Il vento infuoca le onde. Ci sono lampi chiari nel cielo. Poi vado avanti così quasi senza accorgermene. Vedo un fondale di vetro che non mi appartiene. Cammino così e non so dove andare. Anche se vado avanti rimango al solito punto. Potrei dire di essermi perso. Entro in chiesa vicino a casa mia. Sento l'odore acre del chiuso. Vedo mio fratello in un angolo sembra non volermi dire niente. Mi sento perduto. Sento il giudizio e non ho voglia di sentire il suo giudizio sul mio fallimento. Sui lavori che lui mi ha trovato e io ho lasciato. Non lo sopporto più. Ha un giudizio su tutto. Non riesco ad immaginare altre strade. Al mattino i colori sono brillanti. Cangianti. Freddi e brillanti. Come non avrei detto. Mi sembra di stare bene. Di fare cose giuste. Il prete dice le sue cose. Si muove con calma all'interno della chiesa. Ci sono pochi fedeli. C'è silenzio. Sembra studi una maniera. Sembra che anche lui abbia rinunciato alla navigazione. Mio fratello ha lo sguardo chino. Grave. Mi guardo intorno e in fondo non pensavo che sarei stato così sereno. Non riesco a fare molte cose in fondo. Sono sempre qui. Penso alla monotonia di quello che sto facendo e non ho voglia di fare altro in questa rilassatezza di mare. Ho un po' di paura adesso. Perchè dovrei organizzare questa cosa con il Freddo. Alzo gli occhi al cielo. Vedo solo strie. Non so cosa dire. In fondo tutti noi abbiamo qualcosa da nascondere. Adesso mi sento protetto da quest'ora indefinita tra il giorno e la notte e non riesco a trovare niente di meglio che questo. Non so cosa dire. Osservo i punti contorti del mattino. La felicità è senza limite viene e va. Immagino cosa possa essere questo progetto. Che vuole fare il freddo. Non ho idea di cosa possa succedere adesso. Sento il dolore fluire piano. Non ho voglia di pensare ad altro. Di cosa possa rimanere al di là di questo. Ci sono ragioni per cui rimanere al di là di tutto. Sono stanco. Esco dalla chiesa e penso a questa cosa che vuole fare. Non so cosa dire. Daniela mi viene a trovare dice che mi vuole portare via. Le dico dico che non è possibile. Che siamo in queste condizioni e no possiamo fare altro. Avrei voglia di fare altro. Sento la necessità di parlare ma non avrei voglia di dire altro solo che tutto potrebbe cambiare. Potrebbe essere altro. Ma non so cosa.
Il luna park è immenso e assolato. Una sfera di colori e di sfumature. Rimaniamo come se fossimo cose vive in fondo. Sono con Daniela. Mi ha cercato lei. In fondo i suoi occhi sono dolci, patetici. Le parole non interessano a nessuno. Per questo sono già morto. E non ho voglia di risorgere. Rivediamo le stesse emozioni. Rivediamo le stesse onde. Rivediamo le solite urgenze. In fondo è andata così. Rimaniamo immersi nella calca. Non abbiamo voglia di fare altro. Di concedere altro. Non credevo che avrei finito così. Fa freddo. Non sono coperto abbastanza. Rimango stordito dall'urgenza del freddo. Saliamo sul tagadà. Io sono un pò ridicolo. Faccio anche un pò ridere. Sono proprio un vecchio non c'è che dire. Lei è più giovane di me. Riesce a farmi ridere prendendomi per il culo. Io sono solo qui che cerca di fare del suo meglio. Poco altro. Poi saluto un amico. Rimaniamo appesi mentre i colori sembrano confondersi. Rimaniamo lassù e non abbiamo voglia di scendere rimaniamo appesi e non abbiamo freddo per niente. Non riusciamo a riconoscere il freddo. Usciamo piano dalle linee del cielo mentre si muove il tagadà. Abbiamo poca voglia di fare altro. Ci sembra tutto così inutile. La guardo avrei voglia di dirle qualcosa. Ma preferisco tenermela per me. Il cielo si infervora di linee piene. Di strani segni e riesco a malapena a ricompensare il senso di vuoto con qualcosa d'altro. Penso che poi non serve a molto fingere. Che in fondo siamo fatti così. Riconosco un pò tutti. Eppure è come una distanza con gli altri. Qualcosa che non riescoa fingere anche se provo a farlo. Qualcosa che mi solleva piano e poi mi fa ricadere. Appena un pò più a lato. Appena un pò più in là.
Vado a trovare mio figlio. Sono mesi che non lo vedo. Edoardo mi guarda. Sono un ectoplasma, per lui. Lo trovo cresciuto. Intricato. Sfugge i miei sguardi. Non sorride. Non manifesta intenzioni. Non afferra il senso della difficoltà. Lui ha la leggerezza brutale dei suoi diciotto anni. Non capisce cosa mi sia successo. Non comprende il mio stare male. I motivi della frattura, le ragioni del mio ritorno. Non gliene frega un cazzo. Crede che sia colpa mia. Anche dove colpe non possono esserci. Tutto sembra correre sfalsato, nella sua percezione del mio impaccio. Come se ci fosse una responsabilità implicita, anche nelle ragioni del silenzio. Ma non sono parte di lui. O almeno non lo sono più. Continuiamo a guardarci senza sfiorare giudizi. Solo un rammarico. Senza avere la forza di affrontarci. Non sappiamo dirci niente, oltre i cardini di una stramba speranza, a cui non riusciamo a riferire un nome.