26 - Dream

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Non appena lo vide in terra, Gabriel non poté fare a meno di sgranare gli occhi e trattenere il respiro. Si sentì assalire dall'ansia e avanzò a passo spedito nella sua direzione, continuando a chiamarlo più e più volte.

Tuttavia, rendendosi conto che non si sarebbe svegliato così facilmente, smise di farlo e serrò i denti.

Pallido come un cencio, con le narici allargate dall'affanno e il petto che si alzava e abbassava velocemente, afferrò il telefono dalla tasca sinistra per comporre il 999, fermandosi di fronte al numero di Darrell, che figurava tra le chiamate in entrate. Allora inspirò a fondo e, cercando di modulare la voce, rispose con un:

«Pronto?». Il tono basso, ancora agitato. Serrò le labbra, poi le storse in una smorfia e si piegò accanto a Randy per tastargli il collo e cercare di sentirne le pulsazioni attraverso l'arteria. 

Dall'altro lato della comunicazione, Darrell sbuffò secco. «Te ne sei andato senza avvisare!» Schioccò la lingua sul palato e continuò, disse: «Sono salito al piano di sopra per vedere se Logan stesse bene e se Judy fosse ancora con lui, poi, quando sono sceso, tu eri già sparito nel nulla».

«Lo so, Darrell, ma adesso non ho tempo per i tuoi rimproveri» mormorò. Infilò il telefono in tasca e cercò di sollevare Randy a sedere con ben pochi risultati, scoprendolo molle e pesante come un sacco di patate. «Sono a Short Strand, a Mountforde Gardens» continuò, parlando nell'auricolare. Vide cadere il pugnale rituale sul tappeto e restrinse lo sguardo sull'impugnatura insanguinata, mentre Darrell esplodeva con un:

«Dove saresti, scusa?».

«Dico davvero, non ho tempo per spiegarti cos'è successo.» Volse per un attimo gli occhi al soffitto e sentì Randy mugolare, lamentarsi. Così, dopo aver piantato bene la suola delle scarpe sul pavimento, provò a farlo aderire contro il suo petto. «La situazione è già abbastanza difficile così com'è.»

«E quando la situazione si fa difficile, ovviamente, non c'è bisogno del mio aiuto» si lamentò lui, arricciando il naso. «Ma certo, è ovvio.» Si mise a sedere sul divano e trattenne uno sbuffo frustrato, picchiettando con i polpastrelli contro il bracciolo. «Immagino, dunque, che tu sia andato da Randy.»

«Immagini bene» confermò sottovoce, vedendo quest'ultimo reclinare la testa di lato. «Non l'ho fatto per tenerti lontano da lui» ci tenne a precisare. «È stato Randy a chiamarmi.»

Darrell si lasciò scappare un'esclamazione divertita e scosse la testa, posando la nuca contro lo schienale del divano. «Oh, certo. E questo dovrebbe tranquillizzarmi?»

«Non sta bene» disse. «Sembrerebbe che lo abbiano trovato e che abbia ingerito qualcosa di strano.» Prese una piccola pausa, poi aggiunse: «Perde sangue. Dalle mani, credo».

«Qualcosa di strano? Sangue?» chiese, echeggiò. «Di cosa stai parlando?» Si aggrappò al bracciolo del divano, non riuscendo a capacitarsi del fatto che Randy fosse caduto in una qualche trappola. «Lui non è uno sprovveduto, non si sarebbe mai fatto fregare da quella gente...»

«Non si regge in piedi, è privo di sensi» sputò tutto d'un fiato. «È ovvio che sia successo.»

Le sopracciglia aggrottate e il cuore in gola, balbettò un: «Non è possibile».

«Ti ho promesso che mi sarei preso cura di lui» disse, massaggiandosi la sommità del naso. «Perciò sta' tranquillo, Darrell. Lo porterò in ospedale.»

Quasi non aveva voce quando chiese: «Dove?». Eppure fu sicuro di aver parlato, perché subito sentì Gabriel rispondere:

«Resta a casa, non è necessario che tu venga».

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