Non c'è due senza quattro

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Capitolo 9 -- Non c'è due senza quattro

Quello che stava succedendo nell'appartamento poteva essere classificato come una catastrofe naturale, probabilmente. Dixie era sul punto di allertare il governo del disastro ormai non più imminente, ma già in corso – si sarebbe giustificata dicendo che la puntualità non era mai stata il suo forte, lo aveva già deciso, e la regina in persona le avrebbe conferito un premio per il suo servigio offerto all'Inghilterra, nonostante il ritardo.

Ma quello che stava succedendo nell'appartamento poteva essere visto anche in maniera più semplice e chiara: in tutte e tre le camere da letto sembrava che gli armadi fossero esplosi, c'erano vestiti ovunque – sui letti, sulle sedie, scrivanie, pavimento, comodini – e un piccolo uragano biondo e goffo a mettere tutto sottosopra, nel tentativo di combinare il giusto outfit per un'occasione così importante.

«Ti ho detto di no. Esci dalla mia stanza, subito» stava ripetendo Dixie per la ventesima volta in tono freddo e deciso. Forse il cartello incollato con lo scotch alla porta della sua camera con su la fotografia di Babs coperta da una grossa croce rossa e la scritta “You shall not pass!” era troppo poco immediato perché lei recepisse il messaggio. Avrebbe dovuto immaginarlo.

«Che ne dici di questo, Ruth? È troppo formale?»

«Più che altro è un po'...»

«È un vestito a maniche corte, porca miseria! Siamo in inverno!»

«Troppo formale per un appuntamento al cinema, giusto. Potrei prestarle gli shorts di jeans e un paio di calze!»

«Conoscendola, Babs, congelerebbe».

«Finalmente qualcuno che ragiona! Tu, Cosa, esci di qui. Non voglio altre vittime, hai capito?»

«Calze di lana, allora».

«Non credo sia una buona idea. Perché non lasci che decida da sola cosa...?»

«Pantacalze?»

«Babs...»

«Senti, dimmi la verità: quando Dio distribuiva l'intelligenza, a te si erano incastrati i ricci nella pentola della goffaggine?»

«Smettila di farmi ridere, Dixie, sto parlando di cose serie. Oh, ho trovato! Annika mi ha regalato una camicetta fantastica per il mio compleanno. Starebbe da Dio con la tua gonna scozzese, Ruth».

«Babs, non credo che Dixie voglia...»

...Che la sua camera cada in mano al ciclone con troppi capelli? No, decisamente non voleva. Dixie sbuffò sonoramente, sistemò gli occhiali sul naso e, stufa di essere ignorata, alzò entrambe le braccia per attirare l'attenzione delle altre due. Era davvero troppo: bisognava mettere fine a quella pagliacciata. Prima di tutto perché temeva per l'incolumità delle proprie cose e secondo perché non aveva intenzione di indossare le calze. O un vestito “troppo formale”. O un vestito qualunque. E tanto meno una gonna scozzese e una camicia ricevuta in dono da Annika che secondo quella cretina della sua coinquilina era fantastica. Chissà chi era, poi, quella Annika.

Quando finalmente ebbe tutti gli sguardi su di sé, dopo aver analizzato in fretta tutte le alternative e le possibili cose da dire, prese un respiro profondo, ne scelse una – a caso– e parlò con aria solenne: «Mi trasferisco ai Caraibi».

E quando Babs scoppiò a ridere e Ruth alzò gli occhi al cielo, Dixie sbuffò di nuovo. Perché non veniva mai presa sul serio? «Non sto scherzando, sarebbe un'ottima soluzione: questa situazione è troppo stressante. E poi è freddo qui. E non voglio vedere quella che rompe qualcos'altro in camera mia». Che era un modo come un altro per intimare alle persone che abitavano con lei di lasciarla in pace.

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