Capitolo 1.

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Non potevo credere ai miei occhi

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Non potevo credere ai miei occhi.

Stava succedendo. Io ero lì, sotto quel palco, a gridare a squarcia gola il nome del mio idolo.

Ce l'avevo fatta, potevo gridarlo al mondo.

Era come se non fosse reale ma lui era in quel palco, cantava con la sua chitarra e non faceva altro che ringraziare le sue fans. Lo stadio era pieno, tutte stavamo realizzando il nostro sogno.
Il cuore batteva all'impazzata, non riuscivo più a gridare, avevo la gola secca. Potevo solamente bearmi della sua bellissima voce, dal vivo.
Una voce diversa.
Una voce che mi aveva sempre confortata e aiutata nei momenti di noia, di stress o semplicemente una voce che mi faceva rilassare ogni volta che ne avessi il bisogno, attraverso delle cuffie.
Una voce unica.
L'avevo sempre amata.
Ma dal vivo era completamente diversa, mi entrava dentro al cuore e mi faceva sorridere. Sorridevo perché avevo realizzato il mio sogno.

-And I'm thinking 'bout how people fall in love in mysterious ways... maybe just the touch of a hand...-

-Watson!-

Spalancai di colpo gli occhi appena sentii una presa forte tirarmi il braccio, rivelando il viso della persona più irritante della terra.

Diamine, che cosa vuole adesso?; pensai, seccata, tirando un sonoro sbuffo. Aveva interrotto il concerto, quel momento cruciale. Mi aveva risvegliata dai miei sogni, mi aveva portata a quella faticosa realtà: la mia scuola, il corridoio, lui, la mia testa chinata dentro l'armadietto come ogni solita mattina. La mia, ormai, routine quotidiana mi stava esaurendo giorno per giorno. E, comunque, era risaputo che se una persona mi avesse vista in quella posizione, così con gli occhi sigillati dentro l'armadietto, voleva stare a dire che stavo riposando, prima di affrontare una noiosa giornata di scuola. Ma, ovviamente, quel ragazzo avrebbe fatto sempre di testa sua. E non era la prima volta che urlava il mio cognome nel mio orecchio mentre stavo dormendo (sognando). Lo faceva apposta, era il suo hobby disturbarmi, perché gli piaceva vedermi con la luna storta già di prima mattina.

Il fratello di Safaa, quel giorno, era vestito con una semplice camicia a righe rosse ed un paio di jeans che gli cadevano verso il basso. Era molto prevedibile in fatto di vestiti: sapeva che far vedere le mutande, appena si inchinava per fingersi di allacciarsi una scarpa, avrebbe fatto impazzire tutte le ragazze della Trinity Academy. Era furbo, ma allo stesso tempo, molto stupido. Ridicolo, avrei aggiunto.

Per non parlare della quasi sempre camicia sbottonata che metteva molto in risalto i suoi pettorali ben scolpiti, sotto la canotta bianca. In effetti, mi chiedevo sempre perché quella camicia fosse costantemente sbottonata. Avevo come un presentimento che, arrivati a quel punto, non se la sbottonasse da solo.

E i capelli? Quelli erano la parte più curata di lui. Erano sempre ben messi, con un pratico gel che faceva in modo che non si ammosciassero durante le ore del giorno. Se qualcuno avesse solo osato torcergli un capello, beh... nessuno aveva mai provato a farlo. Tutti sapevano che diventava isterico e pazzo con un ciuffo fuori posto.

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