Because you don't know what it means to me

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La frequenza cardiaca di Roger era paragonabile a un criceto impazzito su una ruota. Quella domanda lo aveva fatto rincoglionire e confondere, e se non fosse stato appoggiato sarebbe probabilmente crollato a terra. Spalancò gli occhi e tutto ciò che sentì fu il panico che gli arpionò lo stomaco stringendolo talmente forte da fargli venire da vomitare. Brian non poteva averlo scoperto. Brian non poteva ricordarsi di quella cazzo di serata, di quel cazzo di bacio. Avrebbe rovinato tutto, non si sarebbero più guardati nemmeno in faccia e addio Brian, in tutti i sensi.
Il riccio lo fissava, in attesa.
“Se mi guardi con quei cazzo di occhi impazienti di merda, mi spieghi come posso ragionare decentemente?” pensò Roger, prima di mollare il pentolino in cui stava preparando la tisana, scappando più veloce che poteva dalla cucina e chiudendosi in bagno.
- Rog! – sentì urlare dalla cucina. Girò la chiave, appoggiandosi contro la porta con gli occhi spalancati, il cuore a mille e il respiro veloce.
“Cazzo, cazzo, cazzo.”
- Roger, apri! – esclamò Brian una volta davanti alla porta, bussando.
“Sono nella merda. Sono letteralmente in un mare di merda e ci sto anche annegando.”
- Rog, per favore!
Oh, no. Non avrebbe mai aperto, nemmeno sotto tortura. Vedere quegli occhi scuri che lo avrebbero fissato, guardandogli dentro l’anima e soffocandolo con l’impazienza gli avrebbe, come minimo, fatto venire un attacco di panico bello e buono.
“E ora che cazzo faccio?”
- Roger! Voglio solo parlare, davvero!
“Certo. Mi parlerai del fatto che sono un inutile finocchio, mi caccerai di casa e troverai un batterista migliore di me.”
Brian continuò a bussare. Roger non rispondeva e iniziò a diventare leggermente ansioso. Forse non avrebbe dovuto forzarlo, non avrebbe dovuto fargli quella domanda e lasciarlo in pace. Aveva avuto la sensazione di aver vissuto quel momento, aveva ricordato il sapore delle labbra di Roger, per un attimo. Ma non riusciva a capire. La sera prima era ubriaco, da schifo, e per quello avrebbe avuto voglia di prendersi a schiaffi da solo, soprattutto per l’incoerenza che aveva dimostrato di avere, dopo aver fatto ramanzine su ramanzine all’amico per poi fare peggio di lui. Però non credeva di starsi sbagliando. Era impossibile.
La sensazione che ricordava era vivida, nonostante sfocata. E l’unica persona a cui avrebbe potuto chiedere una conferma, era il ragazzo che in quel momento era chiuso in bagno. – Rog, ti prego. Mi stai facendo preoccupare.
Il biondo aprì la porta, lentamente. Brian vide quegli occhi azzurri spalancati e lo guardò balbettare. – No! – sbottò il ragazzo, spingendo via il riccio e allontanandosi, prima che lui lo prendesse per il polso, guardandolo e cercando di essere più rassicurante e tranquillo possibile. – Roger. Sai che comportandoti così mi fai capire l’esatto contrario?
Brian vide il petto del ragazzo iniziare ad alzarsi e abbassarsi velocemente e riuscì a sentire il suo cuore dal polso. Batteva talmente forte che sembrava poter esplodere.
“Ma io e te, per caso, ieri sera ci siamo baciati?”
Il biondo ricordò ciò che l’amico gli aveva chiesto. Iniziò a scuotere la testa, velocemente, scansando Brian e alzandosi. – No, no, no, no.
- Roger calmati.
Il ragazzo si avviò verso il soggiorno, sedendosi sul divano e prendendosi la testa tra le mani, cercando di calmarsi e scuotendo il capo, battendo il piede per terra rapidamente. Vide il riccio entrare, guardandolo. Fissandolo.
- Lasciami stare. – disse, tremando, ricordando quel bacio. Quei baci, le carezze, le parole.
“Non vedo nessun’altro oltre te”
- Voglio solo parlarti. Non puoi scappare sempre dai problemi, Roger. Ho bisogno di chiarirmi le idee, solo questo. Per favore, Rog. – mormorò il moro, sedendosi accanto al ragazzo e guardandolo, mentre si allontanava. Gli appoggiò una mano sulla spalla. – Ho bisogno solo di parlarti.
- No, no, no, no! – sbottò Roger. – No, Brian! Non posso, non possiamo parlarne. Lo capisci o no?
- Rog, è solo una domanda. Ho solo bisogno che tu mi risponda.
- Sì, Brian! Sì. Ci siamo baciati, ieri sera. Adesso cacciami, urlami in testa che sono un finocchio e che…
Roger sentì un dolore bruciante alla guancia, di colpo. Guardò l’amico a occhi spalancati, vedendo che aveva una mano sollevata.  – Ma sei coglione? Perché cazzo mi prendi a botte?
- Non dire mai più una cosa del genere. Non azzardarti a… - vide Brian stringere i pugni, respirando profondamente. – Credi davvero che io sia come tutti gli altri? Che io possa cacciarti per… Questo?
- Sì.
- Roger, cazzo. – esclamò. – Sono il tuo migliore amico. Non mi hai fatto schifo quando mi sei arrivato a casa ubriaco, e dovrei cacciarti per un… Per un bacio?
- Tu sei etero, Brian.
- No, Roger, no! Come cazzo fai a essere così stupido da non averlo capito? – Brian non ce la fece più. Si sentiva impazzire. Prima di tutto per come si era auto demolito Roger, in secondo piano perché era un anno, ormai, che lui era consapevole della sua omosessualità, e non ce la faceva più a tenersela dentro. Soprattutto davanti al suo stupido, lento migliore amico. – Secondo te io ed Elena ci siamo davvero lasciati perché lei era innamorata di un’altra persona? Dopo tutto quello che avevamo passato insieme? No, Rog. Ed era ovvio. E tu non solo non lo hai mai capito, ma stai anche pensando che io sia uno stronzo.
Roger sentì il cuore sprofondare. Non ci arrivò subito, evidentemente perché troppo incredulo per crederci. Ne fu colpito e, in qualche modo, sollevato. Ma non riuscì bene a realizzare. – Sei… Gay?
- Cristo, sì! – urlò Brian, mettendosi le mani tra i capelli. – Sì, Roger. E non avrei voluto dirtelo così, ma… A questo punto, non ho trovato alternative.



- Tu… Tu ed Elena cosa? – chiese Roger, strabuzzando gli occhi mentre mangiava. Gli pareva che fino al giorno prima i due stessero benissimo insieme. Ogni giorno, dopo aver provato, Brian portava Elena a casa, la quale era stata per tutto il tempo a guardarli suonare, sorridendo di tanto in tanto mentre guardava, con gli occhi che brillavano, il suo ragazzo. Gli sembrava impossibile che fosse potuto capitare.
Eppure Brian sospirò, annuendo e mescolando il suo thè con il cucchiaino. Effettivamente non aveva una bella cera, non doveva aver dormito, quella notte.
- Perché cazzo fino a ieri scopavate come conigli e ora vi siete lasciati? Elena era perfetta per te!
- Rog, credo di essere… - si fermò in tempo. No. Non poteva e non voleva dirglielo. Sapeva che a Roger piacessero i ragazzi, perciò non aveva paura che lui fosse omofobo. Semplicemente non poteva saperlo, non subito, almeno. Anche perché, sebbene Brian ci stesse pensando da mesi ormai, non era sicuro al cento per cento di essere omosessuale. Respirò profondamente mentre gli occhioni blu di Roger lo fissavano impazienti. – Credi di essere?
- No, è che… Non dipende da me, io… Lei…
- Mhmh?
-  Roger, non mi guardare in quel modo. Mi metti ansia e mi fai venir voglia di uccidermi.
