La legge del più forte

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Il sapore forte della terra si mischiò lentamente alla saliva che aveva in bocca, mentre fili d'erba secca gli solleticavano il viso.

Ogni centimetro del corpo di Lion urlava di dolore, le ferite fresche sulle braccia che bruciavano come se qualcuno le stesse massaggiando con tizzoni ardenti.

Sentì la fronte sudare, mentre tentava inutilmente di rimettersi in piedi. Tossì forte quando parte del sangue gli andò di traverso lungo la gola e il suo sapore metallico gli invadeva la bocca, poi si rannicchiò su sé stesso, cercando di provare meno dolore possibile. 

Era lì, disteso su un fianco, con la sola compagnia delle gemme e delle pietre preziose con cui la terra aveva risposto alla sua chiamata.

Cercò di alzarsi, puntellandosi sulle ginocchia, ma il suo corpo non aveva intenzione di obbedire ai suoi comandi, ricadendo ogni volta a terra, come una bambola di pezza.
Il suo stato di semi coscienza lo incitava a non addormentarsi e a rimanere vigile, visto che c'era una buona probabilità di cadere in coma irreversibile o morire, addirittura. 

Urlò, contorcendosi come un ragno appena calpestato, dimenandosi con le gambe in cerca di un appiglio per rialzarsi.



Lion era a terra, il fianco completamente ricoperto di sangue, la pelle scottata, gli occhi troppo neri e gonfi per cercare di aprirsi. Sopra di lui il cielo era livido di rabbia, le nuvole grigie facevano sentire la loro presenza, avvertendo l'arrivo di una tempesta.
Urlava, Lion lo sapeva, stava urlando nel bel mezzo del nulla, con una cupa casa diroccata che gli faceva da sfondo.
Ma non gli importava.
I suoi occhi erano colmi di lacrime, le sue mani stringevano furiosamente un pugno di foglie strappate a qualche albero, albero al quale aveva tentato di appoggiarsi per riprendere fiato. ll cielo sopra di lui rombava, coprendo i suoi lamenti di dolore.
Stava pregando, cosa che Lion non aveva mai fatto.
Non sapeva cosa ci fosse sopra di lui, se un Dio con la "D" maiuscola, dei o alieni, ma invocò aiuto, tentando di ignorare il dolore che lo stava consumando da dentro, come se un mostro albergasse dentro di lui e stesse cercando di uscire. Non lo aveva ammesso ad alta voce, ma aveva paura.
Era solo. Era debole. Vulnerabile.
« Devi alzarti da solo, se vuoi vivere. » gli disse una voce nella testa, una voce più forte del dolore, la pagliuzza che qualcuno gli stava offrendo per non affogare e a cui Lion tentò di aggrapparsi, « Dimostra il tuo valore, Romano. »
Nessuno sarebbe venuto lì a salvarlo.


La mente di Lion volò a quel ricordo, quel ricordo che conservava sotto pelle e che era sempre pronto a ricordargli la sua vera storia, la sua origine.  La sua stessa essenza.
Suoni gutturali uscirono dalla sua bocca, senza che lui ne avesse il controllo: provò il prepotente bisogno di chiedere aiuto, invocare suo padre, magari, ma gli anni che aveva passato al Campo Giove gli avevano insegnato a contare solo sulle proprie forze, senza aspettarsi nulla da nessuno. 

Il dolore era troppo forte, Lion si chiese come avesse fatto a resistere fino a quel momento. 

Sarebbe morto lì, per le stupide ferite di un segugio infernale e per le scottature di un paio di mostri, quando era sopravvissuto a ben altro, nella sua vita.
Stava quasi per mollare, per pagare il biglietto di sola andata verso gli Inferi, quando il suo cervello registrò l'avvicinarsi di voci e passi sull'erba. 

Si dimenò, con le sue ultime forze, e tentò di urlare, anche se dalla sua bocca non uscì alcuno suono.

Provò ancora, ma non ci fu nulla da fare.
Non era il suo cervello sovreccitato, però, ad avergli giocato un brutto scherzo: l'esplosione, effettivamente, aveva creato parecchio scompiglio giù al campo, quindi ninfe e satiri erano venuti a controllare, accompagnati da un paio di semidei che si aggiravano da quelle parti.
« O miei dei! »
La voce di quel ragazzo era a pochi passi da lui. 

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