Prompt #1 Run for Your Life! - Il Progetto Lamaštu

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Le ruote stridettero sull'asfalto, mentre l'autobus inchiodava e le porte si aprivano con uno scatto secco. Con un sospiro scesi, aprendo l'ombrellino pieghevole.

Il marciapiede che costeggiava il parco di Villa Pamphilj era deserto a quell'ora tarda.
Camminavo sovrappensiero; sulla schiena, il peso della responsabilità del progetto più importante della mia vita giaceva, ignaro del suo valore, dentro lo zainetto.
Un sorriso spontaneo mi incurvò le labbra.

La presentazione di domani, pensai, sarà una bomba.

Dopo mesi di ipotesi, fallimenti, verifiche eravamo finalmente riusciti a provarne la valenza.

Inspirai a pieni polmoni l'aria notturna come fosse limpida brezza montana, quando il mondo parve rovesciarsi. Un urto, rude, inatteso mi fece rovinare sul marciapiede con un tonfo doloroso.

Con le mani e il volto graffiati mi sollevai. Strizzai gli occhi per mettere meglio a fuoco e lo vidi: qualcuno stava sfrecciando con straordinaria celerità... e con il mio zainetto che gli pendeva dalle mani!
Scattando in piedi come un centometrista lo inseguì.

Per nessuna ragione avrei perso i risultati della ricerca. La disperazione mi mise le ali ai piedi e senza indugio lo tallonai senza neanche pensare che stavamo inoltrandoci nel vasto parco scuro.

Un solo obbiettivo: riacciuffare lo zaino.

Eppure tutto passò quando un ruggito, gutturale, vibrante fece tremare il terreno. Mi volsi di scatto, disorientata, e il mio cuore si fermò.

Un individuo dalla stazza abnorme e movimenti convulsi correva nella nostra direzione. Le sue grida, ben lontane da qualsiasi suono conosciuto, e la rapidità dei suoi passi mi gelò il sangue. D'improvviso, scorsi uno scintillio nei suoi occhi. Mi aveva vista.

Nella concitazione di allontanarmi il più possibile da quell'essere inconcepibile mi accorsi con orrore di aver perso di vista il ladro. Cercai invano di orientarmi, trovando precario riparo fra le siepi. Ero sola, ma la creatura era ancora sulle mie tracce, ne udivo il respiro rasposo.

Mentre valutavo la fuga, uno strattone mi rimise in piedi.

«Vieni.»
Una voce roca, spezzata, mi colpì. Afferratomi l'avambraccio, il ladro mi trascinò in una corsa folle.

Ci inerpicammo dietro la struttura in pietra della Fontana della Cascata e poi giù, verso un cunicolo sotterraneo sconosciuto.

«Non voglio farti del male», bofonchiò.

«Chi sei?» strepitai, senza smettere di guardarmi alle spalle. Nel buio umido di quell'antro, la paura di veder comparire la creatura da un momento all'altro era palpabile.

Il ladro taceva, ma qualcosa nel suo incedere me lo rese tutt'un tratto familiare. Io lo conoscevo.

«Felipe», esalai sgomenta. «Ma sei tu?»

«Non ti avvicinare», esclamò, la voce stranamente contraffatta, le mani tese in avanti come a proteggersi.

«Ma cosa sta succedendo?»

«Non c'è tempo per spiegare, ma questo», asserì estraendo l'hard disk esterno dallo zaino, «deve sparire.»

«Sei impazzito? Chi c'è là fuori?»

«Il nostro futuro.»

Inutilmente tentatai di impedirgli di distruggere il dispositivo.

«Che cosa hai fatto?» urlai sconvolta, avventandomi su di lui.

«Mi dispiace Diomira, non posso lasciarti andare», mi sussurrò all'orecchio prima che ogni cosa intorno a me perdesse consistenza, ghermendomi in un opprimente velo di oblio.






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