9- Office.

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"Io con te non vengo da nessuna parte" lo guardai storto scuotendo la testa cambiando successivamente canale.

Sbuffò rumorosamente e mise le mani sui fianchi imponendosi continuando a guardarmi.

Quel suo sguardo si sentiva sulla mia pelle, che cominiciò a bruciarmi.

Presi a passare le dita sul braccio innervosita da quella sensazione che percepivo ogni volta che avevo puntati i suoi occhi chiari addosso.

"È inutile che continui a guardarmi così McCann, io con te non ci vengo" mi imposi, lasciai un canale dove stava dando una serie televisiva di medici.

Roteò gli occhi al cielo, notò ciò che guardai e sembrava che entrambi stessimo pensando la stessa cosa.

Fin da piccola, medicina mi era sempre piaciuta. Ed era stato mio padre a trasmettermela, amavo quando mi spiegava qualcosa, ammiravo il suo sapere cosa significassero tutti quelle definizioni complesse che solo, chi aveva una conoscenza in medicina, poteva saperlo.

E anche io avrei voluto essere preparata quando mi si fosse presentato un foglio con su scritti determinati termini, e saperne il significato.

E ci ero riuscita, ero entrata alla Stanford.

Anche se, a dirla tutta, quella a cui avrei voluto esser stata ammessa era la Harvard.

Ma dopo sommato, le cose all'università stavano andando bene. Ero al primo trimestre del secondo anno, e me la stavo cavando alla grande.
Ma inaspettativamente, poi ricevetti una chiamata che mai, mi sarei aspettata nella vita.

I miei, erano venuti a mancare in un incidente. Una macchina ad un incrocio li centrò completamente facendo capovolgere l'autovettura dei miei, il conducente era sotto effetto di anfetamine e cocaina e non era pienamente cosciente delle sue azioni.

E, il rimpianto che continuo a portarmi dietro, era che l'ultima volta che vennero a trovarmi, litigai con mia madre e salutai con un veloce abbraccio mio padre.

Cominciai ad andare male nelle materie, ad alcune lezioni non mi presentavo nemmeno. Il dolore che provai per la loro perdita era qualcosa che mi spezzò dentro, nell'anima, e che mai nessuno sarebbe riuscito a rimediare o a colmare quel vuoto che mi sarei portata dietro, per sempre.

Il rimorso cominciava a divorarmi per non averli abbracciati quell'ultima sera.

Guardai Jason, era concentrato sullo schermo con gli occhi fissi sul suo telefono, scorrendo con il dito.

Lui c'era sempre stato in quel periodo difficile. Era rimasto, quando la notte mi addormentavo in lacrime stringendomi tra le sue braccia, quando la notte mi svegliavo di soprassalto, avevo crolli o rimaneva fino a tardi tenendomi d'occhio mentre si assicurava che studiassi.

Ma poi, lentamente e senza che ce ne accorgessimo immediatamente, tutto cominciò a sgretolarsi tra di noi. Il dolore anche se non lo davo più a vedere, era sempre presente, così presente che l'umore e il mio comportamento cambiò.
Cominciai a comportarmi in modo freddo con tutti, ad allontanarmi, specialmente da lui.

In quel periodo non facevamo altro che litigare, urlare e ignorarci, facendo del male a noi stessi.

Era un continuo tira e molla, senza fine e senza un inizio per poter ricominciare.

Non riuscivamo mai ad avere una conversazione che poi si finiva sempre con il litigare, le parole uscivano e ferivano entrambi.

E si sa, le parole feriscono più dei gesti.

Mi leccai le labbra e scocchiandogli un'ultima occhiata, spensi la televisione sospirando.

"D'accordo, vengo con te" risposi imbronciata incrociando le braccia al petto constatando che avevo ceduto, un'altra volta.

Him&I |Jason McCann|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora