14 - The Passenger

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Erano trascorsi sei giorni da quando avevano visitato Short Strand e, per fortuna, le uniche, vere conseguenze erano state cinque punti di sutura sulla spalla di Darrell e un mucchio di regali per Logan sotto l'albero di Natale.

Da quel giorno, Randy non aveva fatto parola dell'accaduto e Gabriel, forse mosso da una sorta di buon cuore, non si era azzardato a chiedere spiegazioni; tuttavia, quel silenzio iniziava a pesargli più del dovuto e la pressione fatta da Simon Burke lo tormentava nottetempo a causa delle numerose mail senza risposta che accatastava nella sua casella di posta.

E perfino in quel momento, dopo essersi chiuso nello studio assieme a una fumante tazza di tè rosso, non poté fare altro che passarsi entrambe le mani sul viso con un sospiro rassegnato.

Fissò la pagina Word intonsa che aveva dinanzi e, con le sopracciglia aggrottate, tornò a pensare all'incipit mai scritto.

Aveva ancora chiara in testa la voce di Randy che si presentava di fronte al registratore, ma sapeva che quello non sarebbe potuto essere un vero inizio. Il centro, forse. Avrebbe colpito di più, o almeno così si disse, posando le dita sulla tastiera. Premette qualche tasto, cominciò a scrivere un paio di righe e buttò giù una bozza sulla setta laveyana. Poi cancellò tutto e batté un pugno sulla scrivania.

Frustrato, si mordicchiò l'interno delle guance in quello che era un tic appreso per osmosi da Randy, e infine si accese una sigaretta, fece scorrere le rotelle della sedia sul pavimento per allontanarsi un po' dal PC.

Il filtro stretto tra le dita e lo sguardo distante, quasi assente, rivolto fuori dalla finestra. Iniziò a chiedersi se avesse sbagliato a non indagare, a non approfondire quanto accaduto in quella casa di Mountforde Gardens. Dopotutto, se ne rendeva conto, era stato lui a voler andare lì. E non l'aveva neppure vista, non l'aveva vissuta.

Storse le labbra, borbottando tra sé e sé un: «Che idiota». La sigaretta in bilico sulle labbra e una nuvola di fumo grigio che gli aleggiava tutt'attorno. Poi sentì bussare alla porta e si riscosse. Mosse du poco le palpebre, ciccò nel posacenere vicino e, voltandosi, disse: «Avanti».

Era Darrell: l'espressione pacata e un sorriso dipinto sul viso. Avanzò nello studio dopo aver chiuso educatamente la porta e sollevò un paio di bicchieri. «Dimmi che hai tempo per bere con tuo fratello» mormorò, mostrando la bottiglia che teneva stretta dal collo nell'altra mano.

Gabriel corrugò appena la fronte. «Logan si è addormentato?» chiese. Lo vide annuire, così sospirò e si massaggiò la sommità del naso. Non aveva granché voglia di bere dello Scotch, ma sapeva che Darrell si sarebbe offeso se avesse rifiutato. Allora gli fece un cenno e, alzandosi, lo precedette sul divano. Accavallò le gambe e posò la schiena su un paio di cuscini, portandosi ancora una volta la sigaretta alle labbra. «Perché sei qui?» Lo guardò dal basso.

Darrell posò i bicchieri sul tavolino, poi stappò la bottiglia e, mantenendo lo sguardo fisso su di lui, disse: «Volevo solo passare del tempo con te».

«Non prendermi in giro» soffiò una nuvola di fumo, lasciando che questa accompagnasse le sue parole e fluisse via dalle narici strette, mentre lui, scuotendo la testa, si trattenne dal ridere. «Non sono certo nato ieri.»

«Lo so» mugolò. «Sei troppo vecchio per essere nato ieri.» Accennò un sorrisetto sarcastico, poi sospirò di fronte alla sua espressione truce e versò da bere nei due bicchieri. Si sedette al suo fianco. La schiena ritta e lo sguardo fisso sullo Scotch, che si muoveva placido, lento. «Ho bisogno di parlarti» ammise sottovoce. «Seriamente, da fratello, e ho bisogno che tu stia ad ascoltarmi.»

«Adesso ti ricordi di essere mio fratello?» rise. «Buffo, non credi?»

«Non trattarmi così, sono serio.»

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