dieci

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«Sei tornata? - gridò Angelika nel sentire la porta dell’appartamento aprirsi e chiudersi in pochi istanti - Dove diavolo sei stata fino ad adesso?»

Noa raggiunse la cugina, sedendosi sul bracciolo del divano per togliersi gli stivaletti. «In giro.» rispose soltanto, scostandosi una ciocca di capelli che continuava a scivolarle davanti agli occhi. Angelika fece una smorfia, passandosi una mano tra i capelli quel giorno più ricci a causa dell’umidità.

«Con quell’Elias?»

La bionda scosse la testa, sfilandosi l’impermeabile leggero e sistemandoselo sul braccio. Si alzò, dirigendosi verso la sua stanza. «Non lo sento da una settimana.» rispose nel frattempo, dando una rapida occhiata verso lo specchio per guardare i suoi vestiti umidi e le calze bagnate. Si sarebbe dovuta cambiare, ma Angelika la richiamò nell’altra stanza e quando notò la sua espressione addolorata, capì che era successo qualcosa di spiacevole.

«Ti ho detto che avrei fatto delle ricerche - cominciò la cugina, chiudendo il portatile che teneva sulle gambe - E ho scoperto qualcosa.»

Noa si sedette, un brivido le percorse la schiena quando si appoggiò allo schienale in pelle del divano. Angelika non parve farci caso, poi però le lanciò una coperta per coprirsi le spalle tremanti. La più piccola era ansiosa, sentiva come se non riuscisse più a respirare e, se le notizie di Angelika non fossero state buone, si disse che non c’erano motivi per continuare a farlo.

«È morto, Noa - concluse l’altra, abbassando lo sguardo sulle proprie mani - Non è sopravvissuto ai campi di concentramento.»

La bionda stette in silenzio, senza sapere che cosa dire, che cosa aggiungere. E ora? pensò, che cosa potevano fare? Gli occhi cominciarono a pizzicarle mentre ripensava a tutti gli sforzi che, non solo lei ma anche Angelika e suo padre, avevano fatto per arrivare fino a lì. Non erano serviti a niente.

«Non possiamo tornare a mani vuote - gemette, alzandosi e cominciando a percorrere il salotto a grandi passi - L’ho promesso a mio padre, non posso deluderlo. Ci tiene così tanto a scoprirlo, non può essere tutto qui. Ci deve essere un modo Angie, dobbiamo trovare un modo per trovare quella persona! Tu ne sei proprio sicura, hai controllato bene? Non l’hai scambiato per qualcun altro?»

Angelika sorrise amaramente. «Ho anch’io qualche contatto, come il tuo ragazzo del museo.»

Solo che il suo, di contatto, non aveva nulla che fare con il ragazzo del museo. Di anni, Hans Reuter, ne aveva sessanta e non poteva più vantare tanti capelli quanti ne aveva Ölle. Era vicino alla pensione e Angelika l’aveva visto più e più volte in giro per la Staatsbibliothek, guidando un carrello pieno di libri, mentre borbottava tra sé quanto i giovani d’oggi non sapessero dare valore alle parole scritte, se non a quelle che apparivano sui display dei loro aggeggi tecnologici.

Angelika non aveva subito pensato che quell’uomo - che all’apparenza dimostrava molto più che sessant’anni, ricurvo su se stesso e quasi senza denti - potesse aiutarla, perché le sue occhiatacce ogniqualvolta che entrava in quell’edificio immenso - così logicamente ideato da farla sempre sorprendere - le aveva notate più che bene.

Eppure una volta gli si era avvicinata per chiedergli di una memoria che proprio non riusciva a scovare e lui, sorpreso di trovare una ragazza così giovane interessata a dei libri che nessuno sfogliava da anni, aveva evitato di lamentarsi e l’aveva guidata per tutta la biblioteca. Al contrario della cugina, Angelika poteva vantare una mente pratica, sempre pronta a reagire seguendo la logica e non l’istinto e così, entrando in biblioteca con in volto un’espressione addolorata, era riuscita a convincere il burbero Hans Reuter ad aiutarla a scoprire chi fosse questo Josef Cramer.

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