La stazione

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60 ton angel falls to the earth

A pile of old metal, radiant blur

Scars in the country, summer and her

Always the summers are slipping away

Find me a way for making it stay

***

Chiusi gli occhi e in quell'istante c'eravamo solo io e lei.

Io e Undici.

Cantavo quelle strofe tenendola stretta a me, accarezzandola senza timore.

Undici era la mia donna a sei corde; mio padre me l'aveva regalata per il mio undicesimo compleanno perché credeva che mi avrebbe distratto dalla mia ossessione per libri e videogiochi. Il suo piano aveva funzionato in parte: avevo imparato a suonare la chitarra da autodidatta con ottimi risultati, avevo perfino formato una band assieme a due compagni di classe della scuola media; tuttavia non era stato sufficiente affinché relegassi Tolkien e la Playstation in soffitta.

Spesso amavo calarmi nei panni dell'artista vagabondo, esibendomi dal vivo con Undici al parco, all'angolo della strada o alla stazione della metropolitana, per calmare i nervi e racimolare qualche soldo.

Quella mattina suonavo al Grand Central Terminal, la stazione ferroviaria situata nel cuore di Manhattan, a poche centinaia di metri dal mio amico Will.

Will mi ospitava per una ventina di giorni nel suo "modesto" loft di 200 mq, in cui abitava dallo scorso inverno. A 22 anni già possedeva due ville (una a Malibu in California e l'altra a Miami, Florida) oltre all'appartamento a New York, una Ferrari, una Bugatti e naturalmente un conto in banca a nove zeri: suo padre era fondatore di una delle più famose catene di negozi d'elettronica dell'intero paese.

Sotto la mia indomabile chioma, risiedeva invece il mio ricchissimo patrimonio: il cervello. Tutti ne abbiamo uno, lo so, ma bisogna saperlo sfruttare al meglio. E la scelta migliore per me, con grande merito del mio caro professor Clarke, di cui ero pupillo ai tempi delle medie, era stata quella di mettere il mio cervello a servizio della scienza. Dopo il liceo, avevo lasciato la casa nella quale ero cresciuto, la mia famiglia, la mia ristretta cerchia di amici e la noiosa quotidianità di paese, per studiare al prestigioso MIT di Cambridge, nello stato del Massachusetts.

Io, Mike Wheeler, studente di ingegneria informatica, avrei compiuto 22 anni a dicembre, e trascorsi nove mesi mi sarei finalmente laureato. Nove mesi, tanti quanti il periodo di gestazione umana. Sarei rinato da uomo adulto, pronto a tagliare il cordone ombelicale con la mia adolescenza ed affrontare il mio destino. Già, qual era il mio destino?

Proprio quella mattina, il destino mi diede un assaggio di come sarebbe cambiata la mia vita da lì a breve.

Dalla folla di 500.000 viaggiatori che attraversavano ogni giorno il Grand Central Terminal, una ragazza si avvicinò e lanciò un paio di banconote nella custodia di Undici. Le sorrisi e accennai un inchino, continuando la mia performance musicale.

«Trains dei Porcupine Tree?» mi chiese lei con aria incerta, portandosi una ciocca di capelli rossi dietro l'orecchio. Subito notai una curiosa coincidenza: la tonalità di blu dei suoi occhi era identica alle cromature di Undici.

«Cosa?» finsi di non aver udito, senza una precisa ragione.

«La canzone che stai suonando è Trains dei Porcupine Tree.» ribadì lei.

«Credevo che nessuno avrebbe riconosciuto questa canzone!» risposi stupito, quando le mie dita, tremanti, preferirono abbandonare le corde.

«Esser cresciuti con un fratello rompiscatole patito di musica alternativa può avere i suoi vantaggi!» ironizzò e gli angoli della sua bocca si sollevarono. Quand'era stata l'ultima volta che una ragazza così carina mi aveva sorriso? Oh, ahimè, ere geologiche fa. E non fui in grado di pensare a qualcosa d'interessante da dire. Sordo e muto. E scemo. Trattenni il respiro. Temevo che il respiro mi tradisse, rivelando lo stato di confusione emotiva in cui ero piombato.

«Comunque, sei davvero bravo! Adoro il colore della tua chitarra! Sei solista o hai una band?» grazie al cielo fu lei a parlare; ricominciai a respirare normalmente.

«Ti ringrazio...specialmente per la generosità!» puntai l'indice sui soldi nella custodia e ripresi «Uhm no, solista ora. Ma sono stato in una band...». L'esperienza mi aveva insegnato a sottolineare il mio passato da front-man di una band: guadagnavo almeno 10 punti in più nella scala di giudizio femminile.

«Figurati, riccio. Vengo qui alla stazione praticamente ogni fine settimana, eppure non ti ho mai visto!»

Sorrisi per la strana sensazione di confidenza che si era creata fra di noi. Ero il Riccio. In realtà, avevo brutti ricordi legati a quel soprannome, ma lei riuscì a farli sparire in un battito di ciglia.

«Sono di passaggio a New York, è la prima volta che suono in questo posto.» Giurai che un velo di tristezza coprì i suoi occhi. «Ah, capisco! Quale sarà la prossima tappa del tour?» domandò, girandosi verso l'enorme orologio in cima al banco informazioni; le punte dei capelli cremisi le sfioravano la vita ma non osai andare oltre con lo sguardo.

«A grande richiesta, son lieto di annunciarle che è stata appena aggiunta una nuova data al Grand Central Terminal: 1° Agosto 2015.» imitai la voce seriosa di un centralinista. Sapevo che le avrei strappato un altro sorriso. «Caspita, domani?? Allora devo correre a comprare il biglietto!» mi salutò, agitando la mano, senza voltarsi indietro.

Rimasi inchiodato a quella mattonella, assalito dal dubbio di non rivederla mai più.

Scrollai di dosso l'imbarazzo e feci uno scatto in avanti per afferrarle un braccio; aggrottò le sopracciglia in disappunto.

«Può prenotare direttamente a questo numero!» le proposi. Aveva l'espressione smarrita di chi come me, non aveva calcolato quella mossa in anticipo. Perché anche dopo una conversazione, era facile considerarmi un tipo molto riservato, un ragazzo che non aveva il coraggio di dare il proprio numero a una sconosciuta. Tirò fuori dalla tasca il suo cellulare mordendosi il labbro inferiore; mi guardò dritto negli occhi. «Ok. Dimmi.»

Scandii ogni cifra lentamente mentre digitava sullo schermo. «Nome?»

«Mike.»

«Ho altri due Mike in rubrica. Ti salvo come "Mike il Riccio".» sorrise a fior di labbra. «A domani Mike!»

Sì, questa volta se ne andava davvero.

«A domani! Spero non ti pentirai di prendere quel biglietto!»

Scosse la testa: «Neanche per sogno Riccio

Quando la ragazza era ormai lontana, una corda della mia chitarra si spezzò.

Ah! Undici, la mia gelosona!

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Salve a tutti! Questa è la prima fanfiction che pubblico su Wattpad. Ho preso in prestito alcuni personaggi di Stranger Things. Come ho già menzionato nella descrizione, è una storia AU, quindi molti fatti e particolari non corrispondono a quelli della serie TV, ma cercherò di essere il più fedele possibile alle personalità dei protagonisti.

Il primo capitolo è solo un'introduzione, vedrete che la storia pian piano verrà svelata. Sto lavorando al secondo e lo posterò in una manciata di giorni. Spero vi sia piaciuto; lasciatemi pure i vostri commenti se volete, ci terrei molto!

Un abbraccio,

Minerva

L'ultimo treno | MilevenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora