Can't you see?

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Quando Roger arrivò al piano di sopra, in un primo momento non udì nulla. Nessun rumore, suono, nemmeno il più piccolo spostamento d’aria. Al piano superiore c’erano tre stanze: la cucina, il bagno e la stanza dove dormiva suo padre. Tutte e tre erano piccole e il tetto era talmente basso da far sembrare l’intero piano una soffitta. Il ragazzo deglutì, guardandosi intorno. Quel silenzio lo confuse, ma non abbassò la guardia. Si avvicinò cautamente alla cucina, dove aveva sentito quel rumore ignoto prima di salire. Entrò nella stanza, guardandosi attorno. Il tavolo di legno era sporco e ammaccato, sul pavimento era ammassata la polvere. Roger storse il labbro alla vista di tutta quella sporcizia e incuranza, e proprio mentre si avvicinava al mobile in cui il padre teneva le stoviglie, si sentì afferrare un braccio con forza, prima di avvertire un dolore lancinante che gli attraversò il corpo dalla testa ai piedi e gli fece vibrare la spina dorsale quando rovinò contro il frigorifero. Gemette, scivolando per terra e sollevando la testa per rendersi conto della situazione. Michael lo fissava dall’alto con un’espressione che rassicurò ben poco il ragazzo. Gli occhi rossi e spiritati erano spalancati. Roger vide il piede dell’uomo arrivargli a un centimetro dal viso, e per un pelo sgattaiolò alla sua destra, schivando il calcio e appoggiandosi alla finestra.
L’uomo lo afferrò per i capelli, facendogli sbattere la testa contro il vetro. - Come cazzo sei entrato, bastardo? – Roger sentì il pugno arrivargli direttamente sul naso. Lo tastò con le mani, sentendo il sangue colare. La vista gli si era annebbiata per il colpo alla testa che già gli girava come una giostra, ma doveva liberarsi da quella morsa che era stretta sui suoi capelli, o i colpi sarebbero stati sempre peggiori. Concentrò tutte le forze di cui ancora disponeva e gli tirò una ginocchiata all’inguine che gli fece lasciare la presa, sentendolo gridare.
Ansimando, si appoggiò al tavolo con entrambe le mani, passandosi il dorso della destra sotto alle narici, macchiando la pelle di rosso. Suo padre tossiva appoggiato al vetro, in ginocchio. Roger pensò che quello fosse il momento giusto per darsela a gambe, che fosse ancora in tempo. Sarebbe potuto scappare, infilarsi nella macchina di Brian e andare via da quella casa. Ma avrebbe lasciato da sola Clare, e sarebbe tornato tutto al punto di partenza.
- Brutto pezzo di merda… - sentì sussurrare dal padre, che si rimise in piedi e lo raggiunse, sul viso era dipinta un’espressione terrificante che per un attimo fece arrestare il respiro di Roger. Era l’espressione di un pazzo, di un animale, non di un uomo. Il ventenne ne ebbe paura. Pensò che non avesse mai visto qualcosa di più distorto, di più terribile. Sembrava quasi una bestia affamata e impazzita, e lui pareva essere la sua preda. Cercò di dimenarsi, di reagire all’ansia e al terrore che provava, ma urlò quando le unghie di Michael affondarono nella sua spalla, causandogli un dolore che, sommato agli altri che gli stavano facendo bruciare ogni parte del corpo, gli fece perdere la vista per un momento.
- Sei sempre stato così inutile... – l’uomo gli strinse di più la pelle, facendolo ansimare dal dolore. - Mi hai rovinato la vita, tu come quella troia di tua sorella.
A sentire quelle parole, a sentire quelle cose rivolte a Clare, il cuore di Roger bruciò di rabbia. Ma l’unica cosa per cui riuscì a trovare la forza di fare, fu quella di sputare in uno degli occhi rossi del padre, tremando. – Non osare parlare così di Clare.
- Per quanto ti sforzi, non riuscirai mai a proteggerla. Sei debole. Inutile.
Roger strinse i pugni e i denti, sferrando una testata sulla fronte del padre con le forze rimaste. Il colpo fece cadere a terra entrambi, ma almeno si era liberato. Si toccò la spalla, sentendola sanguinare.
- Porca puttana! – urlò Michael, tastandosi la fronte. Roger si alzò a fatica, ma le gambe non lo ressero abbastanza per tenerlo in piedi. Cadde in ginocchio, mantenendosi al tavolo e scappando, a gattoni. Il cuore gli batteva a mille, la testa sembrava esplodere e ogni fibra del corpo pareva gridare di dolore. Raggiunse il bagno, chiudendosi dentro e ansimando, scivolando sulla porta e appoggiandoci la testa, che gli cadde a ciondoloni. Cercò di calmarsi e riprendere fiato, mentre sentiva il sangue scorrere velocemente nelle vene facendogli pulsare le tempie. Respirò profondamente, deglutendo mentre sentiva il cuore rallentare, fino a raggiungere una frequenza quasi normale. Raccolse tutte le forze per rimettersi in piedi, gemendo quando sentì una scarica di dolore attraversargli il corpo. Si appoggiò al lavandino con le mani, buttando la testa in avanti e prendendo un altro respiro. Deglutì, tremante, e quando rialzò la testa e vide la sua immagine riflessa ne fu quasi turbato. C’era sangue rappreso sulle labbra e sulle punte dei capelli biondi, il naso era diventato di un colore violaceo. Era pallido come un cencio, esausto, le occhiaie marcate e gli occhi semichiusi e rossi. Quello non era lui. Non era il ragazzo sereno e fiero di sé che vedeva ogni volta negli specchi. Quel ragazzo stremato e ferito non era Roger Taylor.
Chiuse gli occhi, tremando. Se non si fosse retto abbastanza al marmo del lavandino sarebbe crollato per terra.
Pensò a quello che stava succedendo. Era accaduto tutto troppo in fretta, in soli due giorni stava rischiando di impazzire. Sentì di aver bisogno di Brian, sentì di voler vedere il suo sorriso, sentì di voler udire la sua voce, forse anche sentire i suoi rimproveri e le sue ramanzine. Aveva bisogno di lui, in quel preciso istante. Aveva bisogno del suo migliore amico per non impazzire, per riuscire a rimanere in piedi. Chiuse gli occhi, sedendosi sul pavimento.
Clare era al sicuro, ma lui sentì di essere sommerso di guai fino al naso. Quel pazzo era nella stanza appena adiacente a quella in cui si trovava lui, e in quel bagno non c’era nemmeno una chiave. Sentì l’uomo gridare qualcosa che lui, per quanto gli girava la testa, non riuscì a capire. E poi vide la porta aprirsi.
Vide uno sguardo carico di pazzia, rabbia, ira e rancore. Terrorizzato, si appiattì contro il muro. Non riusciva a trovare nemmeno la forza di reagire, era pietrificato dalla paura e sapeva che, se anche avesse provato a reagire, l’uomo lo avrebbe devastato in ogni caso. E si odiò per tutto. Per non riuscire a contrastarlo, per non essere stato in grado di proteggere sua sorella, e per la preoccupazione che, in quel momento, stava probabilmente attanagliando la mente di Brian. Brian. Aveva bisogno di Brian.
Quello che accadde dopo fu troppo veloce per poterlo capire. Roger riuscì solamente a sentire il panico invadergli il corpo e appannargli la testa e i riflessi.
Capì di non riuscire più a respirare. Spalancò la bocca, cercò di prendere aria, ma qualcosa glielo impediva.
Lentamente si rese conto della busta di plastica che gli ricopriva la testa e si svegliò di colpo. I sensi si riattivarono stimolati dalla paura. Cercò di sollevare i pugni per colpire suo padre, ma si rese conto di avere i polsi bloccati. Iniziò a dimenarsi, cercando in tutti i modi di prendere anche il minimo filo di ossigeno, agitandosi sempre di più per la fame d’aria. I suoi occhi erano spalancati, ma piano piano l’unica cosa che vide fu il buio. E quando smise di agitarsi, pensò che sarebbe morto. Realizzò di non riuscire a muoversi, di non poter fare nulla per scappare o reagire. Si sentì impotente e debole, aveva sempre più freddo.
“Ho vissuto troppo poco per morire.” riuscì a pensare. Non capì perché suo padre lo stesse trattando in quel modo. Non capì perché Tim li avesse abbandonati. Non capì perché quel ragazzo lo avesse privato della sua verginità la sera prima. Non capì perché non potesse più essere il bambino spensierato con la famiglia serena che era anni prima.
E poi pensò a Brian. Ci sarebbe stato male, Brian, se la sua vita fosse finita? Si stava preoccupando in quel momento, Brian? Era triste, Brian? Era arrabbiato, Brian?
La mancanza d’aria iniziò ad annebbiargli i pensieri.
Brian, dov’era, Brian?
Brian, perché non c’era, Brian?
Brian. Roger aveva bisogno di Brian.



- Che stai facendo? – sentì domandare mentre lui, seduto sullo sgabello di fronte alla grancassa, si occupava della sua batteria. Alzò la testa guardando il suo interlocutore, che in quel momento aveva un’espressione curiosa dipinta in volto e le braccia incrociate.
- Sto accordando il mio strumento. – rispose semplicemente, tornando poi a fare ciò che aveva lasciato. Brian sorrise, stupito. Non aveva mai visto nessun batterista farlo. Il giorno dell’audizione di Roger per entrare nella band era arrivato e il chitarrista notò che, sebbene non volesse farlo notare molto, il biondo era leggermente agitato. Appoggiò la chitarra sul muro, e rivolse uno sguardo al ragazzo. – Ci sei?
Senza farselo ripetere due volte, Roger smise di regolare le manopole, afferrando le bacchette e cominciando leggermente a battere sulle pelli dei tamburi. Fu un crescendo di energia, forza, precisione, impegno.
Roger picchiò forte sulle percussioni, mordendosi il labbro per la concentrazione e aumentando sempre più l’energia che ci metteva a suonare. Il cuore gli batteva forte in petto, nelle tempie e in gola, come le sue bacchette stavano facendo sulla batteria. Non si rese nemmeno conto dell’ambiente che lo circondava, pensò solo e soltanto a suonare. E poi sentì una chitarra suonare insieme ai suoi tamburi.
Brian pensò che il suono che producevano la sua chitarra e la batteria di Roger insieme fosse magnifico. Perfetto, pulito, come nessun’altro. Sorrise quando si rese conto di aver trovato chi faceva al caso loro, chi forse si era impegnato talmente tanto da aver raggiunto il massimo della bravura. Vide sul volto di Roger un’espressione concentrata e soddisfatta, fiera, orgogliosa. E smise di suonare, quando il ragazzo batté gli ultimi colpi sui piatti. Il cuore di Brian esplodeva di ammirazione.
Roger si alzò in piedi, allargando le braccia all’altezza delle spalle. – A me è sembrata buona.
Il chitarrista rise, stringendo il suo strumento tra le mani. – Fantastica.
- Sono lusingato. – disse il biondo.
- Sei stato preciso ed energico. Tim vuole intelligenza e forza. E tu sei proprio il tipo di persona che sarebbe in grado di combinare entrambe le cose.
- Lo so.
Brian sorrise, mettendo a posto la chitarra mentre Roger si alzava dallo sgabello. – Quindi? – chiese il biondo. – La risposta definitiva?
- Non essere impaziente. Andiamo a farci un drink. Ti va?
- Se mi va? E me lo chiedi anche?

Roger scoprì di andare molto d’accordo con Brian May, sebbene fossero molto diversi tra loro. Il ragazzo era intelligente e brillante, spontaneo e paziente. Era calmo, molto calmo, se paragonato a lui, e di questo Brian se n’era accordo dal primo incontro.
Roger gli sembrava un ragazzo pieno di vita, divertente e solare e allo stesso tempo sveglio e intelligente, ma anche un po’ disordinato e caotico. Era, volendo fare un paragone, una batteria. Lo strumento che suonava gli calzava a pennello e Brian non aveva potuto fare a meno di notarlo.
Parlarono molto, di musica, di studio, e dopo qualche oretta si fecero scappare anche qualche cazzata dovuta alla confidenza che stavano guadagnando.
Quando uscirono dal locale, Roger infilò le mani in tasca, guardando Brian. – Io devo prendere l’autobus. Mi sono reso conto di aver lasciato la macchina davanti a casa mia.
- Come ci sei venuto all’Imperial?
- A piedi. Non era lontano, solo che ora casa mia non è proprio vicinissima.
Brian cercò qualcosa nella tasca, e ne estrasse delle chiavi. – Eccole qui.
- Non posso credere che tu abbia una 500.
- E invece…
- Ti prego, ti stimavo. – sospirò Roger. Brian aggrottò la fronte. – Non ti piacciono le 500?
- Sono oscene.
- Dai, sbrigati o appena saliremo farà i capricci e ti vorrà fuori. Dobbiamo andare a piedi all’Imperial, però. L’ho lasciata lì.
- Nessun problema.
La passeggiata fu piacevole, sebbene facesse abbastanza freddo. Continuarono a parlare e Brian scoprì lo spassionato interesse che Roger nutriva per le automobili. La cosa lo fece ridere, era come se, parlando della sua auto, gli stesse raccontando della ragazza di cui era innamorato. Quel ragazzo era una boccata di vita e serenità.
Dopo un paio d’isolati arrivarono al parcheggio dell’Imperial, salirono in macchina e Brian, facendosi dare le giuste indicazioni da Roger, giunse presto davanti alla casa del ragazzo. Scesero entrambi, e Roger lo guardò ringraziandolo, allungando una mano verso di lui. Fu stupito quando vide Brian avvicinarsi a lui per abbracciarlo amichevolmente. Sebbene Roger non fosse un fan del contatto fisico sorrise, stringendo a sua volta il ragazzo che, ridendo, disse a voce alta. – Benvenuto negli Smile, Roger Taylor.



- B-Bri… - riuscì a sussurrare Roger, mentre sentiva le forze abbandonarlo sempre più. Inizió a vedere puntini neri danzare nei suoi occhi, il cuore batteva sempre più lentamente. Aveva solo una consapevolezza. Stava morendo. Stava morendo e non poteva far niente per impedirlo. Chiuse gli occhi, rassegnato, mentre sentiva le gambe cedere sotto al suo peso. E d’un tratto, però, sentì nuovamente l’aria entrare nei suoi polmoni. Spalancò gli occhi, prendendo la boccata d’aria più grande che avesse mai respirato. Crollò per terra, tossendo e ansimando, cercando di mettere a fuoco l’ambiente che lo circondava. Riconobbe, a poco a poco, la sorella. Era in piedi, con una padella da cucina stretta tra le mani, con gli occhi spalancati e il petto che si alzava e si abbassava freneticamente.
Roger deglutì, cercando di riprendere fiato, vedendo la busta che aveva sulla testa afflosciarsi per terra. Notò il padre riverso per terra e guardò Clare. Lo aveva salvato. Sua sorella lo aveva salvato.
- Mangerò anche solo verdure per un mese. Ma almeno, non sarò costretta ad assistere al tuo funerale. – sentì dire dalla sedicenne. Il maggiore guardò Michael, respirando profondamente. – N-non è… Non è morto, vero?
- No, non sono mica così scema da ucciderlo. Gli ho semplicemente impedito di uccidere te.
Roger sentì, nel tono deciso della sorella, un leggero tremore. Vide delle lacrime velarle gli occhi azzurri come i propri e sospirò, alzandosi. Il movimento gli costò un dolore e una fatica spossante, ma abbracciò comunque la sorella senza dire nulla. Si accasciò leggermente su di lei, mentre la ragazzina lo stringeva accarezzandogli la schiena. Sentì le spalle di Clare sussultare per i singhiozzi e sospirò, abbracciandola più stretta, per quanto le forze glielo permettessero.
- Rog, io…
- Grazie, Clarie. Sei fantastica. Sei la sorella migliore che potessi desiderare. – si allontanò leggermente, sorridendole e asciugandole le lacrime. – E sono fiero di te.
- Io avrei voluto fare di più. Avrei dovuto fermarlo prima. – mormorò la ragazzina, ma Roger scosse la testa. – Hai fatto anche troppo, Clarie. Hai impedito che morissi soffocato, penso sia abbastanza. – sorrise il ventenne, accarezzandole i capelli. Poi sentì le gambe tremare e cedere, e se non ci fosse stata Clare sarebbe rovinato a terra.
- Andiamo, Roggie. Brian ci aspetta.
Roger tossì, annuendo e cercando di rialzarsi. Brian lo aveva aspettato per tutto quel tempo, e forse lui lo aveva anche fatto morire di preoccupazione.
- Quel santo non mi perdonerà mai.

Ogni minuto che passava, la preoccupazione di Brian cresceva sempre di più. Gli stringeva le budella e gli faceva esplodere la testa, mentre i pensieri immaginavano scene a cui lui avrebbe preferito non pensare. Il suo migliore amico era lì dentro, con quell’uomo che avrebbe potuto fargli qualunque cosa.
Erano passate due ore, e ancora lui non vedeva nessuno uscire dalla casa. Clare, che fino a quel momento era rimasta nella camera, era uscita per andare a controllare, e non tornava da troppo tempo. Brian si stava consumando le unghie a forza di mangiarle per il nervosismo, ed era tentato di irrompere nell’abitazione per vedere con i suoi occhi cosa stesse succedendo.
E d’un tratto vide la porta aprirsi. Li vide entrambi, il braccio di Roger era intorno alle spalle di Clare, che lo sosteneva trascinandoselo di peso. Appena notò le condizioni del migliore amico gli venne un nodo alla gola.
Era pallidissimo, quasi cianotico. Aveva sangue rappreso sul viso e sui vestiti, era curvo su se stesso e se Clare non lo avesse sostenuto probabilmente non sarebbe riuscito a tenersi in piedi. Lo vide sorridergli, appena si accorse di lui. Brian sospirò, deglutendo subito dopo.
La ragazzina aprì la portella dell’auto, sedendosi e facendo stendere Roger sulle sue gambe, facendogli appoggiare la testa sulle ginocchia e iniziando ad accarezzargli i capelli. Il biondo guardò Brian dallo specchietto.
- Sono… Contento che tu sia qui. – mormorò, quasi senza voce. Brian trattenne il respiro, forzando un sorriso per rassicurare il migliore amico. – Pensi davvero che avrei potuto lasciarti senza un passaggio?
Roger ricambiò il sorriso. – No. – sussurrò, chiudendo gli occhi, addormentandosi sulle gambe della sorella.



- Bri, ti prego, dammi un passaggio. – si lamentò Roger per l’ennesima volta. L’amico alzò gli occhi al cielo, sbuffando. – Ma è possibile che tu sia così pigro? Sono pochi isolati, puoi farteli a piedi.
- Sei un amico di merda. E’ questo che vuoi? Che i miei piedi si stanchino? Magari mi si rompono pure e a te non frega niente.
- Non fare tanto la prima donna, non ti sopporto normalmente, figurati quando fai così.
- Mi stai dando fastidio.
- Oh Gesù, ma perché a me? Cosa devo fare per liberarmi da questo peso umano?
- Dargli un passaggio.
Brian gli rivolse un’occhiataccia, e l’unica cosa che Roger fece fu avvicinarglisi stringendogli il braccio. – Dai, Bri. Se vuoi mi metto a ballare la Lap Dance sulla batteria, ma ti prego, mi dai un passaggio?
Il passaggio che Roger stava reclamando in quel modo, lo avrebbe portato all’Università che frequentava, sebbene quest’ultima non distasse molto dalla sala prove in cui erano appena stati. Tim era andato da sua zia per aiutarla con delle commissioni, e Brian non aveva nulla da fare, ma voleva tornare a casa al più presto. Aveva bisogno di risposare un po’ e stare solo, non era proprio in vena di fare nulla se non dormire.
- Tu nemmeno studi per gli esami. Che cazzo ci vai a fare all’Università? – sbottò Brian.
- Ma sì che studio.
- Sì? E da cosa? Pensi che mi sia dimenticato del fatto che, l’altra sera, tu abbia “accidentalmente” buttato dalla finestra il libro di biologia perché non riuscivi a capire un argomento che io stesso ti ho spiegato almeno dieci volte?
- Studio dagli appunti.
Brian indossò un’espressione incredula. – Tu. Tu prendi appunti.
- Sì.
- Certo, Rog.
- Ma perché sei sempre così acido? Non ti basta darmi un passaggio?
- Se ti do un passaggio smetterai di metterti le dita nel naso per disturbarmi mentre mangio?
- Se sei troppo lento a mangiare non è colpa mia.
- Non è necessario che tu mi dia fastidio mentre mangio, però.
- Va bene, smetterò di importunarti. – si arrese Roger. Poi sorrise. – Quindi mi accompagni?
Brian fece un sospiro frustrato, prendendo le chiavi. – Gesù, Gesù, Gesù. – imprecò, aprendo la macchina e salendoci, aspettando che il migliore amico facesse lo stesso.
- Ti amo.
- Non sono interessato.
- Mi sento offeso.
- Mi fa piacere.



- Ahi! – strillò Roger, quando Brian passò il disinfettante sulla spalla ancora graffiata. Il riccio sospirò. – Scusami. Sto cercando di farti meno male possibile.
Il più piccolo sorrise lievemente, scuotendo la testa. – Non fa niente, apprezzo che tu mi stia aiutando. Il fatto è che questo disinfettante fa… Ah! – sussultò, serrando gli occhi e stringendo una delle maniche della camicia di Brian. Il più grande buttò nella spazzatura l’ovatta che aveva usato per medicarlo, cambiandogli la garza.
Roger stava meglio, ma quella notte non era stata affatto piacevole. Il ragazzo aveva avuto incubi per tutto il tempo, si contorceva per il dolore e sudava freddo. Brian gli aveva tenuto compagnia per tutta la notte, ma il ragazzo non aveva voluto saperne di calmarsi, seppur dormisse. E al più grande si era spezzato il cuore, nel vederlo in quelle condizioni. Fortunatamente, però, dopo aver accompagnato Clare a casa della madre quella mattina, aveva trovato il ragazzo seduto davanti alla TV mentre mangiava dei salatini.
Si era sentito in colpa per averlo lasciato da solo per quei venti minuti i cui era uscito per accompagnare la ragazzina, ma si era rassicurato leggermente vedendo l’amico tranquillo e autonomo.
Roger era un ragazzo che si rialzava facilmente quando cadeva, su questo Brian non aveva alcun dubbio, ma dopo ciò che era successo due sere prima aveva paura che il migliore amico potesse essere cambiato, che l’abbandono di Tim gli avesse fatto perdere la voglia di reagire ai problemi. E invece, aveva sorriso, quando appena era tornato a casa, aveva sentito la voce di Roger fargli: “Ehi, dottore, passami il telecomando che spengo. Ci sono solo stronzate in televisione.”
Roger barcollò appoggiandosi al muro, quando si rialzò. Brian lo fermò subito. – Ehi, ehi, ehi, non così in fretta.
- E dai, mamma, che devi fare ancora? Sto bene. Non sono un rottame.
- Siediti e stai fermo. Ti porto del ghiaccio da mettere su quel bernoccolo. Voglio che si sgonfi il prima possibile.
- Così potrai tornare a tirarmi scappellotti?
- Non ti ho mai picchiato.
- Ma mi prendi in giro? E’ il tuo passatempo preferito, picchiarmi.
- Sta’ fermo lì. Se ti vedo in piedi quando torno ti trucido. – Brian uscì dal bagno e lasciò la porta aperta, mentre Roger guardava fuori dalla stanza.
Il biondo abbassò lo sguardo, toccandosi la spalla. Gli vennero in mente le scene del giorno precedente, lo fecero deglutire e gli diedero fastidio. Sospirò. Pensò che se non ci fosse stata Clare, probabilmente sarebbe morto. E per cosa? Perché era troppo debole per potercela fare da solo. Era incazzato con sé stesso, aveva fatto preoccupare sua sorella e Brian e non era stato nemmeno in grado di risolversi i propri problemi da sé. Era questa la cosa che più lo faceva arrabbiare.
Quando vide Brian tornare con il ghiaccio, cercò di sembrare tranquillo. Accantonò ogni pensiero, lo fece per lui, per non farlo preoccupare.
Il chitarrista gli appoggiò il ghiaccio sulla testa, facendolo gemere. Era freddo sul bozzo che si era formato sul retro della sua testa, gli bruciava leggermente.
- Stai bene? – gli domandò Brian, senza guardarlo. Roger annuì. – Sì, Bri. Come sempre.
- Dio, Rog. Se penso… Se penso a come cazzo mi sono sentito, quando ti ho visto in quelle condizioni, io…
- Brian, smettila. – ribatté Roger, girandosi a guardarlo, incurante del ghiaccio che si spostava sulla sua testa. – Sto bene, ora. Odio quando fai così. Devi pensare che ora io sia qui, vivo e vegeto, stupido come sempre. Non devi soffermarti su pensieri che non hanno a che vedere con questo momento. Io… Io per farlo ho fatto una cazzata. E lo sai meglio di me. – Roger abbassò la testa, quando finì di parlare. Brian annuì, pensando che il ragazzo, (almeno per una volta), avesse ragione.
- Ora, per favore, mi togli ‘sto coso dalla testa?
- No. L’ho appena messo.
- Ma mi si sta ghiacciando il cervello.
- Rog, ma che dici? Quale cervello?
Roger alzò gli occhi al cielo. – Ah, cazzo. Sei davvero divertente. Dovrebbero darti un premio.
Brian sorrise. – Sai che scherzo.
- Mi ferisci.
- Oh, allora c’è qualcos’altro da medicare!
- Ti senti simpatico, oggi?
- Particolarmente. – Brian tolse la mano che reggeva il ghiaccio, appoggiandoci quella di Roger. – Va bene, alzati. Sei libero. Però devi tenerti il ghiaccio sulla testa per altri dieci minuti.
- Sì, così poi mi si ghiaccia pure la mano.
- Smettila di lamentarti.
Roger si alzò in piedi, tenendosi in equilibrio. Sorrise, guardando Brian. – Hai troppa pazienza, con me.
Prevedeva un “lo so” oppure un “ne sono consapevole” ironici, ma quello che ottenne fu il gesto che meno si sarebbe aspettato. Brian lo abbracciò, stringendolo forte a sé e facendolo gemere leggermente quando andò a premere troppo forte su un livido. Il più grande allentò la presa quando lo sentì, chiedendogli dolcemente scusa. Roger sorrise. – Grazie, Bri.
- Ti voglio bene.
Qualcosa, in quella frase, disturbò leggermente Roger. Non seppe spiegarsi il perché, si limitò a ricambiare il suo abbraccio e sussurrare un lieve, incerto, “anch’io”.

You don't know what it means to me. (Maylor)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora