Buio, era tutto buio.
Il ragazzo si fece spazio nella camera, deglutendo e cercando di abituarsi all’oscurità della stanza. Il cuore in gola, i movimenti tanto cauti e i passi leggerissimi per poter riuscire a sentire anche solo il minimo rumore. Aveva sentito delle grida, dei colpi e dei rumori che non gli erano piaciuti per nulla.
Deglutì. – M-mamma? – sussurrò, pregando che la donna gli rispondesse. Non ci fu alcuna risposta. La sua preoccupazione e le sue ansie aumentavano sempre più, facendogli male allo stomaco. – Mamma… Clarie? – chiamò, nuovamente, ma non un suono uscì dalla stanza. Pregò di essersi sbagliato. Quelle urla che lo avevano svegliato di soprassalto, magari, erano solo frutto di un incubo o della sua immaginazione.
Roger indietreggiò, cercò l’interruttore della luce e, erroneamente, ci finì sopra con la schiena. Finalmente poté riuscire a vedere qualcosa. C’erano vetri sparsi per terra, probabilmente appartenenti ad un bicchiere frantumato o un piatto. Deglutì. Non c’erano, prima che andasse a dormire.
Si avviò verso la cucina adiacente, premette la mano sull’interruttore.
Urlò.
Corse verso i due corpi femminili e così familiari che erano riversi per terra, inermi, spalancando gli occhi e lasciando che le lacrime gli rigassero le guance. Si inginocchiò accanto alla sorellina, accarezzandole i capelli biondi e scuotendola, piano. – Clarie, Clarie. – sussurrò, scuotendo la testa, incredulo e spaventato. Aveva il cuore in gola e quella vista gli fece girare la testa.
I due corpi erano sanguinanti e immobili, inerti. Non volle crederci.
Ansimante si avvicinò a sua madre, prendendole la mano e stringendola tra le sue dita tremanti. – Mamma…
Scoppiò a piangere, mentre un conato di vomito per la vista e per l’odore gli fece mancare per un secondo il fiato. Iniziò a singhiozzare, scuotendo la donna e la ragazzina, rifiutandosi di pensare al peggio. Gridò i nomi di sua madre e di sua sorella, per poi correre a prendere il telefono, iniziando a comporre un numero.
D’un tratto sentì due mani salde che gli afferravano le braccia, sbattendolo con violenza al muro e stringendogli i polsi. – Tu non dirai niente. E non farai niente. Azzardati ad aprire bocca e dire qualcosa in giro, e sarà peggio per te.
Roger aveva paura, aveva il cuore a mille ed era devastato, mentre guardava ancora le due figure per terra. Ma la paura non gli impedì di provare rabbia. Ira, infinita. Assottigliò gli occhi chiari, sputando dritto in faccia al padre e dimenandosi.
Michael era più alto di Roger di almeno venti centimetri, e pesava forse trenta chili in più. Lo tenne stretto nella posizione in cui lo aveva inchiodato, impedendogli di muoversi.
- Lasciami. – mormorò Roger, cercando di liberarsi. Iniziò ad urlare, pregando che qualcuno lo sentisse, prima di sentire una forte presa sulla sua gola che gli fece mancare l’aria. Le mani erano libere, i piedi anche. Cercò di graffiare le mani del padre, tirando ginocchiate alla cieca, ma quando la stretta si fece più forte iniziarono a bruciargli i polmoni.
- Grida un’altra volta, e ti faccio dimenticare di essere nato.
Fu l’unica cosa che riuscì a udire. Iniziò a non vedere più nulla, piano piano nemmeno i suoni erano più riconoscibili.
Non riconosceva l’ambiente circostante, macchie scure gli offuscavano la vista.
Chiuse gli occhi.
…
Il ragazzo spalancò gli occhi, rizzando immediatamente la schiena e portandosi le mani sul collo, ansimando con il cuore a mille. Sentì una presa sulla spalla e un tocco delicato sulla sua guancia, mentre cercava di mettere a fuoco la stanza che lo circondava.
La prima cosa che riuscì a vedere vividamente, furono gli occhi castani di Brian che lo osservavano preoccupati, mentre la mano appoggiata sulla sua guancia la sfiorava dolcemente, con una tenerezza che gli fece avere meno paura.
Non era casa. No, era nella stanza di Brian, quella in cui il ragazzo viveva da poco meno di sei mesi e condivideva con John. Non c’erano corpi per terra, nessuna mano era avvolta attorno al suo collo.
- Tranquillo. Tranquillo, Rog. – sentire la voce di Brian lo rassicurò.
Sentì le lacrime scendergli sulle guance contro la sua volontà, vedendo il riccio sporgersi verso di lui e stringerlo a sé. – Tranquillo, Roger. Sei qui, sei al sicuro. Ci sono io. Sono qui con te.
Il respiro di Roger iniziò a farsi più regolare, sentendo le mani delicate di Brian accarezzargli lentamente la schiena. – Nessuno può farti del male, adesso.
- C-Clare… Mamma… - balbettò, quasi senza voce. Il chitarrista gli passò una mano tra i capelli biondi. – Stanno bene, Roger. Sono a casa.
- D-dov’è… Dov’è lui?
Brian respirò profondamente, guardandolo e prendendogli il viso tra le mani. – E’ in carcere, Rog. Lo sai. E’ sotto controllo. Non può far male a nessuno.
Vide gli occhi azzurri del ragazzo fissarlo, lucidi e spaventati. Odiava vedere Roger in quelle condizioni, non si era dimenticato dei suoi incubi. Gli incubi che lo tormentavano di notte, non lasciandolo dormire. Gli accarezzò uno zigomo con il pollice. – Ci sono io.
Dolcemente, si avvicinò a lui e con tutta la tenerezza del mondo gli lasciò un piccolo, delicato bacio sulle labbra fredde e tremanti.
Roger sentì la tensione allentarsi facendo spazio ad una sicurezza e una tranquillità che, da sempre, solo Brian riusciva a trasmettergli. Si sentì felice ad averlo di nuovo al suo fianco, era sollevato. Fece dei respiri profondi, cercando di calmarsi completamente. – C-c’era… C’erano Clarie e mamma…
Brian gli prese una mano, accarezzandola con il pollice e guardandolo, cercando di rassicurarlo e aspettando che continuasse. Lo vide deglutire. – Loro erano per terra e… E non si muovevano, e lui…
Il chitarrista gli passò una mano tra i lunghi capelli biondi. – Tranquillo, Rog. Stai tremando.
- Ha cercato di uccidere anche me…
Il riccio sentì gli occhi farsi lucidi. Gli venne in mente quel giorno, quello in cui Roger era uscito da quella casa sfinito e devastato, in cui aveva rischiato la vita. Deglutì e chiuse una guancia del ragazzo nella sua mano, accarezzandola leggermente. – Era solo un sogno. Sei al sicuro, ci sono io. Tua madre e Clare stanno bene, okay? E’ tutto a posto.
Roger strinse gli occhi, bloccando l’uscita di ulteriori lacrime e appoggiando la testa sul petto di Brian, che lo avvolse dolcemente tra le braccia. Sentire il cuore di Brian battere contro il suo orecchio lo rilassò e lo fece sentire più tranquillo, protetto e al sicuro. Ripensò alle tante volte in cui lo aveva salvato, in cui lo aveva tirato su dall’oblio, in cui lo aveva protetto e in cui lo aveva allontanato dalle strade sbagliate che stava intraprendendo, e gliene fu grato. Si sentì in colpa per averlo trattato come non meritava per tre lunghi anni, mortalmente in colpa. Lo aveva ignorato, lo aveva fatto sentire malissimo. E forse era l’unica persona i cui sentimenti a Roger importavano. Lo strinse forte. Gli aveva fatto del male quando Brian lo aveva sempre fatto star bene.
- Mi dispiace, Bri.
Sentì il petto di Brian avere dei leggeri sussulti mentre il riccio rideva. – Dispiace a te? Credo che l’unico a doversi scusare sia io, Rog.
- Brutto idiota, ma se quando cercavi di parlarmi ti ignoravo.
- Ecco, sapevo che questa gentilezza non sarebbe durata. – il chitarrista sorrise, baciandolo in cima alla testa. – Non devo farci l’abitudine.
- Decisamente no.
- Ti senti un po’ meglio? – chiese Brian, spostandosi per guardarlo negli occhi. Roger sospirò, alzando le spalle. – Sì. Solo un po’ d’ansia, posso gestirla.
- Su questo non c’è dubbio. Anche se, dovendo rovinare tutto e fare il pignolo, l’ultima volta che hai avuto ansia per qualcosa hai rotto il basso di Deaky.
Roger alzò gli occhi al cielo e incrociò le braccia al petto. – Come se John non bastasse a ripetermelo ventiquattro ore su ventiquattro. Quel basso era una merda.
- Mi dispiace dirtelo ma no, quel basso non era una merda.
- Era il compleanno di Freddie e non gli avevo comprato niente. E poi mi stavi facendo incazzare.
- Io?! Io ti stavo facendo incazzare?!
- Sì.
- Non è una giusta motivazione per cui spaccare un fottutissimo basso.
Il biondo sbuffò. – Ecco, mi mancavano le sue discussioni che mi fanno venire i sensi di colpa, dottor May. La sua saccenteria mi offende e mi dà sui nervi.
- Eppure ieri sera non ti ho dato fastidio.
- Sì, vabbè, che esempio inutile. Ieri sera non stavi parlando facendo il moralista vecchio saggio della situazione. E poi Deacy non si è offeso, quindi la cosa del basso non conta.
- Non c’entra niente che John si sia offeso o meno. Hai comunque rotto un basso.
Il batterista si staccò dal suo petto e gli tirò un pugno sul braccio. – Certo che le rompi le palle. A nessuno piacciono le persone fiscali.
- Promettimi che non mi romperai la chitarra.
Roger sollevò le sopracciglia. – Ma sei serio?
- Sì.
- Vai a cagare.
- Non ho ancora mangiato. Non posso.
- Ma che cazzo?! Che schifo.
- Seh, certo. Mi rutti nelle orecchie tutti i giorni e ti fa schifo una frase detta anche troppo educatamente.
- Tutti i giorni non direi. Fino a ieri non ruttavo nemmeno in tua presenza.
- Mi mancheranno, quei tempi.
Il biondo spalancò gli occhi. – Scusa?
Brian rise, prendendolo tra le braccia. – Sai che scherzo.
- Ti stai prendendo fin troppa confidenza.
- Sì, Rog. Certo. – sorrise il riccio, baciandolo dolcemente. Roger chiuse gli occhi, rilassandosi al tocco di quelle labbra che gli erano così tanto mancate. Finalmente, dopo tre anni, non solo avevano riordinato le cose nel loro rapporto, ma avevano entrambi chiuso ciò che per tanto tempo era rimasto aperto, senza una conclusione. Roger schiuse le labbra, lasciando che la lingua di Brian entrasse in simbiosi con la sua.
Il chitarrista appoggiò la testa al cuscino, tirando su Roger dal braccio, in modo da potercelo avere di fronte. Il biondo spalancò gli occhi per il movimento improvviso. – Piano!
Brian sorrise, appoggiandogli le mani sui fianchi e baciandolo di nuovo, mentre il batterista gli accarezzava piano i capelli, sospirando sulle labbra del ragazzo, che ebbe un piccolo brivido nel sentire il respiro di Roger così vicino al viso.
Sorrise, poi, quando sentì lo stomaco di Roger brontolare. Rise, staccandosi dalle sue labbra e accarezzandogli una guancia. – Mi sembra di capire che tu abbia fame.
- Sai com’è, non abbiamo mangiato ieri sera.
- Colazione con Freddie e John?
- Colazione con Freddie e John.
…
- Cazzo, cazzo, cazzo! – urlò Roger, girandosi intorno talmente velocemente che avrebbe potuto consumare il pavimento. – E ora che faccio? E’ fottutamente tardi, non posso comprare niente di decente!
John sospirò, guardandolo agitato e armandosi di santa pazienza. – Rog, per la miseria, datti un tono. Troveremo una soluzione, ci sarà qualcosa di aperto dove trovare un regalo!
Il biondo strinse le labbra, avvicinandosi al più piccolo e prendendolo per le spalle. – John Richard Deacon. Sono le nove e mezza. E lo sai a che cazzo di ora è il party di Freddie?
- Alle dieci.
- E allora mi dici come cazzo faccio a comprare un fottuto regalo?!
- Questo è perché avresti dovuto muoverti prima, Roger. – intervenne Brian, seduto sulla scrivania della stanza di John. Roger respirò profondamente. – Non sei nessuno per dirmi quello che devo fare.
- Per quanto mi riguarda, una volta ero il tuo migliore amico.
Il biondo strinse i pugni, trattenendo il fiato e girandosi, lentamente, verso il chitarrista. Il minore del gruppo si mise tra i due ragazzi, prendendo Roger per le spalle prima che potesse fare qualcosa che avrebbe potuto nuocere il povero Brian. – Non siate infantili, per favore. Ora un regalo per Freddie lo troviamo, d’accordo?
Sia il maggiore che John sapevano che Roger, quando era nervoso o preoccupato, non era esattamente il tipo di persona che cercava di mantenere la calma nelle situazioni scomode. E, come se non bastasse, il commento acido del chitarrista gli aveva sicuramente fatto saltare i nervi a mille, e se prima c’era speranza di tranquillizzarlo, in quel momento non ne vedevano nemmeno l’ombra.
- Leva quelle mani di merda dalle mie spalle di merda, o giuro che ti faccio finire su Marte. – ringhiò infatti il batterista, non ottenendo comunque alcun risultato, essendo le dita di John ancora attaccate al suo corpo.
Brian scese dalla scrivania di legno, andando a riporre il libro di astrofisica nella libreria che condivideva con John - In realtà non potresti farlo finire su Marte. Anche se tu ne avessi la possibilità, lui…
- Non me ne frega niente. Nessuno vuole sentire le tue stronzate da scienziato del cazzo. Non ti rendi nemmeno conto che non interessano ad anima viva. – sbuffò Roger.
- Forse non interessano a te, perché sei talmente stupido e ignorante che tutto ciò che regna nel tuo cervello da ameba è il tuo egoismo da narcisista.
Il biondo assottigliò gli occhi blu, scostando John e avvicinandosi al ragazzo, fissandolo. – Non so chi tu ti creda di essere. Posso semplicemente dirti che non hai il diritto di parlarmi in questo modo, dopo tutto quello che mi hai fatto.
- Io non ti ho mai fatto niente.
- E poi ti chiedi perché io ti ignori. Ecco perché. Perché sei un cazzo di maestrino che crede di avercelo d’oro.
- Ragazzi, basta! Non fate i bambini! – esclamò il bassista. Puntò un dito verso Roger. – Tu hai due anni in più di me. – indicò poi Brian. – E tu, invece, non solo e hai ben quattro, ma ti stai anche comportando come mai mi sarei immaginato che ti potessi comportare!
- Non inserirti in discorsi in cui non c’entri un cazzo. – disse Brian, serio.
- Ma sì, infatti, perché Brian May è così. Con un temperamento invidiabile e una calma disarmante! Quando in realtà non è altro che un codardo egoista.
Al commento di Roger, Brian strinse gli occhi e arricciò le labbra. – Non ti conviene continuare.
- Perché?
- Perché non ho bisogno e voglia di sentire altro.
- O semplicemente perché altrimenti dimostri al nostro povero Deaky che non sei così saggio e pacato come crede.
- Taylor stai zitto.
- Adesso basta. – disse John, più deciso e diplomatico. - Vi state comportando come dei bambini. Mi sono stancato di questo continuo tira e molla tra indifferenza e rancore. State rovinando tutto e non ve ne rendete conto.
- Ma che cazzo vuoi saperne tu? – soffiò Roger, girandosi a guardarlo mentre Brian sbuffava.
- In questa band c’è bisogno di pazienza e unione. Sono due anni che fate così, due anni! Ma non vi sentite degli idioti per come vi trattate a vicenda?
- Tu non sai niente, John!
- Non potete continuare co…
Il povero bassista non poté terminare la frase, che vide il suo prezioso strumento essere sbattuto con irruenza e forza sul pavimento. Spalancò gli occhi, allargando le braccia mentre Brian si massaggiava la fronte con il pollice e l’indice.
- Il mio basso!
- Ecco, te lo vai a ricomprare! – strillò Roger, mentre si allontanava, uscendo dalla camera. Si girò dubito dopo, guardando il bassista. – E non dire che non ti avevo avvisato!
…
- Buongiorno, gioie! – trillò Freddie quando vide i due ragazzi entrare in cucina per fare colazione. John salutò entrambi con un timido sorriso, mentre Roger sbadigliava sedendosi davanti al bassista e Brian salutava con un calmo “Buongiorno, ragazzi”.
- Vedo che avete fatto pace! – disse Freddie, mentre era occupato a farsi una tazza di thè. Roger non ci badò molto. – Dammi dei biscotti.
- Non con questo tono.
Il biondo sbuffò pesantemente. – Posso avere dei cazzo di biscotti, per favore?
- Dobbiamo eliminare ancora le parolacce, ma ci sono già passi avanti. – gli rispose il più grande, mettendo dei biscotti al cioccolato il un tovagliolo e porgendoli al batterista. Brian sorrise mentre mangiava il suo yogurt alla fragola. Gli venne un dubbio. Si chiese quando, se e soprattutto come avrebbero dovuto dire ai due ragazzi che, in teoria, stavano finalmente insieme. Conoscendo Roger, sapeva che lui non si sarebbe fatto molti problemi e avrebbe vuotato il sacco da subito.
Però Brian non era così. Aveva bisogno dei suoi tempi, era molto più razionale e meno istintivo dell’altro ragazzo. Eppure sapeva che sia John che Freddie fossero consapevoli dell’interesse di entrambi nei confronti dell’altro, quindi, che problema poteva esserci?
- Il qui presente John Deacon ha dovuto dormire nel letto di Roger Taylor, sta notte. Non che io lo preferissi in camera sua, anzi, è stato ben più piacevole avere lui in confronto ad un aspirapolvere che mi sveglia ogni cazzo di volta che faccio un bel sogno. – Freddie lanciò un’occhiataccia a Roger. – Solo che, magari, la prossima volta che fate sesso, nascondete le prove come le persone normali.
Brian lasciò il cucchiaino dello yogurt sospeso davanti alle sue labbra, con gli occhi spalancati, mentre sentiva Roger tossire per un biscotto che gli era andato di traverso.
John alzò gli occhi al cielo. – Avevi detto che saresti stato delicato e non avresti usato il sarcasmo.
- Scusami, è solo che sono troppo soddisfatto per aver avuto ragione. – sorrise Freddie. Il bassista sospirò. – Sapevo che avrei dovuto parlare io.
Brian lanciò un’occhiata a Roger, che riprendeva piano piano fiato battendosi dei piccoli pugni sul petto. Vide gli occhi azzurri del ragazzo incrociare i suoi e spalancarsi, mentre le guance del batterista diventavano scarlatte. Almeno non avrebbero dovuto fare la fatica di trovare le parole per dire che stavano insieme.
- Cioè, voi… Ma come cazzo è possibile?! – esclamò il biondo.
Il cantante guardò John. – Il Deacon, qui, mi deve ben cinquanta sterline.
- Ma…
- Ma un bel cazzo di niente, Deacy. Hai dato la tua parola. Quindi, per favore, dammi i miei soldi prima che io diventi vecchio e Brian smetta di essere più alto del metro e ottantacinque. Che, onestamente, è una cosa che non mi fa sentire esattamente a mio agio.
John sospirò, tirando fuori delle banconote e sbattendole sulle mani dell’amico che se le mise nelle tasche dei jeans, soddisfatto. Brian respirò profondamente, chiudendo gli occhi e cercando di realizzare ciò che era appena successo. – Voi avete scommesso su di noi.
- Sì, e per Freddie Mercury è andata alla grande! Per il povero bassista non credo proprio. – esclamò Freddie.
- Siete dei maniaci! – sbottò Roger.
- Tu di essere maniaci non puoi parlare. – sentenziò John. Il biondo allargò le braccia. – Pensavo fossi dalla mia parte!
- Mi hai rotto il basso.
- Non ci voglio credere. Vi prego, ditemi che è uno scherzo.
Brian non sapeva se essere più innervosito da Freddie, che aveva fatto un’altra delle sue stronzate, o da John, da cui assolutamente non si sarebbe aspettato una partecipazione così attiva in una scommessa del genere. Chiuse gli occhi, incrociando le braccia. – Non voglio sapere niente della vostra stupida e depravata scommessa. Parliamo di cose serie, piuttosto. Quando si inizia a registrare?
Roger storse il naso. – Dovevi necessariamente ricordarglielo? Io sono stanco. E non ho voglia di continuare con i falsetti.
- Tranquillo, oggi non dovrai farne. Oggi si suona. – batté le mani Freddie, prendendo un biscotto e trangugiandolo, mentre si avviava nuovamente in camera sua.
Brian colse l’occasione per girare, lentamente, in modo che poco rassicurò il bassista, la testa verso di lui. Espirò dal naso, pesantemente. – Deaky.
John si irrigidì leggermente. – Sì, Bri?
- Sono molto deluso.
- Eh, infatti. Perché, ieri, invece di guardare i cartoni animati alla TV nel tuo letto, hai scommesso con Freddie su… - Roger aggrottò la fronte e guardò Brian. – Su che cosa?
- Perché c’eravate voi, nel mio letto! Attaccati come delle cozze. – John sospirò. – Ho anche perso la scommessa.
- E’ questo il punto!
- Bri, sono amareggiato, ma Freddie mi ha costretto!
- Seh, seh. Tutte scuse del cazzo. – intervenne il biondo. Brian lo fulminò con lo sguardo. Il batterista inclinò la testa da un lato. - Be’, che vuoi? Hanno scommesso pure su di me. Anche se non so su cosa.
John sospirò. – Freddie ha detto che secondo lui lo avreste fatto subito. Io pensavo ci metteste più tempo.
Brian inarcò un sopracciglio. – Che ne sai se l’abbiamo fatto?
- Brian, tu non vuoi che io te lo dica davvero.
- Invece ne ho una certa voglia.
…
Il giovane bassista si sarebbe aspettato tutto eccetto quello che stava vedendo.
Dopo una serata sfiancante passata a pulire la cucina e preparare la cena con Freddie, poteva finalmente mangiare qualcosa con i compagni della band in tranquillità e, se Roger non avesse deciso anche quella volta di fare baccano, anche un po’ di silenzio.
Uscì dalla cucina ed entrò nello studio di registrazione, dove aveva lasciato i membri mancanti. Era abbastanza soddisfatto. Per una volta erano riusciti a lasciare da soli quei due senza che si dessero fuoco a vicenda.
Pensava di trovarli dove li aveva visti l’ultima volta, ma niente. Aggrottò la fronte. Roger e Brian sapevano che a breve la cena sarebbe stata pronta, perciò non potevano essere usciti. Arricciò le labbra e tornò indietro, bussando prima nel bagno, per controllare che almeno uno di loro fosse lì, poi nella camera di Roger, ma niente. Fu il turno della camera che lui stesso condivideva con il chitarrista.
Bussò, non sentì nulla. Stava perdendo la pazienza. Non potevano essere altrove. Bussò più forte. Niente.
- Brian, sei qui? – chiese. Sospirò. Non voleva violare la privacy del ragazzo, se la porta era chiusa un motivo c’era sicuramente. Ma in tutte le altre stanze non c’era loro traccia, e lui aveva fame.
A mali estremi, estremi rimedi, pensò. Cauto, aprì la porta. E fu lì che vide tutto.
I due ragazzi erano avvinghiati sul letto, insieme. Nudi. John strabuzzò gli occhi, uscendo immediatamente e più velocemente possibile, chiudendosi la porta alle spalle, con le palpebre ancora spalancate. Rimase per un attimo attaccato alla porta, sperando che i due ragazzi non lo avessero notato o stessero dormendo.
“Che figura di merda, che figura di merda, che figura di merda.” Pensò, mentre si allontanava mangiandosi le unghie. E poi gli venne in mente anche un altro pensiero che lo fece imprecare.
Tornò in cucina più teso di una molla, sedendosi sulla sedia che Freddie aveva sistemato al suo posto e prendendosi la testa tra le mani, ancora leggermente turbato.
L’amico lo guardò, mettendogli un piatto di verdure davanti. – Che c’è, caro? Sembra che tu abbia visto un fantasma. Dove sono Roggie e Brian?
Il povero John iniziò a mangiare velocemente.
- Allora?
- Sta notte dormo con te.
- Capisco sia un desiderio di molte persone, ma sai cosa succederebbe se Brian e Roger dormissero nella stessa stanza, vero?
- Sì. E lo so anche fin troppo bene, dato che sta succedendo proprio in questo esatto momento! – sbottò il bassista, quasi affogandosi con un pezzo di carota.
- Eh?
- Ti devo cinquanta pounds.
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You don't know what it means to me. (Maylor)
Fanfic(Brian May/Roger Taylor) ... 1969/1970. ... Dal primo capitolo: - Roger, ti sei mai preoccupato per i sentimenti di qualcuno che non sia Tim? - lo interruppe Brian, calmo. Tranquillo, anche troppo, ma il suo cuore era sprofondato. Non riusciva più a...