- Sono solo quel genere di persona che non riesce a restare paziente mentre fa le file senza sclerare, fai un po’ di conti.
- Io… Semplicemente ad Elena piace un’altra persona. Tutto qui. – mentì il ragazzo, assaggiando il thè cercando di restare calmo e tranquillo. Roger aggrottò la fronte. – Ma che razza di problemi ha quella stronza?
- Roger le parole.
- Oh, no. Le parole un cazzo! Come… Come diavolo si fa a lasciare Brian Harold May per un’altra persona? si devono avere davvero tanti problemi in testa! – sbottò il biondino, saltando in piedi. Brian sorrise, guardando il ragazzo mentre si agitava in quel modo.
- Rog, dai. – disse Brian ridendo leggermente. – Non sono perfetto. Voglio solo che lei sia felice. – si sentì una merda per le bugie che stava raccontando.
- Sì che sei perfetto, brutto cretino. Sei intelligente, gentile, paziente e dolce. Tiri sempre su il morale a chiunque, e se lei ti ha lasciato allora vuol dire che non ha capito assolutamente nulla.
Il cuore di Brian si sciolse. Sorrise, prendendo un altro sorso dalla tazzina. – Grazie, Rog.
- Io vado a parlarle.
- No! – esclamò il riccio. – Non fare stronzate, sto bene.
- Ma se è scema dovrò pur…
- Roger, davvero. – lo tranquillizzò l’amico. – Grazie, sul serio. Ti voglio bene, ma me la cavo.
- Seh, certo.
- Non sottovalutarmi.
- Tu non rompere. Vado a parlarci.
- Finiscila.
Roger alzò gli occhi al cielo. – Certo che non hai un minimo d’orgoglio in quella testa di merda!
Il chitarrista sorrise. – Tu invece ne hai troppo.
- Certo, sono Roger Meddows Taylor. E comunque, ti voglio bene anch’io.



Ci fu un momento di silenzio, in cui Roger stava cercando di realizzare ciò che il più grande gli aveva appena detto. Abbassò gli occhi e la testa, pensando per un momento a tutte le volte in cui Brian aveva guardato un ragazzo arrossendo, o a tutte le volte in cui, ogni volta che lui ed Elena si vedevano, lei sembrasse ancora perdutamente innamorata del riccio. E iniziò a capire, almeno di un minimo. – Sei gay.
- Sì.
- Ma gay gay, o gay circa?
- Cristo.
- Rispondimi.
- Mi piace il cazzo, Roger.
- Ora mi è chiaro.
- Sono stato io a baciarti? – chiese Brian, una volta calmo. Il batterista si grattò la tempia, deglutendo e guardando il ragazzo. Per un momento ebbe una speranza. Magari Brian ricambiava davvero. Magari lo avrebbe baciato ancora, non lo aveva fatto solo per l’ubriachezza della sera prima. Forse provava qualcosa davvero. – Sì.
Il chitarrista respirò profondamente. Roger non gli piaceva. O almeno, sì, gli voleva un bene infinito, lo ammirava tantissimo ed era il migliore amico che aveva. Non avrebbe mai voluto perderlo, ma non era attratto da lui… In quel senso. Non provava nessun sentimento diverso dall’amicizia nei suoi confronti, e non capiva che cazzo gli avesse combinato l’alcool per farglielo baciare. Sospirò. E si sentì domandare ciò che non avrebbe voluto sentire.
- Io ti piaccio davvero? – gli chiese il biondo, tremante.
- Be’, no.
Roger sentì il cuore dolere.
Brian provò confusione quando vide gli occhi del batterista abbassarsi. Si aspettava una battuta stronza, uno sfottò o un “Cazzo, amico, allora eri proprio ubriaco marcio!”. E invece, non disse niente. Rimase zitto. Gli occhi blu incollati al pavimento e un’espressione delusa in volto.
“Ecco, Roger. Ecco che cazzo succede quando ti fai illusioni inutili, quando pensi che per una volta qualcuno possa amarti. Brian è troppo per te. Avresti dovuto capirlo.”
Il ragazzo deglutì, mentre la delusione invadeva il suo corpo. Amarezza, tristezza e disillusione. Strinse i pugni, non riuscendo, nemmeno per un momento, a guardare Brian. Aveva rovinato tutto. Avrebbe voluto prendere a pugni qualcuno, sfasciare una casa, urlare.
Brian fu scosso da quel silenzio. Mise una mano sulla spalla di Roger, che la respinse tirando indietro la schiena. – Rog, io…
- Lascia perdere. Non ne vale la pena.
- Io ti piaccio, Roger?
- Ho detto: lascia stare.
- Ho bisogno di capire.
- Non riesci ad arrivarci? Non riesci proprio a capire che stiamo rovinando tutto, Brian?
- Non stiamo rovinando un cazzo. Stai facendo tutto tu.
- Sì, esatto! Sono sempre io. E’ sempre mia, la colpa. Ti ubriachi come un coglione e mi ficchi la lingua in gola? E’ colpa di Roger. Iniziamo ad allontanarci per colpa di un bacio del cazzo? E’ colpa di Roger. E’ sempre, fottutamente colpa di Roger.
- Roger, non ci stiamo allontanando affatto!
- Sì, invece. Se ne vanno tutti. Robert se ne è andato, Tim se ne è andato. Te ne andrai anche tu.
Brian lo prese per le spalle, fissandolo con gli occhi scuri decisi. – Io non sono tutti, Roger. Non sono uno stronzo. Ti voglio bene, te lo ripeterò all’infinito. Sei l’ultima cosa che voglio perdere. E Dio solo sa quanto cazzo io mi senta in colpa, ora, per essere stato così brusco. Solo che… Ho bisogno di capire se…
- Non credo tu abbia bisogno di chiedere la mia conferma.
- Ce l’ho, invece.
Roger chiuse gli occhi. Prese un profondo respiro. Si fidava di Brian. Sapeva che fosse diverso. Sapeva che non lo avrebbe lasciato da solo, ma aveva ugualmente paura. Paura di rovinare tutto, paura dell’imbarazzo che si sarebbe creato, paura del cambiamento, della novità. Però sapeva che Brian avesse già capito tutto. Era troppo sveglio, troppo intelligente per non capire.
- Sì. Mi piaci.
Brian si sentì così confuso da aver mal di testa. Fino a tre giorni prima, il biondo stava soffrendo per Tim. E, per carità, era più che felice del fatto che lui si fosse già ripreso, ma gli sembrò strano. Sapeva che Roger scaricasse tutta la rabbia insieme e poi si riprendesse dopo poco, di solito, ma… Erano più di due anni che Roger gli aveva confidato di provare qualcosa per Tim.
- Tu… Lo hai già dimenticato?
- Dimenticato chi?
- Tim.
Roger respirò profondamente. – No. Non potrei. Ma evidentemente ho capito che sono altre le cose per cui vale la pena restare. Solo che quelle cose, forse, non fanno proprio per me.
Si sentì in colpa da voler sprofondare. Roger stava già di merda da giorni. E quello era l’ennesimo colpo. Da parte sua, che aveva promesso di proteggerlo sempre, di non farlo mai soffrire e di farlo sentire ogni giorno a suo agio, finché avesse potuto. E riuscì solo ad abbracciarlo, stringendolo forte a sé per assorbire il dolore che gli leggeva negli occhi. Era colpa sua, che per colpa dell’alcool lo aveva baciato, facendolo illudere e facendolo stare ancora peggio. Avrebbe voluto solo farlo stare bene, e in quel momento la cosa che lo faceva soffrire era proprio lui. – Scusami.
Roger non ricambiò l’abbraccio. Restò immobile. – Non hai niente di cui scusarti. Non è colpa tua. – si divincolò dalle braccia del ragazzo, stringendo i denti con un groppo in gola. Si alzò dal divano, avviandosi verso la porta.
- Roger, resta qui.
- Ho bisogno di stare da solo.
- No, io non ti lascio da solo. Te lo scordi. Non dopo quello che…
- Ti prego, Brian. Lasciami in pace. Non sono un bambino. Avrò anche fatto una cazzata, l’altra sera, ma ho capito. E so badare a me stesso. Quindi, per favore, lasciami solo.



Roger aveva sempre odiato la solitudine. Fin da quando era piccolo, stare solo lo aveva sempre messo a disagio. C’era silenzio, interrotto solo dai suoi respiri e, di tanto in tanto, da qualche rumore esterno. Roger aveva sempre avuto bisogno di suoni, di musica, voci, chiasso, risate.
L’unico momento in cui gli piaceva stare da solo, era quando suonava la batteria. Le sue percussioni erano come tesori inestimabili, per lui. Erano soltanto sue e nessuno, a parte lui, avrebbe dovuto toccarle. Ci sfogava tutto, su quei tamburi e su quei piatti. Rabbia, gioia, tristezza, frustrazione.
Clare gli aveva sempre detto che quando suonava la batteria era un fenomeno. Sembrava che, in diciotto anni di vita, avesse fatto solamente quello e la passione che ci metteva era davvero ammirevole. E lui ne era più che consapevole.
Suonava in una band chiamata “The Reaction”, ma lui stesso pensava che, per il suo livello, avrebbe dovuto aspirare a qualcosa di più alto. Per quello stava cercando qualcosa di più.
In quel momento era seduto sullo sgabello della sua batteria, con una sigaretta accesa in bocca e la concentrazione altissima. Muoveva abilmente le mani sulle percussioni padroneggiando le bacchette, suonando battiti puliti e ordinati, ma forti e decisi.
E proprio mentre si concentrava, udì la porta aprirsi e vide una figura familiare entrare. Sbuffò, lasciando le bacchette e guardando il cugino. – Che vuoi?
- Non sa quanto mi duole interromperla, mr. Roger Meddows Taylor, però qualcuno qui ha una proposta per lei. – rispose il ragazzo, andando vicino a lui e facendolo alzare dallo sgabello, curioso.
- Un certo Brian May, chitarrista in una band chiamata “Smile”, cerca un batterista alla Mitch Mitchell. Questo è il suo numero. Secondo me potrebbe incuriosirti.  – gli spiegò, porgendogli una locandina spiegazzata. Roger strinse le labbra, aprendo il foglio e leggendo lentamente tutto ciò che c’era scritto con attenzione.
- Allora? – fece il cugino. Lui alzò un dito, come a fargli segno di aspettare.
Poi prese il suo taccuino e una penna, appuntandosi il numero e il nome del ragazzo che aveva creato l’annuncio. Brian Harold May cercava un abile batterista.
E se non era abile lui, a suonare la batteria, chi altro lo sarebbe stato?
- Deciso? – gli chiese il cugino. Lui sbuffò. – Momento, cacchio. Aspetta due secondi. Che è ‘sta fretta?
- Oh, giusto, la damigella ha bisogno dei suoi tempi.
- Coglione.
- Posso sapere la tua decisione finale?
- Vado a fare una chiamata. – disse Roger, uscendo dalla stanza con il taccuino in mano.



Brian non sapeva che fare. Roger era nella sua camera, in quel momento. Erano entrambi da soli, soli e feriti. Sospirò. Non avrebbe mai e poi mai immaginato una reazione simile da parte del suo migliore amico, appunto perché lo aveva sempre ritenuto tale e era assurdo che potesse piacergli. Da un momento all’altro, dopo che era stato malissimo per Tim, soprattutto.
Certo, lui adorava Roger. Era la sua spalla, la persona che lui sapeva che lo avrebbe difeso fino in capo al mondo, era forte e divertente, energico, estroverso, anche gentile, a volte.
E non si poteva certo dire che lui non fosse un bel ragazzo, coi lunghi capelli biondi e gli occhi blu e grandi, il sorriso perfetto e il corpo, seppur abbastanza minuto, armonioso. Nel complesso era una gran bella persona, dentro e fuori, nonostante facesse un po’ di cazzate.
Però. Però Brian non aveva mai provato niente se non una forte amicizia nei suoi confronti. Sospirò ancora, massaggiandosi delicatamente le tempie. Lo aveva comunque baciato. Sì, certo, era ubriaco, non era lucido e probabilmente era abbastanza rincoglionito, ma lo aveva baciato. Tra tutte le persone che c’erano a quella festa, doveva andare a prendere proprio lui?
Si sentiva in colpa e si sentiva confuso, di nuovo. Per la seconda volta nella sua vita aveva spezzato il cuore di qualcuno per colpa del casino che regnava nei suoi pensieri confusi, e quella era la cosa che lo faceva stare peggio, perché una delle caratteristiche che lo contraddistinguevano era l’empatia. Sentiva sempre addosso il dolore degli altri, e finiva per star malissimo anche lui, soprattutto quando il dolore, agli altri, era stato lui a causarlo.
Era anche vero che non poteva imporsi di provare qualcosa che, a conti fatti, nemmeno gli passava per la testa. Sospirò, afferrando il suo libro di astrofisica, cercando di studiare qualcosa. Non aveva avuto il tempo per farlo, in quei quattro giorni, e aveva bisogno di ripetere un po’ prima della pausa natalizia.
Il vero problema era che, ogni volta che cercava di concentrarsi, gli veniva in mente sempre la stessa cosa e i suoi pensieri spaziavano dal “Ma che cazzo ho fatto?” al “Sono uno stronzo” al “Vado a flagellarmi, che forse è meglio”. Insomma, cose un po’ tutte diverse che nulla avevano a che fare tra di loro.
E poi non ce la fece più. Chiuse il libro, alzandosi in piedi e camminando fino alla sua camera da letto, dove Roger era da solo. Probabilmente gli avrebbe chiuso la porta in faccia, o gli avrebbe lanciato qualcosa di parecchio pesante sulla testa.
E invece, quando bussò, non sentì risposta. Aggrottò la fronte. Bussò di nuovo. – Rog?
Niente. E allora girò la maniglia, aprendo piano la porta leggermente preoccupato e guardando nella stanza. Era buia, ma lui riuscì a distinguere una figura minuta sdraiata sotto le coperte, e sospirò di sollievo. Cercando di non fare troppo rumore, si avvicinò al letto, sedendosi a gambe incrociate alla sinistra di Roger, sospirando e fissando un punto imprecisato della stanza. Nel silenzio, riuscì a sentire il leggero russare del migliore amico, e sorrise. Ricordò di quando quel rumore, di notte, non gli permetteva di dormire, facendogli buttare tutte le parolacce che conosceva, e guardò il ragazzo.
Le coperte erano cadute a terra e lui era disteso con un braccio penzolante dal letto e l’altro dietro al cuscino, le labbra erano schiuse e le palpebre abbassate a coprire gli occhi chiari. Brian sorrise. Gli si avvicinò, toccandogli il naso con il dito e iniziando a stuzzicarlo, facendo starnutire Roger. Rise leggermente. Niente poteva svegliare il sonno del ragazzo. Però, quando iniziò a giocare coi ciuffi biondi come un bambino, il suo pensiero fu smentito.
- Ma che cazzo di problemi hai… - sbuffò Roger, gli occhi ancora chiusi e la voce impastata. Il chitarrista rise. – Non è ora di dormire.
- Lasciami in pace e vai a masturbarti da un’altra parte.
- Volevo solo parlarti.
Gli occhi si Roger si schiusero, e poi lui si fece sfuggire un sospiro. – Non ne abbiamo bisogno.
- Ho bisogno di chiederti scusa.
- Per l’ennesima volta, non è colpa tua. Ora vattene e lasciami dormire.
- Lo sai che Brian May non è tipo da farsi convincere di un’idea diversa dalla sua, no?
Il più piccolo sbuffò. – Ma vai a cagare.
- Nah.
- Brian, conto fino a tre.
- Va bene.
- Uno…
Brian sorrise. Il biondo aggrottò la fronte. – Due… Ma che cazzo ridi?
E poi non riuscì più a contare, perché le dita di Brian si erano infilate in mezzo al suo collo e sui suoi fianchi, danzando troppo velocemente per fargli trattenere le risate. – May… May basta – ansimò, tra una risata e l’altra, muovendosi nel letto spasmodicamente, mentre Brian continuava a ridere, solleticandogli il corpo.
- Brian Harold… - ci fu una risata più alta delle altre. – May… Oh, e hai rotto il cazzo!
Il riccio sorrise, lasciandolo libero e facendogli riprendere fiato, mentre si tirava su. – Brutto coglione.
- Sei ancora arrabbiato?
- Ma chi cazzo ha mai detto di esserlo? Non sono te.
Il più grande lo guardò, mentre il biondo aveva lo sguardo rivolto alla porta. Sospirò. – Come stai?
- Una pasqua.
- Roger.
- Brian, come dovrei stare? Mi innamoro sempre di chi non ricambia i miei sentimenti. Mi faccio false illusioni e ogni volta che queste illusioni se ne vanno a fare in culo, mi sento un coglione. Ma non fa niente. Me la cavo, come sempre. In vent’anni ho affrontato tanta merda e mi sono sempre rialzato da solo. Non è per un rifiuto che mi butto giù. – disse il biondo, prendendo una sigaretta dal comodino e tirando fuori dalla tasca l’accendino.
- Non in casa mia. E sai che odio quando fumi.
- Sì, sì. – annuì Roger, accendendo ugualmente la sigaretta e portandosela alle labbra, prendendo la prima boccata di fumo e tenendolo in bocca per un po’, prima di soffiarlo via.
- Ti fa male.
- Non sei mia madre.
- Ma sono il tuo migliore amico.
Roger sentì il cuore creparsi. “Sono il tuo migliore amico.” certo. Che si aspettava? Che Brian, dal nulla, gli rivelasse di amarlo? E se lo scopasse pure? Chiuse gli occhi e aspirò il fumo. – Tu sei gay.
- Sì.
- Perché non me lo hai detto prima? Perché cazzo me lo hai tenuto nascosto per un fottuto anno, se dici che sono il tuo migliore amico?
Brian sospirò, abbassando gli occhi. – Io non… Io non lo so.
- Te l’ho detto subito. Sei stato la prima persona a sapere che mi piaceva Tim. E nonostante questo, non mi hai mai detto nulla fino ad ora. Bel migliore amico di merda.
Il riccio aggrottò la fronte. – Rog, io capisco che tu sia arrabbiato, ma…
Il biondo tirò un’altra boccata, facendo tossire leggermente l’amico. – Non so se fidarmi di te.
- Roger, ma che cazzo ti prende? Cosa pretendi? Che tutto ti sia fottutamente dovuto? – sbottò Brian, facendogli stringere le labbra. – Ho bisogno dei miei tempi. Non sono come te. Sono una persona riservata, che ci mette tanto ad aprirsi. E tu dovresti saperlo.
- Mi hai mentito su Elena. Me l’hai fatta avere con lei per un cazzo di anno per averti ferito. E invece sei stato tu, a ferirla. Sei un bugiardo egoista.
- Ascoltami. – digrignò i denti Brian, avvicinandosi e togliendogli la sigaretta dalla bocca, buttandola via e guardandolo negli occhi, prendendogli i polsi sottili tra le mani. – Potrò anche essere un bugiardo egoista. Ma tu non…
- Lasciami. Immediatamente.
Il più grande respirò profondamente, guardando il viso colmo di rabbia del ragazzo. Lasciò andare i polsi di Roger, che si alzò in piedi, dandogli le spalle. - Dobbiamo trovare il bassista.
- Lo… Lo so.
- Elena lo suonava. Sarebbe una buona occasione per baciarle i piedi implorandole di perdonarti per aver fatto lo stronzo e per aver fatto passare lei come tale.
- Elena non vorrà mai suonare con me.
- O forse sei tu che non hai le palle di suonare con lei. – e così uscì dalla stanza, con le mani nelle tasche, sbattendosi la porta alle spalle. 

You don't know what it means to me. (Maylor)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora