2. DEVO ESSERE FORTE

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DEVO ESSERE FORTE

Era tutto sfocato, ma nonostante questo sapevo esattamente il dove fossi.

Ero a casa, a Darwin.

Mi sentivo in pace con me stesso, mi sentivo come se io dovessi essere lì e da nessun'altra parte, e abbozzai un sorriso.

Poi, però, quella spensieratezza svanì a causa di alcune voci che giunsero ovattate alle mie orecchie. Talmente urlavano forte che sembrava di avercele nella testa, era straziante.

Chiudendo gli occhi, portai i palmi delle mani sulle orecchie per cercare di attutire il suono, ma nulla da fare. Ancora rimbombavano assiduamente nei miei timpani.

Aprii lentamente le palpebre e notai le figure sfocate dei miei fratelli passarmi davanti con disinvoltura, come se loro non sentissero tutto quel trambusto. Era come se io fossi l'unico ad essersene reso conto, di essere l'unico che percepiva tutta quell'agonia.

Mi rannicchiai su me stesso cercando di mantenere la calma, ma i miei genitori non facevano altro che urlarsi uno sopra l'altro. Mia madre lo minacciava di andarsene di casa e uscire dalla sua vita una volta per tutte. Mio padre se ne fregava dicendo che le avrebbe fatto le valige al posto suo.

Avrei voluto gridare anche io dal casino che si stava creando, ma la mia voce non ne voleva sapere di uscire.

Mi sentivo come un fantasma, percepivo e vedevo le cose, ma non potevo entrare in contatto con nessuno. Mi sentivo solo.

Aprii gli occhi di scatto con l'affanno e tutto sudato. Portai una mano al cuore e sembrava volesse scoppiare, quindi richiusi le palpebre per cercare di stabilizzare il mio battito. Ad ogni respiro che facevo, mi rendevo sempre più conto di non essere in Australia, non facendomi nemmeno venire la voglia di guardare fuori dalla finestra come sempre facevo quando andavo a visitare nuovi posti.

Avrei voluto che anche questo fosse un incubo, ma a malincuore quella era la pura realtà. Darwin era lontana milioni e milioni di chilometri ed io mi ritrovavo in un Paese di cui sapevo solo un po' la lingua madre.

Nonostante mamma avesse queste origini, era la prima volta che avevo messo piede in questo Stato del tutto nuovo per me. Ero in una città nota nel nord Italia e per mia sfortuna il posto era lontano dal mare, quindi non potevo nemmeno avere un piccolo ricordo della mia città natale.

Ero appena arrivato e se non fosse per il trasferimento improvviso avrei voluto saperne di più sulla geografia del posto. Il problema principale era il mio sentirmi uno schifo. Avevo addosso fin dall'atterraggio quella sensazione di disagio e la cosa più assurda era che persino le coperte mi davano quell'aria estranea. Ero completamente fuori posto e ogni parte di me aveva un senso di rifiuto per tutto questo.

Un brivido mi passò lungo la colonna vertebrale e sentii il bisogno di prendere una felpa. Era settembre, doveva essere estate, eppure quella mattina c'era un fastidioso fresco che riempiva la stanza. Mi alzai senza voglia dal letto, aprii la valigia e raccattai una felpa azzurra. Io che non sopportavo il disordine eccomi qui, senza nemmeno la voglia di mettere a posto i vestiti nell'armadio.

Mi guardai attorno dato che ancora non lo avevo fatto come si doveva e la stanza era interamente bianca. Pareti bianche, coperte bianche, le uniche cose che cambiavano colore erano la scrivania e l'armadio, entrambi in legno. Era come esser finito in una stanza per pazzi mentali e quel bianco diventava davvero opprimente. Era possibile cominciare a disprezzarlo?

Uscii dalla stanza e mi imbucai nel corridoio, arrivando così in sala da pranzo. Un divano malandato in rosso era attaccato al muro, con sopra un quadro con rappresentato un paesaggio marittimo. Nella parete davanti c'era una mensola di legno con appoggiata una televisione grande e grigia, una di quelle vecchie e grosse. Una credenza era posata all'unica parete colorata che fino ad ora avevo visto, giallo canarino, e sopra questa c'erano delle foto, delle bottiglie di vino e quant'altro. Vicino a questa c'erano delle mensole con dei manuali di cucina, cosi sembrava, e altri libri di cui non capivo molto bene il testo. Era mattina, sì, ma io non avevo mai scritto in italiano e tanto meno leggerlo.

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