the pros and cons

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«Sei sicura?» domandò Angelika, il volto nascosto in parte dall'ombrello tenuto troppo basso. Noa guardò le strisce pedonali sbiadite e il semaforo che lampeggiava.

«Non lo sono mai - rispose con titubanza, senza sapere se attraversare o meno - Ma possiamo provare, no?»

Angelika si zittì, il capo chino in attesa della decisione della cugina. Noa aveva le scarpe inzuppate e l'ombrello rotto, ma nonostante ciò non si decideva a muovere un passo in direzione di quell'enorme edificio dall'architettura moderna e dall'aria imponente. Un po' la intimoriva quell'accozzaglia di ferro e cemento, perché attraversare la strada e varcare la soglia significava dare una risposta alle proprie domande, o almeno provarci. E in quel momento, Noa aveva paura di andare a fondo alla cosa.

«Probabilmente non è il posto giusto.» mormorò. Angelika fece qualche passo avanti e indietro per scaldarsi, ma rimase in silenzio. Nel panico, Noa era solita a discorrere con se stessa e Angelika aveva imparato a non interromperla.

«Forse dobbiamo trovare un altro modo - continuò la bionda - Cosa mi sono messa in testa? È un museo, non troveremo mai quello che stiamo cercando!»

Angelika storse il naso e guardò con attenzione l'ampliamento del museo ebraico, stufa di rimanere ferma sotto la pioggia. Era estate e non faceva freddo, ma sentiva i capelli arricciarsi sulla fronte e l'umidità penetrarle nelle ossa. Di quel passo Noa, che aveva una salute più cagionevole della sua, sarebbe rimasta a letto un mese intero. Così si decise ad attraversare la strada, senza che la cugina le prestasse attenzione e, quando la bionda si accorse della sua assenza, la ritrovò davanti all'entrata del museo, una mano in aria a farle segno di raggiungerla.

«Sei sicura?» gridò Noa questa volta, mentre il semaforo continuava a lampeggiare. Una macchina le sfrecciò davanti, ma non se ne accorse. Prese coraggio e, vedendo Angelika dirigersi all'interno dell'edificio, si affrettò ad attraversare. La pioggia era arrivata a bagnarle l'orlo dei pantaloni e parte della borsa e quando entrò nel museo, per un istante le parve di essere rinata.

«Non troveremo niente.» dettò, annegando nuovamente nello sconforto quando Angelika le passò il biglietto che aveva già comprato.

«È un museo, Noa - le ricordò - Mal che vada abbiamo l'occasione di visitarlo, non è tempo andato perso.»

Noa si tolse il cappotto e donò la borsa all'uomo rasato dietro il bancone del deposito. Avrebbe desiderato camminare scalza ma il suo guardarsi indietro fece insospettire Angelika, che la prese per un braccio, indirizzandola verso l'inizio della mostra.

«E se non troviamo nulla?» domandò Noa. Le sue mani tremavano; dentro di sé percepiva l'adrenalina scorrerle nelle vene, ma allo stesso tempo l'ansia le impediva di respirare. Se Angelika non le avesse tenuto il braccio con forza, sarebbe scappata.

«Troveremo qualcosa - cercò di rassicurarla l'altra - Tuo padre cosa ti ha detto?» Era una domanda retorica, ma desiderava che Noa si convincesse della sue stesse parole, perché sentirselo dire da qualcun altro non l'avrebbe persuasa a sufficienza.

«Di cercare nel museo ebraico di Berlino.»

«E dove ci troviamo ora?»

«Angie, per l'amor del cielo! - sbottò Noa - Non sono una bambina delle elementari, so dove siamo e perché siamo qui.»

Angelika sorrise con quel fare materno che la cugina alle volte non sopportava. «E allora mettiamoci all'opera, non credo che la mostra si visiti in una decina di minuti.»

Noa annuì ancora poco convinta, muovendo qualche passo all'interno della grande sala, talmente vasta e zeppa di oggetti da farle venir voglia di piangere. «È tutto così confuso.»

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