Cap. 1: Chi non muore si rivede.

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Stavo correndo via, da me stessa e da tutto.

Avevo discusso con mio padre, e mi aveva buttato fuori casa, non che mi dispiaccia. Non sopporto più il suo modo di fare. Sono sola, mi faccio forza ormai da un anno, mio fratello è raramente a casa, il suo lavoro da dj gli impedisce di venire spesso qui, a Vigne Nuove.

Sta in giro per tutta l'Europa, figurati se torna in questo quartiere martoriato dove siamo cresciuti.

Avevo lo zaino di scuola sulle spalle. Due anni fa mi ero diplomata, avevo fatto in anticipo grazie alla primina, per cui mia madre aveva tanto insistito, essendo nata in Maggio, quindi quell'Eastpak azzurro era perfettamente inutile.
Per andare in uno dei migliori licei di Roma dovevo svegliarmi ogni giorno alle quattro e mezza. Ne è valsa la pena, comunque. Ci tenevo.

Quello zaino era pieno di tute, vestiti, medicinali e quant'altro. In realtà lo tenevo pieno da molto tempo, perché sapevo che prima o poi o sarei scappata, o avrei discusso con mio padre a tal punto.

Avevo l'abitudine di passare dal primo, se così si può dire, studio discografico di Lauro.
Quello che ora è Achille Lauro, l'idolo delle folle, il trapper in reggiseno che tagliava cocaina, è stato il mio secondo fratello, il mio angelo custode e il mio primo amore. Primo amore, che si prolungava da più di sei anni. Erano più o meno cinque anni che non sapevo niente di lui, e che in quello studio non c'era più niente.

Mi confortava molto entrarci, davo una pulita, nonostante fosse inutile, leggevo quei testi sparsi, di cui non se n'era mai fatto niente, sotto cui facevo spesso dei disegni. Finché il suo studio è stato questo, ci venivamo insieme. Poi, si può dire che è sparito tutto in una bolla di sapone.

Che sia stato per colpa mia o sua, non lo sentivo e non lo vedevo dal 30 Aprile del 2013. C'era una lunga storia dietro.

Indossavo un giubbotto imbottito di mio fratello Antonio, il più pesante che aveva, e una tuta Adidas di acetato, azzurra. Lavoravo mezzo mese per comprarmi tute buone, tanto qui in quartiere non avevo motivo per vestirmi bene. Le tute servivano sempre invece. Scappavo, e scappavo in tuta, uscivo e uscivo in tuta. Anche Lauro mi aveva lasciato una felpa, ma non la mettevo mai. Stava ripiegata su una mensola, sempre immacolata. Si poteva fare un bel paragone tra Lauro e quella felpa. Erano un ricordo fermo, statico, sempre quello. Non cambiava mai.
Lui sì, invece, al di fuori di questa stupida periferia era cambiato. Aveva coronato il suo sogno, dopo anni che sputava sangue. Ero fiera di lui.

Tuttavia, dentro di me ero un continuo combattimento. Facevo di tutto per non pensare a lui, nonostante ne fossi innamorata persa. Cercavo di non pensare, perché non era accanto a me, perché non mi aveva mai amato. E ciò bruciava come una ferita per una persona a cui il sangue non cicatrizza:bruciava sempre. Mi faceva male esser stata la sua ombra, aver voluto sempre il meglio per lui, avergli curato quelle sbornie e tutte le botte che prendeva che ero solo una stupida bambina.

Attraverso la strada di botto, qualcuno sta per mettermi sotto, l'auto si arresta e ho il tempo di guardare. Un Uber oscurato. A questo punto potrebbero essere i boss della droga a reclamarmi, perché le spacciatrici donne sono più veloci e meno sospettabili.
Qualcuno seduto dietro fa segno all'autista di stare fermo.

Le portiere dietro si aprono e scendono due persone, di cui i tratti di una li ho impressi.
Lauro, con gli occhi sbarrati e la bocca schiusa.
Quel modo di vestire particolare, tuttavia pieno di classe. Dall'altra parte Edoardo, o dovrei dire Boss Doms, il suo producer che lo ha sempre aiutato in tutto. Lo conoscevo vagamente.

Il cuore mi batteva all'impazzata.
Non volevo vederlo, non ora che ero a buon punto per dimenticarlo. Volevo innamorarmi di una persona normale. Volevo una persona sempre accanto, non come lui. Volevo una persona con la testa sulle spalle e solo con il mio nome in testa.

Vorrei difenderti da tutto quanto. ||Achille Lauro||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora