Quasi ogni mattino, quando i miei occhi assonnati mettevano a fuoco il soffitto bianco della mia camera, ero solita interrogarmi su come facessero alcune persone a sorridere alle sette del mattino.
Anche quella mattina la routine fu la stessa: mi liberai dalle coperte e posai i piedi nudi sul pavimento freddo, inutile ripetere le imprecazioni che scapparono non proprio accidentalmente dalla mia bocca. In qualsiasi caso mi sforzai a seguire il solito programma giornaliero e trascinai i miei piedi fino al bagno dove iniziai a prepararmi. Quando terminai, in casa non c'era più nessuno e non mi sorpresi, il mio intento era proprio quello di muovermi lentamente e lasciare il nascondiglio dopo di loro. Loro chi? I miei genitori ovviamente.
Non appena addentai una fetta biscottata colma di nutella, i miei occhi si posarono sull'orologio appeso alla parete della cucina e con sorpresa, mi mossi più veloce che mai per non ritardare ulteriormente. Probabilmente avevo dimenticato qualcosa, come sempre, ma come al solito non me ne curai e corsi a prendere l'autobus che mi avrebbe portata a scuola.
"Sì, sono io." Mi trovai a dire poi in classe, allo stesso modo in cui John Lennon rispose ai poliziotti, nel retro della loro auto e in corsa verso l'ospedale. La mia vita era questo: una corsa disperata contro il tempo che giorno per giorno mi faceva perdere frammenti di me stessa e desiderare di tornare indietro. Quella frase, comunque, mi trovai a ripeterla alla professoressa di biologia che dopo quattro anni non aveva ancora inteso chi fosse Rebecca Magnani. Mi presentavo alta 1.75, con lunghi capelli biondi e due occhi azzurri per i quali, a detta delle mie compagne, dovevo ritenermi molto fortunata.
Amelia, invece, era convinta che non bastasse avere un bel visino angelico e proprio per il nostro modo di pensare così simile, andavamo molto d'accordo.
Ad interrompere i miei pensieri però ci fu il suono della campanella, la mano della mia amica che mi chiedeva andare con lei ed un mio lieve "sì" che indicava che ancora dovevo del tutto svegliarmi. Il cortile si presentava ampio, con due porte per il calcetto alle due estremità e gruppi di ragazzi di ogni tipo che sfruttavano quei dieci minuti per rilassarsi. Io, tra punk, rocker, figli dei fiori e ogni altro tipo di classificazione, ero nel mezzo e con me anche il mio gruppo.
"Ciao splendori, come va?" Riccardo sorrise e mi diede un bacio sulla tempia prima di abbracciarmi, non che non mi andasse bene ma era necessario?
"Bene dai, Voi?" Intanto estrassi la sigaretta dal pacchetto e ne passai una ad Amelia che prese posto accanto a Riccardo.
"Avete un accendino vero?" domandai e subito mi venne fornito proprio dal ragazzo biondo. Portai la sigaretta alle labbra, l'accesi e ripassai l'accendino per poi prendere posto accanto a Serena.
"Allora ci venite sabato alla festa di Marcolino?" chiese Rick e non esitai a rispondere.
"Se mi prometti che nessuno cercherà di stuprarci allora volentieri." Scherzai.
"Non fare la preziosa, a qualcuno dovrai concedere il tuo frutto della passione mia cara Reb." Scoppiammo a ridere alle parole d'Amelia e dopo pochi minuti di scherzi e risate, la campanella ci invitò nuovamente ad entrare per avere la prossima ed ultima pausa dopo altre due ore. L'ora di matematica non era pesante ma quel giorno in me c'era qualcosa che proprio non andava e non avevo idea di cosa fosse. Alla fine decisi di uscire e ignorando prediche e imprecazioni, trovai il mio posto sicuro sulle scale antincendio nonostante le basse temperature di novembre.
Proprio mentre la musica proveniente dalle cuffie cessò di pompare, sentii il rumore della porta e mi girai a controllare notando un ragazzo alto e moro dagli occhi scuri sorridermi leggermente: Angelo.
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VIRAHA
RomanceI capelli biondi le scendevano lungo le esili spalle un po' ricurve, erano un perfetto abbinamento con gli occhi celesti e il sorriso fanciullesco che illuminavano la sua carnagione biancastra. Rebecca era tutto quello che si poteva definire compl...