Sapessi com'è strano, sentirsi innamorati a Milano

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Il turno di notte a Milano non è una passeggiata. La città sembra addormentata, le strade perlopiù sgombre dal traffico che le congestiona durante il giorno, i marciapiedi liberi dal viavai continuo di persone indaffarate, le sfavillanti vetrine dei negozi celate alla vista da grigie saracinesche tutte uguali. Ma è una calma solo apparente. Basta girare l'angolo infatti e ti ritrovi davanti ad un tentativo di rapina ad una farmacia notturna, o ad una rissa fra ubriachi fuori da un locale o, come in questo caso, ad un tossico che corre in giro nudo.

"Spegni la sirena, altrimenti non lo prenderemo mai." si rivolge al suo sottoposto, l'agente De Rose, svoltando intorno ad uno dei grattacieli della zona della stazione. L'hanno nuovamente perso di vista, ma non è un grosso problema, il quartiere è ben illuminato e il ragazzo non può sfuggir loro in eterno. Gli sembra infatti di averlo visto sfrecciare a destra con la coda dell'occhio, quando nota un altro ragazzo, vestito per fortuna, precipitarsi verso di loro. Accosta ed esce dalla vettura, lasciando lo sportello aperto per non perdere eventuali comunicazioni da parte della Centrale.

"Vi prego..." esordisce il giovane aggrappandosi con una mano al bordo della portiera, tentando di formulare le parole fra l'affanno e i singhiozzi "...vi prego...non fategli male..."

Ha la faccia stravolta dal panico e dall'angoscia e sembra stia per svenire da un momento all'altro. Lo afferra per un braccio e lo accompagna ad appoggiarsi contro la macchina, facendo segno al collega di passargli la sua bottiglietta dell'acqua.

"Tieni, bevi un po' d'acqua e respira."

Purtroppo è abituato a trattare con persone preda di emozioni violente ed ha imparato che mostrarsi calmo e dare ordini semplici e precisi è il metodo migliore per contrastare la loro agitazione.

"Come ti chiami?" gli chiede quando pensa abbia recuperato abbastanza fiato.

"Martino."

"Martino, io sono l'ispettore Castelli e questo è l'agente De Rose. Non abbiamo intenzione di fare del male al tuo amico, anzi, vogliamo aiutarlo, hai capito?"

Martino annuisce con la testa, gli occhi ancora dilatati dalla paura.

"Riesci a rispondere a qualche domanda?"

"Sì..."

Recupera il taccuino dalla tasca della giacca, lasciando al ragazzino il tempo di asciugarsi le lacrime e recuperare quel minimo di lucidità che gli permetta di rispondere in maniera appropriata. È ancora estremamente pallido, ma adesso non gli sembra più così malfermo sulle gambe.

"Come si chiama?"

"Niccolò. Niccolò Fares."

"Quanti anni ha?"

"Diciannove."

Si trattiene dallo scuotere amareggiato la testa. L'età dello sballo ormai si è pericolosamente abbassata ma imbattersi in drogati così giovani fa sempre male al cuore.

"Adesso devi essere sincero con me, Martino. È molto importante che tu mi dica cosa ha preso il tuo amico."

Martino ricambia il suo sguardo, con la più totale confusione negli occhi.

"Cosa ha preso?"

"Sì, di cosa si è fatto? Cocaina? Ecstasy? Anfetamine?"

L'elenco potrebbe proseguire a lungo, se non fosse per l'espressione inorridita del ragazzo.

"No, no, no, non è un drogato!" si ribella rabbiosamente, lanciando a terra con forza la bottiglietta che aveva in mano.

"Non è un drogato!" ribadisce con la voce rotta dalla costernazione, davanti al suo sguardo scettico.

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