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Ölle se ne stava steso sul divano, quando Otto entrò nell’appartamento con il telefono tra l’orecchio e la spalla. Il suo volto era rilassato, salutò senza enfasi il suo interlocutore e guardò l’amico come se si aspettasse un’accoglienza calorosa. Ma Ölle non era Paale e di voglia di alzarsi da quel divano non ne aveva.

«Ci sono i Deer Tick questa sera all’Imperial - lo avvisò - Ti va di andarci?»

Ölle indicò la televisione accesa di fronte a sé. «C’è l’Hertha.» rispose semplicemente, rubando un morso rapido dal proprio panino che si era preparato per cena. Era da due giorni che Paale non si faceva vivo, sparito dopo avergli chiesto in prestito la macchina. Ölle non si era preoccupato più di quel tanto, perché Paale la macchina non gliela chiedeva mai - così come Ölle la usava raramente, chiusa nel garage sotterraneo - se non per andare a trovare i suoi genitori fuori città. E Paale li detestava, perciò più di un giorno rinchiuso nella stessa casa dov’era cresciuto non ci sapeva stare. La sera era sempre di ritorno, dei sacchetti di plastica piena di cibo e alcol rubato dalla dispensa.

«Sai dov’è finito l’altro scemo?» domandò Ölle, mentre Otto si toglieva la giacca e l’appoggiava alla sedia per lasciarla asciugare. Il moro parve fare mente locale, prima di annuire.

«Da una - rispose, rubando il panino all’amico - Questa abita tipo a Nauen, se non sbaglio. Casa libera per una settimana e Paale ha colto l’occasione per fare il nababbo.»

«Poteva prendere il treno - commentò Ölle - Ci avrebbe messo di meno che in macchina.»

Otto si strinse nelle spalle, finendo il panino dell’amico senza che questi potesse lamentarsi. La partita cominciò e Otto sbadigliò tre volte nei primi dieci minuti. Ölle era l’unico che di calcio ne capisse qualcosa perché da piccolo aveva giocato per tanti anni, per poi dedicarsi interamente a fare festa e imbottirsi di droghe - o così aveva supposto suo padre, quando il figlio gli aveva annunciato di voler smettere di correre dietro un pallone. Forse non aveva tutti i torti, ma il motivo reale per cui aveva smesso era perché non gli importava.

«Questa partita è una merda - commentò Otto, accendendosi una sigaretta per riempire il tempo - Non è nemmeno una di campionato. E lo sai anche tu che l’Hertha perde. Perde sempre.»

Ölle annuì, perché sapeva bene anche lui che la sua squadra ad ogni fine maggio doveva lottare con tutte le sue forze per rimanere nella Bundesliga. Ma a lui non importava se vincesse o meno.

«Alza il culo - sbottò il moro - Andiamo a sentirci i Deer Tick, che ho voglia di bere fino a vomitare l’esofago.»

«Ma hai i biglietti?» chiese Ölle, spegnendo di malavoglia il televisore e controllando dalla finestra che avesse smesso di piovere. Qualche goccia s’intravvedeva sotto il lampione acceso, così decise di rubare una delle giacche di Paale, perché di voglia di camminare fino alla sua stanza non ne aveva.

«Ma quali biglietti - rise Otto, già pronto sulla porta - Questa sera c’è Alex che mi fa passare.»

Ölle assentì, ricordandosi della ragazzina dai capelli rasati e il piercing al sopracciglio che aveva da poco cominciato a lavorare al locale. Si domandò come Otto facesse a conoscerla così bene, ma si tenne la domanda per sé perché non erano assolutamente affari suoi. Si limitò ad accendersi una sigaretta e farsi gridare contro che “fumare sulle scale era proibito, dannazione!” dal vicino di casa, uscito proprio in quell’istante per portare il suo cane lupo a passeggio.

Se avessero avuto la macchina, all’Imperial vi sarebbero arrivati in una decina di minuti - ancor prima se a guidare era Otto - ma con la metropolitana, ci misero quasi il doppio del tempo. Ölle camminava lentamente, le mani in tasca e il cappuccio sopra la testa, mentre la pioggia gli bagnava i pantaloni. Non faceva freddo, ma Otto rabbrividì comunque. Il locale non era tra i loro preferiti, si trovava poco distante dalla stazione di Hallesches Tor, in un locale sotterraneo sotto l’Admiralpalast; vi facevano principalmente concerti e per i Deer Tick - a detta di Otto - potevano anche sopportare i drink scadenti e gli sguardi maliziosi del barista. Arrivarono che il concerto era già iniziato e alla porta stava un ragazzo smilzo, vestito interamente di nero e con la testa rasata. Aveva le maniche corte e sull’avambraccio il tatuaggio di una spada. Otto lo salutò con una stretta di mano, dicendo poi che Alex aveva invitato entrambi, ricevendo così il permesso per entrare. 

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