undici

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Ölle, nel svegliarsi, sapeva l’avrebbe trovata lì, accoccolata tra le sue braccia. Ciò che non si aspettava erano invece i suoi grandi occhi ad inghiottirlo, così chiari ed impossibili da guardare. Vide le sue guance avvampare in un lampo, non appena si accorse dello sguardo di lui sul suo viso rilassato. Sentì il suo corpo tendersi nervosamente, quando le accarezzò una spalla nivea.

«Buongiorno.» sussurrò lui con la voce roca di chi si è appena destato, di chi non pensa a nulla se non ai propri muscoli intorpiditi, di chi non è più abituato a condividere l’irrisorio spazio del proprio letto con qualcun altro.

Al contrario Noa, sveglia da una mezz’ora buona, aveva avuto modo di riflettere, di pensare a come convincersi ad andarsene; nel dubbio se svegliare il ragazzo o meno, era rimasta immobile come se lui sarebbe rimasto steso di fianco a lei per il resto del tempo, se lei non si fosse mossa. Ma poi gli occhi di Ölle si erano schiusi lentamente e aveva capito di aver fatto male a non fuggire.

Non gli rispose, un accenno di sorriso fu ciò che si limitò a mostrare sul suo viso, quando ancora le sue guance bruciavano e le sue mani fremevano sul suo petto. Si mise seduta, coprendosi con le lenzuola sbiadite. «Credo… credo sia meglio che vada.»

«Perché?» fu la semplice domanda del ragazzo, ma che fece scoppiare un tumulto nella testa della ragazza. Perché? Perché scappi? Perché torni a Norimberga? Perché lasci perdere ciò per cui sei venuta fin qui? Perché, Noa, perché?

«Angie sarà preoccupata.» rispose, sistemandosi i capelli dietro le orecchie mentre con lo sguardo cercava i suoi vestiti per la stanza. Si alzò, raccattandoli rapidamente, mentre alle sue spalle Ölle sbuffava e lo udiva alzarsi. Noa uscì dalla stanza, chiudendosi in bagno e poggiando la fronte contro il legno freddo della porta. Dalla finestra entrava la forte luce del sole e, pensò, che proprio quando aveva bisogno della pioggia, quella spariva. Lasciò scivolare fino a terra il lenzuola che la copriva e rabbrividì, quando il freddo toccò la sua pelle. Infilò un indumento alla volta, prendendo tempo per pensare. Ma più i secondi scorrevano, più le sue riflessioni la portavano ad un’ingarbugliata conclusione. Quando le parve di stare per scoppiare, uscì dalla stanza e si diresse verso il salotto, dove trovò Ölle sul divano, in mutande e con una maglia di una band che Noa non conosceva.

«Mi dispiace andarmene così presto.» disse nell’istante in cui lui si accese una sigaretta. E non intendeva solo di quel momento. Forse ciò che voleva dire era semplicemente mi dispiace andarmene, non voglio.

«Non credo che Angie ti ucciderà, se rimani ancora un po'.»

Noa scosse la testa, sforzandosi di sorridere. Prese la sua borsa, ancora nel punto in cui l’aveva lasciata cadere la sera prima, poco distante dalla macchia scura lasciata dalla sigaretta del ragazzo. «Non sarei dovuta rimanere - cominciò - Forse non sarei dovuta nemmeno venire qui, né venirti a trovare ieri. Ho fatto un errore e me ne rendo conto solo ora, quindi ti prego… non chiedermi di rimanere ancora.»

Ölle si alzò e Noa si zittì. Avrebbe continuato a parlare a lungo, se lui non le avesse stretto la testa tra le mani grandi e avesse abbozzato un sorriso, con la sigaretta tra i denti spaziati. «Smettila di pensare per un minuto soltanto, sessanta secondi di buio totale - sussurrò insieme a del fumo - Poi prendi un respiro e solo allora pensa a cosa vuoi fare, nient’altro. Niente Angie, niente Norimberga. Solo se uscire da quella porta o meno.»

E Noa rimase davvero in silenzio per quei sessanta secondi che parevano infiniti, li contò e guardo le labbra di Ölle, mentre le sue mani le coprivano le orecchie.

«Solo se mi prepari la colazione.» bisbigliò alla fine, lasciando scivolare nuovamente la borsa per terra. Ölle sorrise vittorioso.

«Come desidera, contessa.»

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