Meccanismi di difesa

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La prima cosa che pensò fu di essere all'interno di una tomba.
L'oscurità lo avvolgeva come una coperta, buia, umida, mentre i suoi sensi venivano meno. Annaspò nell'ombra, come se stesse affogando in acqua, poi si rese conto di essere incorporeo.
Si chiese cosa ci facesse lì, se fosse in una sorta di sogno, o meglio, incubo, ma nessuno soddisfò le sue domande.
Vagò senza meta finché intorno a sé si cominciarono ad accendere delle luci. Lion pensò che fossero torce, magari bracieri, ma ben presto si accorse che erano più piccoli di una fiamma normale e meno luminose.
"Fuochi fatui." pensò, ricordando la montagna di spiriti che aveva visto al Campo Giove, quando aveva invocato suo padre. Tutti lo avevano guardato male, tutti gli avevano detto che era un cattivo presagio chiamare il signore dell'Oltretomba.
Ma Plutone era pur sempre suo padre.
Uno dei fuochi fatui attrasse il suo sguardo, magnetico come una calamita, e iniziò a muoversi, guidandolo attraverso l'oscurità che cominciò a prendere forma: apparvero bracieri, veri questa volta, di bronzo, pareti di ossidiana e corridoi spogli.
Lion aveva paura.
Lo spazio stretto in cui si trovava gli metteva i brividi e sussultò quando il suo fuoco fatuo guida scomparve. Si voltò più volte, alla sua ricerca, sussurrò persino un "aiutami", ma non successe nulla. Poi sentì dei passi alle sue spalle, dei tacchi che battevano sulla pietra.
Una ragazza dai lunghi capelli biondi attraversò l'angusto corridoio, una veste nera come la notte, a ragnatela, che le copriva il corpo pallido. Sembrava uno di quegli spiriti delle Praterie degli Asfodeli, ma molto più bella e, ovviamente, più letale.
Il suo sguardo attraeva le ombre, che accompagnavano il suo passaggio come sue compagne. Lion, incorporeo, si sforzò di seguirla, agitando affannosamente le braccia, per poi scoprire che una leggera brezza lo stava sospingendo esattamente dove voleva andare. La ragazza, che non poteva avere sui diciassette anni al massimo, camminava austera nel silenzio, rotto solo dal rumore sordo dei suoi tacchi.
Non si curava dell'inquietante atmosfera che si respirava lì dentro.
Poi Lion urlò: se fosse stato lì veramente, sapeva che sarebbe stato già morto. Era stato addestrato a non avere paura, a resistere al peggio, ma non poté fare a meno di urlare quando vide delle mani artigliare l'aria e scattare al passaggio della ragazza.
Erano mani umane, Lion ne era sicuro, ma quasi ridotte all'osso. Le vene sporgenti e le unghia sporche gli facevano accapponare la pelle, soprattutto perché stava cominciando a riconoscere quelle mani. E, più lo faceva, più il ribrezzo aumentava.
Pesanti sbarre di ferro le bloccavano, mentre tentavano inutilmente di afferrare la ragazza. Lion aspettò che la brezza del sogno lo muovesse, ma non successe nulla. Allora cercò di fare da sé, ma ottenne lo stesso risultato.
Era bloccato lì, come se il suo sogno gli impedisse di andare avanti.
"Maledizione!" sibilò, sbattendo un pugno invisibile contro il muro.
Fu allora che successe: qualcuno riuscì ad afferrare la gonna scura della bionda, una mano scheletrica che si strinse intorno alla sua caviglia di un pallore mortale.
C'era qualcosa, in quella ragazza, che lo spaventava a morte.
Per un attimo, cacciatore e preda si guardarono, poi una voce gracchiante dalla cella parlò, risvegliando i demoni che dormivano dentro Lion, facendogli bruciare la pelle.
« Tu, maledetta strega. » sillabò, anche se le mancava la forza di parlare, « Liberaci subito! Non meritiamo questa fine. Non come ratti. »
La bionda rise e la sua risata gelida riempì il corridoio. Lion conosceva quella voce, conosceva la ragazza nella cella.
Ne era sicuro.
« Io non ti devo niente, romana. » sussurrò, la bocca storta, gli occhi di ghiaccio, « Vorresti una morte onorevole? Morire in piedi, piuttosto che in ginocchio? » chiese, la voce piena di disprezzo.
La ragazza nella cella ringhiò, come un cane affetto dalla rabbia, cercando di stringere la presa sulla caviglia dell'altra.
« Questo dipenderà da quanto sarai brava a fare da esca. » scalciò la bionda, mentre si liberava con un rapido scatto del piede e schiacciava la mano della prigioniera con un tacco vertiginosamente alto. « Ora togliti dai piedi. »
La ragazza nella cella sputò a terra, ritirandosi nell'ombra, mentre le mani smettevano di muoversi appena la bionda si fu allontanata. Lion fece a pugni con un muro invisibile che, finalmente, si ruppe.
Si spostò in avanti, appena in tempo per vedere un pezzo dello viso sporco della ragazza, scarnificato dalla fame, scavato dalla rabbia.
"Robin." sussurrò Lion, sentendosi come se qualcuno gli avesse appena sfilato la terra da sotto i piedi. "ROBIN!" urlò, picchiando le mani contro la cella, senza ottenere risultati.
Non doveva piangere, era stato addestrato a non farlo.
"Verrò a liberarti, è una promessa."
Poi il vento lo trascinò in avanti, mentre lui cercava inutilmente di restare ancorato a quella cella, iniziando a riconoscere i visi che aveva visto così tante volte al Campo Giove.
TUM TUM.
Poco più in là, c'era un altare. Ed era un altare nero.
Non era un buon segno, di solito quelli neri si usavano per sacrifici umani e per evocare divinità oscure, anche molto più infernali di suo padre. Notò cani dal manto scuro e buoi dal vello nero che cercavano di liberarsi dal recinto di pietra in cui erano stati confinati, invano. Pecore nere, pipistrelli e altri oggetti oscuri che avrebbero fatto la fortuna di una strega.
In che razza di posto era finito?
Il cuore gli balzò direttamente in gola quando si accorse che la ragazza bionda si era fermata, le braccia incrociate al petto, come se stesse aspettando qualcosa. Il suo sguardo era alto, fiero, e gelido.
Fu quella la cosa che più impressionò Lion: era lo stesso sguardo che avevano gli spacconi, i traditori o gli assassini.
Seguì i suoi occhi, ancorando il suo sguardo su un'altra ragazza, i capelli corvini come la notte che li avvolgeva, mentre avanzava a passo veloce nella stanza. Aveva un coltello di oro imperiale stretto nella mano destra.
Ciocche scure le danzavano davanti agli occhi, quando condusse un cane alla pietra nera. Lion deglutì a fatica, sapendo già cosa stava per succedere.
TUM TUM.
Catene fatte di oscurità assicurarono la bestia all'altare, strinsero il suo muso morbido, le sue zampe che cercavano affannosamente di liberarsi, invano. Gli occhi della nuova ragazza sembravano concentrare in essi tutta la potenza del cosmo.
Un brivido corse lungo la schiena di Lion. Cominciò a giocherellare con l'anello che portava al dito, come faceva sempre quando era nervoso.
« Lilith, novità? » chiese la mora, girando intorno all'altare di pietra nero, il pugnale scintillante nell'oscurità, « Ho saputo che è arrivato al Campo. Dobbiamo catturarlo, al più presto. »
Lilith rise.
« Oh, lo faremo, Nivs. » esclamò, sibilando come un serpente, « Conosci qualcuno che è scappato alle mie grinfie, per caso? »
La sua sicurezza era impressionante, tanto che Lion rimase impietrito, gli occhi fissi su di lei.
« Ovviamente no. » rispose l'altra, avvicinando il coltello alla gola del cane incatenato all'altare. Lion voleva distogliere lo sguardo, mentre la brezza lo spingeva verso la mora, ma non gli era permesso.
« Dobbiamo solo aspettare. » continuò Lilith, « L'agnello verrà volontariamente al suo sacrificio. Le antiche pietre saranno macchiate del suo sangue. Non resisterà alla chiamata delle ossa. »
Stavano parlando di lui?
Nivs sorrise, lo sguardo gelido che incontrava quello del cane spaventato.
TUM TUM.
« Non ti farà male. » sussurrò, all'orecchio del cane, « La tua vita servirà a fortificarlo, a fortificarci tutti. »
Poi il coltello calò sulla sua gola.



Lion per poco non batté la testa contro il muro della cabina di Ade.
Alexis aveva insistito tanto per ospitarlo lì, quindi non aveva potuto rifiutare. Pareti di ossidiana, nere, attraevano la luce, rendendo cupo l'ambiente. Gli arredamenti rossi spiccavano in tutto quell'oscurità, rendendo la capanna di Ade come quel castello di Dracula che aveva visto una volta alla televisione.
Teschi e diamanti adornavano le cornici dei quadri, mentre l'intero ambiente rimaneva monocromatico, incentrato sul rosso sangue o sul nero.
Mosse le dita, ancora convalescente, e queste risposero al suo comando. Per un attimo, rimase lì, riflettendo su quello che il sogno gli aveva mostrato: Robin era ancora viva e, se lo era lei, lo potevano essere anche molti altri della sua legione. Avrebbe potuto trovarli, ne era sicuro, ma a spaventarlo erano quelle due ragazze, belle e letali come serpenti.
Si passò velocemente una mano nei capelli, alzandosi dal letto e infilando un paio di jeans che alcuni ragazzi dello spaccio gli avevano prestato. Cicatrici e ferite ancora fresche percorrevano le sue gambe, ispide e villose, il tatuaggio di suo padre che attraeva il suo sguardo come una calamita.
La maglietta del Campo Mezzosangue gli stava stretta e delineava troppo vistosamente il contorno del suo corpo. E poi, anche se apprezzava la gentilezza dei ragazzi del campo, sapeva che quella non era la sua vera casa. Se la tolse, indossando una maglietta nera di qualche figlio di Ade della cabina, promettendosi che un giorno glie l'avrebbe restituita.
L'anello che portava al dito sembrava pesare di più ad ogni passo che faceva: la montatura in oro imperiale sosteneva una pietra di ossidiana su cui era inciso un leone rampante, sé stesso, con un piccolo glifo nero sullo sfondo, il simbolo di suo padre.
Non era stato molte volte al Campo Mezzosangue da quando Gea era stata sconfitta, ma aveva imparato la sua mappa quando Ottaviano aveva cercato di distruggerlo, aizzando contro i greci la legione. La sua mente lo guidò verso quella che era l'armeria del campo, un basso edificio costruito come un'accozzaglia di materiali di scarto si ergeva nelle prossimità della capanna di Efesto, il dio greco della metallurgia.
Bussò alla porta, in attesa di una voce, ma a rispondergli fu solo il battere monotono di un martello sul ferro caldo: attraverso la porta socchiusa, Lion poté vedere una ragazza muscolosa lavorare su una lunga spada, di bronzo celeste tirò ad indovinare Lion, una mascherina protettiva davanti agli occhi.
« Ehm ehm. » tossicchiò, mentre si immergeva nell'atmosfera da officina, respirando fumo e carbone, « Posso? »
La ragazza alzò gli occhi dal progetto a cui stava lavorando, facendogli un cenno con il viso. Aveva i capelli biondi stretti in una coda di cavallo, piccole rughe intorno agli occhi, come quelle di chi sorride spesso.
Lion si chiese come facesse ad essere sempre felice, allora.
Si alzò la mascherina sui capelli, il martello stretto in un guanto da lavoro che la rendeva una sorta di meccanico donna sexy. Gocce di olio e grasso dipingevano le sue braccia di marrone e nero.
« Ciao! » esclamò, asciugandosi il sudore con il dorso della mano, « Sei il ragazzo romano, giusto? »
"Accidenti, come corrono le notizie, qui!" pensò Lion, facendo buon viso a cattivo gioco, « Esatto, sono Lion. Piacere. »
Sorrise.
« Ti stringerei la mano, ma ... beh ... » La ragazza sembrò arrossire.
« Fa niente! Comunque io sono Gabriela, ma chiamami Gabri. » gli sorrise, facendo una faccetta buffa, « Suppongo che tu non sia venuto qui solo per presentarti con una figlia di Efesto, no? »
Lion fece un sorrisetto, avvicinandosi al suo tavolo da lavoro stringendo il suo anello in mano. Glielo porse.
« Non sono esperta in cose del genere. » si scusò Gabriela, sorridendo, « Mi occupo di motori, armi ed altro, ma non di anelli. »
Lion fece un rapido movimento con le mani e si ritrovò a stringere un forcone di oro imperiale alto circa un due metri: le punte, che una volta erano state acuminate, adesso erano storte e inservibili. Il fusto era piegato in più punti, dove i mostri avevano sbattuto, mentre dava l'aria di volersi sgretolare nelle sue mani.
Lei sembrò sorpresa.
« Oh dei. » sussurrò, « Non ho mai avuto un'arma del genere, né tanto meno un meccanismo simile. »
« È magico. » gli suggerì lui.
« L'avevo intuito. » disse lei, sorridendo come una bambina a cui era appena stato dato del gelato, « E vorresti che lo riparassi, vero? »
« Beh, si. Devo ripartire al più presto e non posso combattere i mostri con un forcone smussato. »
Sembrò pensarci su.
« Normalmente ti chiederei un pacchetto di patatine al formaggio, un libro o un pagamento in dracme, ma per te sarà gratis! » esclamò, « Offre la casa. Solo una cosa: perché proprio un forcone? »
« È l'arma divina di mio padre, assieme all'elmo del terrore. » rispose Lion, aggiustandosi il capello in testa, « Quando posso passare a prenderlo? » chiese, mentre la sua testa volava già altrove.
« Oh, wow. » controllò, l'orologio che aveva al polso, « Il tempo di finire questa spada. Te lo porterò al consiglio di guerra, parteciperai, non è vero? »
Lion avrebbe tanto voluto rispondergli "No, parto per cercare di ricostruire casa mia!", ma non poteva andarsene senza dare spiegazione ai greci della sua presenza lì.
« Certo, sarò lì. » promise, « Grazie mille. »

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