28 - Everybody Hurts

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Quando Randy aprì gli occhi, dovette battere le palpebre un paio di volte per mettere a fuoco ciò che aveva dinanzi. Mosse appena le dita sul lenzuolo grezzo e mugolò di fastidio, sentendo le garze stringere attorno ai palmi di entrambe le mani.

Ci mise un po' a capire dove si trovasse, perché il suo ultimo ricordo concreto era la voce calda di Gabriel e il profumo del deodorante per ambiente della sua BMW; eppure, non appena capì di essere in una stanza d'ospedale, si umettò le labbra secche e voltò la testa di lato, certo che lui fosse lì, al suo fianco, e che avrebbe potuto ringraziarlo subito, seppur con leggero imbarazzo.

Per questo, vedendo Darrell, trattenne un'esclamazione di sorpresa.

Dormiva su una sedia di metallo, con le gambe appena piegate in avanti, e sembrava che avesse passato l'intera notte a vegliarlo; perlomeno così si disse non appena notò le profonde occhiaie che gli circondavano lo sguardo.

Allora inspirò a fondo, corrugò la fronte e si guardò attorno spaesato.

E lo vide: Simon Burke era disteso supino a due metri di distanza, con una miriade di fili e tubicini che gli tormentavano le membra e gli circondavano la faccia fino a entrargli nel naso.

«Cos'è successo?» si lasciò sfuggire in un rantolo. Deglutì a vuoto, mentre il rumore del cardiofrequenzimetro accelerava e prendeva a martellargli nelle orecchie a causa dell'agitazione, dell'aumentare dei suoi stessi battiti.

Spostò lo sguardo dalle labbra spaccate di Simon al gesso che gli fasciava il braccio e aggrottò le sopracciglia. Non riusciva a darsi una risposta, perciò scivolò istintivamente fuori dalle coperte e si aggrappò all'asta di metallo che sorreggeva la sacca della soluzione fisiologica.

«Cos'è successo?» ripeté, quasi balbettò, mentre i fili del cardiofrequenzimetro sembrarono volerlo ancorare al letto. Allora si artigliò a questi e, con uno strattone, li tirò via dal proprio petto.

La macchina emise un suono secco, facendo scattare Darrell contro lo schienale della sedia.

«Randy!» lo chiamò allarmato, con gli occhi fuori dalle orbite. La voce impastata dal sonno e il cuore in gola, pensò che questi fosse in arresto cardiaco.

Poi batté le palpebre e, finalmente, lo vide: in piedi, con le gambe ancora tremanti, lontano dal lettino che cercava di afferrare a vuoto.

Serrò i denti e deglutì, cacciando indietro il groppo che aveva in gola. Inspirò ed espirò profondamente, provando a calmare il battito impazzito del proprio cuore. «Torna a letto» mormorò, passandosi una mano sul viso con fare esasperato. Allora si alzò in piedi, sospirò e lo raggiunse. «Non puoi affaticarti, non dopo quello che hai passato stanotte» gli fece notare, circondandogli le spalle con un braccio. Nella sua voce, una nota di apprensione e, forse, di rimprovero.

Eppure, Randy parve inamovibile. Continuò a guardare Simon con le sopracciglia aggrottate e non si mosse di un millimetro. «Come sta?» chiese appena.

«Quando è stato portato qui, era in fase critica» rispose a mezza bocca. Spostò lo sguardo verso la porta, vedendo entrare due infermieri con fare chiaramente agitato. Allora scosse la testa e disse: «Sta bene, si è solo alzato... E i cavi si sono staccati». Una piccola bugia a fin di bene, che fece storcere le labbra ai nuovi arrivati, i quali costrinsero a letto Randy in men che non si dica, lasciando che questi sputasse una sequela d'imprecazioni.

«A breve verrà il dottore a farti delle domande per riempire la cartella clinica» disse uno dei due. «Purtroppo, non avendo i tuoi dati, non abbiamo potuto contattare la tua famiglia.»

«I miei dati?» balbettò lui, corrugando appena la fronte.

«Sì, i tuoi dati» ripeté questi.

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