20 - Down

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Era strano, per lui, trovarsi ancora a Mountforde Gardens. A dimostrarlo, la sensazione di oppressione che provava all'altezza del petto.

E a nulla era servito quel sospiro di sollievo che aveva tirato quando Simon Burke era sceso dall'auto, perché era certo che non fosse lui il problema; in fondo sapeva che avrebbe fatto di tutto pur di tenerlo lontano da Gabriel, perfino mettere a rischio la sua stessa vita.

Era la zona a turbarlo, forse, o almeno così si disse quando il profumo del gelsomino invernale gli riempì le narici. Ma no, non era neppure quella. Allora iniziò a concentrarsi sul rimbombo dei passi di Gabriel, che, alle sue spalle, sembravano quasi incalzare con ferocia. Scosse la testa e deglutì. Erano i ricordi, lo sapeva.

Posò una mano sul cancello e, guardando attraverso il foro circolare, mancò un battito. Gli sembrò di essere tornato indietro nel tempo, di aver saltato nei giorni, e rivide la sua fuga da quella casa assieme a Gabriel e Darrell. Serrò i denti, li fece stridere tra loro, ma non disse una sola parola.

«Cos'hai?» domandò Simon.

«Mi gira la testa» mentì con un'alzata di spalle.

Gabriel gli posò una mano dietro la schiena e, carezzandola, gli vide mordersi il labbro. «Posso salire io, se vuoi. Non c'è bisogno che sia tu a entrare» propose piano. «Puoi rimanere qui con Simon, se non te la senti.»

Lui scosse la testa, poi strattonò il cancello un paio di volte e lo spalancò. «Lo facevo sempre» spiegò sottovoce, scrollando le spalle. Fece cenno a entrambi per essere seguito e li condusse in casa senza fare alcun tipo di giro turistico. «Sbrighiamoci» disse, alzando la voce e iniziando a salire le scale. «La mia stanza è al piano di sopra. Metto qualcosa in una valigia e torniamo in auto.»

Simon annuì, poi curiosò intorno e allungò un indice per controllare quanti strati di polvere ci fossero sul corrimano. Socchiuse le palpebre, infine spostò lo sguardo su Gabriel, il quale scattò dietro Randy. «Dove vai?» gli chiese.

«La prudenza non è mai troppa, fidati» mormorò questi.

Lo sentì sospirare, ma non aggiunse altro e si sbrigò a salire. Rimase in silenzio, con il cuore in gola, mentre si addentrava nel primo piano della casa sconosciuta cui aveva abitato Randy.

Iniziò a cercarlo con lo sguardo, facendo capolino nelle stanze, e poi, d'un tratto, lo vide.

Era di fronte a un armadio in mogano degli anni Cinquanta, intento nella contemplazione del proprio guardaroba; per questo, quando Gabriel gli si avvicinò per abbracciarlo, sussultò.

«Cazzo, Gabriel, non farlo mai più» sbottò.

«Cosa: raggiungerti o prenderti alla sprovvista?»

«La seconda» grugnì. Si voltò a guardarlo e posò le mani in due pugni chiusi sui fianchi. «Perché sei salito come un gatto?»

«Non era mia intenzione, davvero.» Sollevò le mani in segno d'innocenza, poi le giunse per chiedere perdono.

Randy sbuffò. «Questa casa scricchiola di continuo, eppure oggi non lo ha fatto...» Storse le labbra in una smorfia, infine si lasciò andare a un lungo sospiro. «Chissà perché.»

Gabriel sorrise e fece spallucce. «Per fortuna ero io» disse. Gli carezzò entrambi gli avambracci, poi guardò oltre la sua testa e si concentrò sui vestiti contenuti nell'armadio. Aggrottò le sopracciglia con una punta di divertimento e trattenne una risata. «Satanisti e buon gusto» borbottò, colpito dall'occhiataccia di Randy, che parve fulminarlo sul posto. «Che stranezza.»

«Ti stupisce tanto? Non sei il solo che conosce Dior, sai?» lo rimbeccò piccato. Restrinse lo sguardo e incrociò le braccia al petto.

«Eppure, guardandoti, non si direbbe che questo sia davvero il tua armadio.»

Invisibile (fake)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora