continuava a dirgli che tutti sarebbero stati meglio senza di lui.
Ed era vero, anche se Lion non voleva ammetterlo.
Per un attimo, tutto lo sconforto e la frustrazione che aveva accumulato durante il corso di quella dura impresa si riversò su di lui, intorpidendo tutte le cellule del suo corpo, spazzando via la sua forza di volontà come se nulla fosse.
Era completamente in balia dei suoi sentimenti.
Eppure, anche se era finito in un tunnel buio e pericoloso, poteva vedere una luce, alla fine di esso, un minuscolo, piccolo barlume di speranza che riprese a gonfiare il suo petto, lasciando fluire tutte le emozioni negative che lo avevano colto.
« Insomma, devo chiamare un'ambulanza? » scalpitò la voce della donna, mentre si abbassava il mazzo di fiori e portava un mano alla tasca dove si poteva vedere il rigonfiamento di un cellulare. Lion scattò a sedere, tra lo sconcerto e lo stupore dell'anziana, poi si rimise in piedi, appiattendo i capelli sotto il cappello che gli aveva regalato suo padre.
Il nome di Plutone aleggiava nell'aria, in quel cimitero, rendendo l'atmosfera più tetra e macabra, ma allo stesso tempo rassicurante e familiare, come se Lion avesse passato la sua vita a crescere in un luogo di morte e distruzione.
Cosa che, in parte, era vera.
« No, no! » si affrettò a dire, facendole abbassare le braccia ed imbastendo un sorriso per non farle pensare di aver appena incontrato un maniaco sessuale, « Mi sento benissimo, grazie per essersi interessata. » 
E corse via, notando come aveva perso tempo.
Le strade del quartiere francese si avvicendavano una dopo l'altra, una esattamente la replica di quella precedente. Lion riuscì a distinguerle solo grazie ai cartelli posizionati sui marciapiedi caratteristici.
Accarezzò pensieroso la testa di un cavallo di metallo ai bordi di Bourbon Street a cui se ne susseguivano molte altre, come a creare un esercito di puledri imbizzarriti. Diverse carrozze tentarono di falciarlo in pieno, mentre i conducenti vestiti in maniera moderna gli gridavano insulti e creavano un'accozzaglia di culture ed epoche nelle vie in festa della città.
Si sentì a disagio.
La gente per strada ballava e suonava, i suoni delle trombe erano squillanti e cristallini. Per un momento li invidiò, quei mortali, così sicuri che nulla di sovrannaturale potesse colpirli, nemmeno nella città più magica e misteriosa degli Stati Uniti d'America.
« Devi trovare l'ultimo cuore battente rimasto. »
Che diavolo era un cuore battente? Non ce l'avevano tutti sul lato sinistro della gabbia toracica? 
Per quanto Lion cercasse una spiegazione, non riusciva a darsi una risposta e, per il momento, era rassicurante, visto che quel cuore aveva sicuramente a che fare con la rinascita di Tartaro.
E lui lo stava anche aiutando.
Ma non poteva lasciare morire i suoi amici, era sicuro di non poter condividere con il senso di colpa che gli bruciava nelle vene, che lo consumava poco a poco, spingendolo a chiedersi se lui avesse potuto evitarlo. Quindi, per adesso, assecondare le richieste di Lilith e Nives era la cosa più ragionevole da fare.
E Lion si era sempre reputato una persona ragionevole.
Si unì al corteo in festa per Bourbon Street, lasciandosi toccare da migliaia di mani e cercando di individuare questo fantomatico cuore battente. Incontrò gli occhi di un uomo di colore che lo guardò divertito, quelli di una donna completamente euforica per via dell'alcol che aveva bevuto e un paio di occhi che gli avrebbero fatto rizzare i capelli sulla testa, se non fosse stato per il copricapo che indossava.
Uno spirito, biancheggiante alla luce della luna, lo aveva afferrato per un braccio, attirando la sua attenzione, per poi scomparire e riapparire qualche metro più in là, un'espressione imperscrutabile sul suo volto incorporeo.
« Vuole che io lo segua. » osservò ad alta voce, ottenendo un'occhiata confusa di un ragazzo che gli stava di fianco, i capelli ricci e scuri, gli occhi sospettosi come quelli di un evaso. 
Aveva tanto l'aria di essere una trappola, ma aveva poche ore per scovare ciò che gli era stato chiesto e non poteva disdegnare gli aiuti che gli venivano mandati. 
Dopotutto erano a New Orleans, la città della magia.
Lion guardò il ragazzo, per un attimo, alzando poco dopo le mani in alto per scusarsi ed uscendo velocemente dalla fiumana di gente che affollava la strada.
L'anello che portava al dito sembrò scintillare più violentemente, mentre si avvicinava allo spettro, una luce violacea che illuminava la pietra di ossidiana montata sull'oro. Era un cattivo segno, ma Lion non ci diede peso, cominciando a correre come un lupo quando lo spirito scompariva e riappariva poco lontano per indicargli la strada.
Boccheggiò.
Aveva i polmoni in fiamme e il fiato gli bruciava la gola come se fosse incandescente. Era sudato, gocce di sudore imperlavano la sua maglietta sotto le ascelle e al centro del petto, lasciandogli chiazze evidenti di fatica, oltre che un odore maleodorante.
Non si era nemmeno accorto che lo spettro lo stava guidando fuori dal centro della città, allontanandolo da Bourbon Strett, il cimitero Lafayette e conducendolo verso la periferia. I brividi cominciarono a correre lungo la schiena del figlio di Plutone, mentre la sua mente cominciava a correre, ricordando alla perfezione quella strada, le insegne rotte e lo stato di degrado in cui quel luogo versava.
A rendere il tutto ancora più inquietante fu un gatto, un gatto randagio che si assiepò ai suoi piedi e miagolò implorante, facendolo sussultare: adesso ne era sicuro, era già stato lì, o almeno, lo aveva visitato durante i suoi sogni. 
BETSY.
Quelle cinque lettere lo misero in agitazione, mentre tutti le singole tessere cominciavano a tornare al loro posto, a formare il disegno di quello che era un puzzle che nemmeno lui poteva controllare. 
Federica e Charlie.
C'era un motivo per cui i sogni avevano deciso di mostrargli proprio quei due semidei fra le migliaia che affollavano il mondo. Le parole delle due streghe risuonarono nelle sue orecchie, mentre visioni di sangue e tortura scorrevano davanti ai suoi occhi come macabri flash, lasciandolo deglutire un groppo che gli era salito su per la gola.
Avrebbe dovuto ucciderli?
In fondo, Nives gli aveva detto di trovare l'ultimo cuore battente rimasto, non di squarciare il petto di una persona e tirarglielo fuori con la forza. Lion immaginò sé stesso affondare la mano nel petto di uno di quei due ragazzi, cosa che lo fece sobbalzare.
Il miagolio insistente del gatto lo riportò alla realtà, facendolo voltare, la brutta sensazione di essere stato seguito. Lo spirito era ancora lì e lo guardava senza alcuna espressione, i contorni del suo corpo che si sfumavano appena ebbe raggiunto una porta di legno.
Era solo, adesso, se non contava il gatto che si stava strusciando affettuosamente vicino alle sue gambe.
« Non ora, palla di pelo. » borbottò, scostando delicatamente il gattino dal manto rossastro, « C'è un cuore da trovare. » 
Cominciò a camminare in maniera spedita, facendo scattare il forcone nella sua mano destra. Guardò il cielo scuro sulla sua testa, le stelle che si facevano timidamente più luminose, prima di infilarsi furtivamente nella casa di quei due semidei.
Silenzio.
O meglio, Lion non sentiva niente, se non alcuni cigolii al piano superiore. Avanzò lentamente, con la luce della sua arma come unica fonte flebile di lue.
Era arrivato, aveva trovato il cuore, ora doveva solo prenderlo.
In fondo aveva affrontato di peggio, quindi perché il cuore gli batteva così forte nel petto, martellandolo come se volesse uscirne fuori senza un motivo apparente? Ripensò all'incubo in cui Caelie stringeva il suo cuore come un macabro trofeo e rabbrividì, portandosi una mano al petto con fare protettivo.
I suoi occhi scuri, ormai abituati alla luce, riuscirono a distinguere i contorni delle scale di legno che aveva già visto nel suo sogno, fatto grazie al quale riusciva a muoversi agilmente all'interno della casa. 
A volte ancora si stupiva di quanto la sua mente fosse fotografica, forse per via della loro predisposizione alla strategia e alla guerra.
"Che vita triste." gli sussurrò una voce nella testa, "Continuate a cadere, a morire, non ne avete abbastanza?"
Lion si voltò, sospettando che fosse un dio a mormoragli dolci parole per distoglierlo dalla sua missione, qualcuno che lo stava guardando dall'Olimpo.
Mimò con la bocca "Smettila, chiunque tu sia." e cominciò a salire la scala senza fare rumore. Osservò la sua ombra proiettarsi sul muro, il cappello a cilindro che indossava che lo faceva sembrare un gentiluomo dell'Ottocento. 
Rabbrividì al solo pensiero.
Infilò un passo dopo l'altro, meccanicamente, affinando tutti i sensi a sua disposizione. Le voci provenivano da quella che doveva essere la camera da letto e la cosa non fece altro che stringere ancora di più il cuore di Lion in una morsa di tristezza.
"È solo istinto di sopravvivenza, solo sopravvivenza." continuava a ripetersi, mettendo a tacere le voci che sussurravano alle sue orecchie per quello che stava per fare. Si avvicinò alla porta, stringendo l'asta del forcone così forte che gli sbiancarono le nocche. 
Sentì il rumore delle lenzuola e le dolci parole d'amore sussurrate da lei a lui, i loro baci sulla pelle e le loro timide carezze. Si sentiva terribilmente in colpa per doverli separare, per lasciare a metà quella che sarebbe stata la notte più quella della loro vita.
E la peggiore di Lion.
Poggiò una mano sul pomello della porta, quando urlò di dolore, mandando al diavolo la sua copertura: un laccio di corde, terminante con una punta affilata di metallo, si era stretta intorno al suo polso sinistro e, adesso, faceva un male cane.
Il ragazzo che aveva visto in mezzo alla folla, quello dai ricci castani la strattonò, lasciando che gli uncini sulla punta scavassero nella sua pelle. Lion gli rivolse la sua occhiataccia peggiore, plasmando le ombre in una onda d'urto che lasciò cadere il ragazzo all'indietro, accompagnando il movimento delle tenebre con il forcone d'oro imperiale.
Si liberò dalla frusta, imprecando in latino.
I due ragazzi si erano svegliati e, adesso, erano nel panico più totale: il ragazzo, Charlie, aveva aperto la porta, il petto liscio e nudo seguito da un paio di jeans messi alla rinfusa, una spada, dalle lettere greche incise sulla lama, brillava tra le sue mani. Accanto a lui, in un'espressione leggermente confusa, ma altrettanto determinata, si ergeva la ragazza dai capelli rossi che aveva visto in sogno.
Federica, non c'era dubbio.
« Hic, che diavolo ci fai qui? » urlò il biondo, attaccando Lion con una velocità inaudita. Il figlio di Plutone parò con l'asta del forcone, rispedendolo indietro con un calcio sferrato al ventre.
Anni ed anni di addestramento militare a Nuova Roma stavano dando i loro frutti.
Il riccio si era alzato più velocemente di quanto Lion avesse pensato, dando il tempo necessario a Federica per brandire un'arma e corrergli incontro, attaccandolo su tutti i fronti.
« Vi salvo il culo, ovvio. » sbraitò, sovrastando il rumore della battaglia e facendo saettare la sua frusta per la stanza con maestria. Allacciò il forcone e lo strattonò via, allontanandolo dal figlio di Plutone, rimasto, così, solo ed indifeso.
« Ora spiegaci che diavolo vuoi da noi. » gli intimò Charlie, puntando contro il suo petto la sua lama di bronzo celeste. Federica gli era accanto, gli occhi cerchiati di ombretto ed eyeliner.
Prima che potesse spicciare una parola, Lion toccò la punta della spada con le dita e questa cambiò colore, fino a diventare nera e pesante, cosa che indusse il biondo a lasciarla cadere a terra, in modo tale che Lion potesse facilmente scostarla con un piede e mandarla giù per le scale.
Il figlio di Plutone si mosse velocemente, venendo vagamente sfiorato dalla frusta di Hic: cominciò ad alzarsi il vento, anche se Lion non vedeva porte aperte e, proprio davanti a lui, esplose un muro d'acqua che lo catapultò sul pianerottolo di sotto.
La furia cieca gonfiava il petto di Lion, quando Hic gli sferzò il petto con la sua arma, lasciando che il sangue scorrere. Il figlio di Plutone urlò, un urlo primitivo, carico di rabbia e dolore. 
E la terra rispose al suo comando.
Il simbolo di suo padre si illuminò di una luce sinistra, mentre scintille rossastre cadevano dal soffitto verso il basso. La terra tremò, sputando fuori metalli e pietre preziose contro i tre semidei: Charlie cercava di fare da scudo alla sua ragazza, mentre Hic agitava la frusta tanto velocemente da bloccare i colpi a lui diretti.
« VATTENE VIA! » urlò Federica, i capelli rossi che le si sollevavano sulla testa, mossi dal vento agitato da Hic, poco prima che Lion venisse intrappolato da una palla d'acqua grande quanto la sua altezza.
I suoi polmoni si riempirono di liquido, mentre faticava a respirava e cercava di liberarsi, con le forze rimaste. Federica era in piedi davanti a lei, seguita da Charlie che aveva ripreso la sua spada, tornata alla normalità.
Stava affogando.
Sentiva la mano fredda della morte toccargli la spalla, il palmo che gli porgeva per accompagnare la sua anima nel regno degli Inferi. Ma lui non voleva morire, lui non voleva andarsene adesso che tutti avevano bisogno di lui.
Suo padre lo aveva avvertito di stare lontano dalla magia oscura, di non provare ancora ad invocare la potenza delle Arti Infernali, ma a mali estremi, estremi rimedi.
E fu allora che successe.
Sentì i suoi occhi illuminarsi di rosso, come se al loro interno contenessero le fiamme dei Campi della Pena, poi un formicolio insistente sulle braccia e il successivo reticolo oscuro delle sue vene, cosa che lo rese potente oltre ogni misura.
Stava attingendo a quel potere, all'ultimo, estremo potere degli Inferi, morte e ricchezza che si agitavano nelle sue mani, rispondendo al suo comando.
L'acqua intorno a lui diventò nera, colorata dal suo dolore, trasformata, poi, in un blocco ghiaccio scuro dalla sua volontà. E infine la rabbia, quella che gonfiava il suo petto, la furia cieca che aveva fatto impostato un solo ordine a tutte le cellule del suo corpo.
Distruzione.
La sfera di ghiaccio esplose, lasciando cadere Lion a terra e mandando gambe all'aria i suoi nemici con una potente onda d'urto. Tossicchiò, mentre il potere di suo padre lo abbandonava progressivamente e lui quasi si sdraiò a terra, per recuperare le forze.
Charlie era svenuto in un angolo del pianerottolo, Federica giaceva poco lontano, accanto ad Hic, la frusta che gli si era attorcigliata intorno ad una gamba. Tutto intorno a lui le pareti erano esplose ed il pianerottolo era disseminato di schegge ed acqua torbida, dello stesso colore del fango.
Aveva quasi distrutto mezza casa, in preda al furore delle Arti Infernali, però era riuscito nel suo intento.
Raccolse il forcone da terra, camminando con la schiena curva come un anziano a cui faceva  male la schiena. Si avvicinò a Charlie, le palpebre chiuse sui suoi occhi chiari, chiedendosi se fosse lui l'ultimo cuore battente.
Poi fece lo stesso con Hic e, infine, con Federica: quando le fu accanto, l'anello e il simbolo di suo padre presero a pulsare violentemente, come dei pezzettini di ferro reagiscono all'attrazione di una calamita.
Era lei, lei era l'ultimo cuore battente.
« Scusami. » le sussurrò, non prima di aver legato i suoi due amici ed aver faticato a trasportarla in braccio, quasi inciampando tra le schegge di vetro che affollavano il resto della casa. A quanto pareva, aveva fatto esplodere tutte le finestre della casa.
Appena mise piede fuori dal Besty, il nome che aveva affibbiato a quel luogo maledetto, si ritrovò davanti il gatto randagio che lo aveva aspettato pazientemente fuori dalla porta, forse sperando che gli portasse qualcosa da mangiare.
Lion lo guardò, osservando le sue pupille a fessura nere in contrasto con il giallo dell'occhio.
« Non molli mai, eh? » gli chiese, cominciando a camminare, sputando dei capelli di Federica che gli erano finiti in bocca. Sembrava una bella addormentata, i capelli riversi verso il basso, come in una cascata di fiamme, il volto disteso e morbido, come se stesse dormendo, appunto.
Il senso di colpa strinse il cuore di Lion, accartocciandolo come un pezzo di carta.
Arrivò al cimitero Lafayette con la stessa facilità con cui aveva lasciato il centro di New Orleans, visto che ogni strada, ogni via e passaggio, adesso, erano ben schematizzati nella sua testa. Federica sembrò dare segni di ripresa non appena oltrepassarono il cancello del cimitero, il respiro che si faceva via via più affannato, il petto che si alzava ed abbassava con foga.
L'aveva tenuta in braccio così tanto che gli si erano indolenzite le braccia ed ogni singola cellula del suo corpo urlava fatica e disappunto. La cappella maledetta era lì, davanti a lui, il cielo che andava progressivamente schiarendosi, passando dal buio della notte alla luce rosea dell'alba.
Vetrate colorate a mosaico, che prima non aveva visto, impreziosivano l'ingresso della cappella, rappresentando l'immagine di una serie di uomini che si gettavano da un baratro a braccia aperte, cosa che fece rabbrividire Lion: chi andava volontariamente verso la propria morte?
Solo un pazzo, ecco.
Mosse un passo, poi un altro, venendo investito dal puzzo di morte e decomposizione non appena fece scattare il passaggio segreto con il suo sangue. La stella a cinque punte tracciata sul muro scintillò con forza, prima che il cunicolo si aprisse, come una sorta di marchio nero.
Lion digrignò i denti per la fatica, continuando a sorreggere il corpo senza sensi di Federica, i capelli rossi che gli solleticavano i polsi, dandogli una fastidiosa sensazione di prurito. Erano quasi arrivati, pochi metri e poteva liberare i suoi amici dal legame che le due streghe avevano stretto per convincerlo a fare qualcosa di cui si sarebbe pentito.
Il bivio, il tunnel scuro rischiarato solo da occasionali torce di fuoco greco e poi, finalmente, l'enorme sala  con l'altare nero. Il volto di Caelie si illuminò quando lo vide arrivare, anche se il corpo della ragazza tra le braccia la fece rabbrividire dalla paura.
Cassie e Castiel erano vicini, le mani strette come solo due innamorati possono fare. E poi c'erano Zheng e Serena, i due che si tenevano in disparte, come a non volersi mischiare agli altri. Robin sedeva solitaria su un piccolo masso di pietra, la testa piegata tra le ginocchia, le lacrime che solcavano il suo viso.
Vederla in quello stato fece scattare un moto di compassione in Lion.
Quasi sperava che Lilith e Nives non ci fossero, invece erano lì, l'una seduta sull'altare di pietra con grazia, l'altra in piedi, la veste a ragnatela che lasciava intravedere i centimetri della sua pelle pallida, come se avesse fatto dei bagni nel latte d'asina.
« Lion Davis. » sussurrò Nives, i capelli scuri le ricadevano su una spalla come una cascata d'ombra, « Hai mai pensato di passare al lato oscuro? Saresti un ottimo alleato. » sostenne, alzandosi in piedi e, con la velocità di una gazzella, gli fu accanto, per studiare i contorni del viso di Federica che Lion aveva deposto a terra.
« L'ultimo cuore battente, Lilith. » esclamò, trepidante, il cuore che le batteva violentemente nel petto, gli occhi illuminati da una luce folle, « È nostro. »
La chioma bionda di Lilith si contorse come un nido di serpenti, poi iniziò a cantilenare in greco, parlando di morte, vita e di un legame che andava spezzato. Nell'aria si sentì un odore di bruciato, poi un violento snap, come il suono di una pietra spezzata.
« Il legame è spezzato, figlio di Plutone. » disse, la voce atona, muovendo un passo verso di lui, aggraziata come una dea, « Noi manteniamo sempre le nostre promesse. »
Lion guardò i suoi amici ed ebbe un attimo, un unico attimo prima che Caelie gli saltasse addosso e lo baciasse.
Fu la cosa più strana che fosse successa.
Le labbra della figlia di Apate erano premute sulle sue e sapevano di cupcake alla fragola. Sentì avvampare le orecchie, lambite da una sorta di fuoco interiore, le guance arrossarsi per la timidezza, mentre si abbandonava al bacio e si lasciava andare, mettendole le mani tra i capelli scuri, tirandola verso di sé.
Sentiva lo sguardo di tutti addosso, ma non gli importava.
Gli sembrò che le ossa gli si sciogliessero in burro, così come il resto del corpo, finché non si sentì andare completamente in fiamme, il cervello in pappa, il cuore euforico, un tamburo isterico che batteva contro il suo petto.
« Ah. » sospirò Nives, gli occhi più brillanti dello stesso cosmo, « Amor vincit omnia, vero? » domandò, spostando il corpo di Federica sull'altare nero, grazie anche all'aiuto di Lilith.
Le loro labbra si staccarono e Caelie lo guardò negli occhi, dicendogli più cose di quanto avrebbe potuto mai fare a parole. Lion fece intrecciare le loro dita, mentre euforia, gioia ed amore gonfiavano il suo petto, rendere la sua iperattività ancora più accelerata.
« Et nos cedamus amori. » continuò Lion, riprendendo uno dei versi più celebri della letteratura romana, continuando a sostenere lo sguardo di Caelie, incapace di interrompere il contatto. Intravise il volto felice di Cassie, la smorfia gioiosa sul volto di Castiel e quello di Serena, intenta a scambiare qualche parola con Zheng, completamente indifferente a quello che stava succedendo.
Poi qualcuno gli mise una mano sulla spalla, costringendolo a voltarsi. Prima che potesse reagire, Lilith si sporse verso di lui, baciandolo esattamente allo stesso modo di Caelie, le palpebre calate sugli occhi, la lingua che cercava la sua, la terra che sembrava sfilarsi sotto i suoi piedi.
Lion cercò di combatterla, ma la stretta che aveva sulla sua maglietta era di ferro, cosa alquanto strana per una ragazza. Alla fine si fermò, scostandosi con un sorriso divertito.
« Qual è stato il migliore, il mio o quello della tua amichetta? » chiese, giusto per mettere zizzania, spostando lo sguardo da un figlio di Plutone alquanto sconcertato ad una figlia di Apate arrossita per la rabbia e la vergogna.
Lion cercò di risponderle a tono, ma scoprì che entrambi i baci che aveva ricevuto gli avevano scombussolato il suo fragile sistema interno, cosa che lo portò a boccheggiare come un pesce fuor d'acqua.
« La tua espressione dice tutto, Lion. » ridacchio Lilith, spostandosi e avvicinandosi all'altare dove Nives stava preparando l'occorrente per un oscuro rituale, « Sai, a volte l'amore può essere così fragile. » continuò, divertita, sibilando come un serpente.
Lion era in una sorta di stato di trance dal quale faceva fatica a svegliarsi. Incontrò la mano di Caelie alla sua destra e il suo sguardo determinato, ma anche timido allo stesso tempo, gli diede la forza di reagire.
« Ho fatto la mia metà, streghe. » disse, pronunciando quell'ultima parola come se fosse veleno, « Ora voglio che rispettiate il patto. »
Le torce alle spalle di Nives scintillarono con più forza, come se qualcuno ci avesse appena gettato dentro dell'alcol. I suoi occhi si accesero dello stesso colore delle fiamme, due tizzoni ardenti su una maschera di ghiaccio.
« E cosa vuoi, Lion Davis? » chiese, la voce calma e pericolosa. Lio sentì la terra tremare sotto i suoi piedi, scossa da un grido per niente umano. « Cos è che il tuo cuore desidera di più, adesso? »
Lion guardò i suoi amici, domandandosi cosa effettivamente avrebbe chiesto alle due streghe. 
Il sorriso sadico di Lilith era disarmante, mentre lei aveva evocato un serpente e ci stava giocando, come se non maneggiasse altro in tutta la sua vita. L'aspide nero si arrottola liscivo sulle sue braccia, cingendo la sua vita come una cintura, mente lei gli teneva la testa, la lingua biforcuta come quella del serpente.
« Allora, Lion Davis? » domandò ancora Nives, scostando una ciocca dei capelli rossi di Federica dal viso addormentato, « Non possiamo perdere altro tempo. Il rituale di sangue deve essere compiuto adesso, catalizzando la forza dell'aurora e della perfetta sovrapposizione di tutti i pianeti celesti. »
I suoi occhi si infiammarono.
« Se hai una richiesta, falla adesso o taci per sempre. »
Lion guardò prima le due streghe, gli occhi dell'aspide che lo fissavano, in attesa della sua risposta, poi quelli dolci ed espressivi di Caelie che gli davano conforto. Il suo sguardo, poi, fu rapito da Robin, il volto pallido ed emaciato e Lion si ricordò la vera missione per cui era partito.
Liberare i suoi fratelli romani.
Eppure, il suo cuore gli diceva che non era quella la cosa più importante che gli interessava: si era promesso molto, da quanto era partito con gli altri dal Campo Mezzosangue ed era deciso a rispettare, quelle promesse.
Ora, anche se voleva rivedere sua sorella Alexis, dubitava che Lilith e Nives potessero riportala indietro senza un opportuno sacrificio, quindi chiese quello che era per lui più ragionevole.
« Alec e Wolf. » disse, la voce ferma e seria come mai si era sentito, « Rivoglio indietro il lupo e l'agnello. »

ImmortalsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora