Per le persone timide, chiuse, per quelle che non amano molto stare in mezzo a troppe persone e, le quali riescono a creare un loro scudo difensivo, che col tempo diventa un muro e con gli anni una gabbia, arriva un momento in cui si accende qualcosa dentro che dice: "Voglio vivere! Voglio uscire da questa gabbia!".
Arrivati a questo punto si hanno due scelte, ovvero, uscirne piano piano e con un lavoro non indifferente oppure farlo da un giorno all'altro, senza alcun preavviso, ma accettando ed essendo consapevoli dei rischi ai quali si va incontro.
Io scelsi di farlo tutto insieme e sì, probabilmente non ho fatto una scelta molto razionale, ma onestamente, non c'era nulla di razionale nemmeno nell'aver creato la mia stessa gabbia.
In conseguenza di traumi più o meno gravi, ognuno di noi reagisce in modo diverso.
Io ero persona che amava il contatto fisico, che amava gli abbracci, che parlando con qualcuno aveva il bisogno di guardarlo negli occhi, ero una persona che si fidava molto delle persone e benché avessi la mia timidezza e un carattere riservato, mi piaceva stare con le persone, conoscerle, osservarle. In reazione però ai traumi subiti, ovvero le violenze fisiche e psicologiche ripetute e a situazioni familiari non proprio tranquille e, in conseguenza del fatto che le violenze subite avvennero da parte di una persona della mia famiglia, dunque persona fidatissima, il mio approccio alla vita e più in generale con il genere umano, cambiò completamente.
All'età di otto anni cominciarono i primi attacchi di ansia, erano molto forti e io non in grado di gestirli. Non puoi certamente gestire né quelle situazioni, né quei momenti, né tantomeno qualcosa di rispettivamente molto più grande di te.
Crescendo, gli attacchi di ansia si sono stabilizzati, alle volte migliorati, altre peggiorati. Sono sempre stati presenti però, fin da quell'età.
Per cui io iniziai a creare la mia confort zone, ovvero, una zona interna alla mia persona, dove potermi rifugiare qualora avessi attraversato un momento di dolore, di rabbia, di inquietudine ma soprattutto felicità. Da quel momento, non ho più condiviso con nessuno le mie emozioni, i miei pensieri. Il mio migliore amico divene un pezzo di carta.
Smisi di parlare con le persone, smisi di amare il contatto fisico da parte di tutte le persone attorno a me, non riuscivo a guardare negli occhi le persone che mi parlavano.
Razionalmente oggi posso dire che io non ho cambiato la mia persona per nessuno, ma è stato qualcun altro a cambiarmi senza che io lo richiedessi.
Dopo dieci anni di completo isolamento, iniziai il mio iniziale percorso di "guarigione". Iniziai la terapia, iniziai a parlare di me, della mia persona, dei miei ricordi, della mia vita, del mio amore e del mio essere. Nei primi tre anni feci molti progressi, mi riavvicinai alla mia persona, accettai la mia essenza, feci progressi anche sul punto di vista sociale e poi... Mi fermai per problemi tecnici.
Passai un anno a farmi domande, tornò l'isolamento e a differenza degli anni precedenti successe qualcosa. Se prima ci stavo bene in quel contesto, in quel momento, era la cosa che più mi faceva stare male.
Poi trovai un altro centro, conobbi una dottoressa molto brava con la quale feci il primo colloquio e con la quale facemmo i test psichiatrici nei tre incontri successivi, con la presenza di colui che sarebbe diventato il mio terapista.
Rientrati nel settembre 2018, lui mi spiegò un pochino di cose e a differenza di ciò che pensavo mi trovavo bene con lui, mi fidavo e provavo molto meno imbarazzo parlando con lui rispetto il parlare con una donna.
Iniziarono molte cose in quel periodo e iniziai anche il mio primo lavoro. Quello per cui avevo fatto un cambio sociale alla kamikaze.
Ovvero, venivo da un periodo buio, da un anno di depressione, da un anno di isolamento sociale e mi sono trovato poi catapultato in un posto pieno di persone, a stretto contatto con esse, con le quali dovevo anche parlare guardandole (o provandoci almeno!) negli occhi.
Era un'incarico che, avevo accettato io (sì lo so, sono un genio del male), per sfidare me stesso, pre provare a me stesso che potevo farcela, che potevo tornare ad essere una persona come tutte.
I primi momenti andarono bene, poi l'ansia ostacolò il percorso.
Se c'è una cosa che avevo considerato accettando il lavoro, era che gli attacchi di ansia potevano riprendere nella modalità forte. Ma l'ansia non aveva preso in considerazione che io, arrabbiato con tutti quelli che nella vita mi avevano fatto male, chi più pesantemente chi meno, con tutti quelli che dicevano "cambia lavoro, non sei portato per fare questo", avevo detto a me stesso di volercela fare e che caparbietà, ansia a parte ce la stavo facendo.
Era vero che non ne volevo sapere di contatto fisico, era vero che non riuscivo a guardare negli occhi una persona per più di sette o otto secondi, era vero che ancora non parlavo molto, ma, i passi che avevo fatto per arrivare fin lì erano molti ed io non avevo intenzione di sprecarli.
La frase che in quei momenti mi ripetevo spesso per calmarmi era "cuore caldo e mente fredda". Il cuore pulsa emozioni, ma si deve mantenere un certo grado di razionalità per raggiungere i propri obiettivi.
Ciao ragazzi, questo capitolo è uno di quelli un pochino strani e particolari, racchiude molte cose in maniera più o meno dettagliata o che comunque abbiamo affrontato nei precedenti capitoli, c'è l'aggiunta di cose nuove e nuovi inizi e c'è molto di me, per questo c'ho messo un pochino a scriverlo.Love yourself!
ValeRio_Monkey
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The Story Of My Life
RandomQuesta è una storia vera. Riguarda una vita divisa a metà e la difficoltà che alle volte c'è nell'esser se stessi. Una cosa è certa, nella vita solo chi si dimostra forte ha il coraggio di vivere se stesso e la propria vita col sorriso.