Jace era deciso a non lasciare la presa, stringeva un braccio attorno alle spalle di Alec e lo teneva giù, premuto contro le coperte ormai sgualcite. Quando quel cacciatore si metteva in testa una cosa doveva farla e basta!
«Avanti, Jace! Lasciami!»
«Non mi hai ancora risposto. Cos’ha di tanto interessante quel Nascosto?»
“E adesso? Adesso cosa dico?” pensò Alec mentre l’altro abbandonava la presa per scompigliargli i capelli.
Jace sapeva che lui odiava che gli si scompigliassero i capelli, lo faceva da quando erano bambini, ma aveva avuto il buonsenso di farlo solo quando erano soli e non lo aveva mai detto a nessuno. Il cacciatore dai capelli biondi sorrise soddisfatto, mentre Alec borbottava cercando di pettinarsi come meglio poteva con le mani.
«Allora, dove sei stato stanotte? Sei andato a caccia di demoni senza di me?» finse di essere imbronciato.
«Sono andato da Magnus» rispose Alec, senza pensarci.
Quando alzò lo sguardo vide che Jace lo guardava impassibile.
“Dannazione!” pensò, aveva dato aria alla bocca in un momento di distrazione.
«Perché?» la sua voce era dura, severa.
Il Lightwood attese prima di rispondere, come a voler valutare il tono dell’altro, per non sbagliare ancora dicendo qualcosa che lo avrebbe ferito, o peggio, avrebbe ferito entrambi.
«Volevo ringraziarlo per avermi salvato la vita».
Non era una bugia, era andato davvero per ringraziarlo la prima volta. Era parte della verità.
«Non mi piace».
Alec fu sorpreso per l’ennesima volta «”Cosa” non ti piace?»
«Magnus Bane».
Il cacciatore dai capelli scuri si morse la lingua per non gridargli in faccia che non conosceva affatto lo stregone e che a lui piaceva, eccome se gli piaceva!
«Jace, solo perché non piace a te non vuol dire che io non possa …».
«Ti farà soffrire!»
Jace si rese conto solo dopo aver parlato di essersi alzato in piedi e di aver alzato la voce. Alec non capì cosa volesse dire con quell’affermazione, non vedeva come Magnus avrebbe potuto ferirlo, eppure il suo parabatai sembrava più serio che mai. Il Lightwood ricordò come lo stregone lo aveva tenuto stretto tra le braccia e come erano state dolci le sue parole. Jace parlava così solo perché non lo conosceva, ma adesso erano arrivati a un punto critico. Alec aprì bocca per parlare, deciso a dire al suo compagno d’armi tutto ciò che provava, ma l’altro gli fece cenno di non farlo, non aveva ancora finito.
«Alec, ci sono cose che tu non sai e che è giunto il momento di dirti». Jace tornò a sedersi, apparentemente più calmo, ma nella sua voce si sentiva ancora una certa tensione. «Sono sicuro che non crederai facilmente alle mie parole, ma sappi che c’è un filo logico che lega tutto ciò che dirò».
Il Lightwood lo ascoltò, attento, preso dalla serietà che l’altro impiegava nel parlargli e preoccupato per quello che avrebbe potuto scoprire. Jace prese un lungo sospiro e, con aria decisa, cominciò.
«Allora, devi sapere che quando due persone non sono proprio uguali uguali … per esempio un Nascosto ed uno Shadowhunter … no, troppo diretto, ehm … come una farfalla e un’ape, ecco! Una farfalla tutta sbrilluccicosa ed una piccola apetta, beh … ci possono essere dei malintesi. Magari alla farfalla piace l’ape, ma all’ape piacciono i fiori, ma l’ape non si accorge dell’interesse della farfalla, e magari …».
«Ma cosa stai blaterando?!»
Jace sbuffò rumorosamente, palesemente scioccato.
«Ok, lo sapevo che le metafore non andavano bene. A Bane piacciono gli uomini e gli piaci Tu!»
«Lo so». Gliel’aveva servita su un piatto d’argento. Il Nephilim biondo spalancò la bocca in una “O” per la sorpresa.
«Anche a me piace Magnus».
Simon tossì violentemente. Si era quasi strozzato con l’ultimo sorso del liquido fumante, a lui ormai familiare, che gli aveva dato Isabelle.
«Dimmi che non glielo hai chiesto».
«Direi una bugia».
«Non ci posso credere!»
La cacciatrice gli aveva appena detto che la domanda che di solito lui faceva a Clary non aveva avuto lo stesso effetto su Alec, e lui sapeva che il cacciatore non si sarebbe dimenticato tanto facilmente di questa cosa.
«Tuo fratello mi ucciderà».
Isabelle gli sorrise. Nello stesso momento, Jace irruppe in cucina, fiondandosi verso il frigorifero. La cacciatrice e il diurno lo lasciarono razziare i resti della colazione comprata al Taki’s.
«Però, che appetito!» Isabelle affondò un gomito nel fianco scoperto di Simon, facendogli cadere la tazza di mano.
Jace lo ignorò, continuando a rimanere con la testa al fresco tra cornetti alla crema e caffèlatte gelido. Sembrava voler congelare i propri pensieri, ma non bastava di certo quello per riuscirci. Quando, finalmente, si girò verso gli altri due, li guardò dall’alto in basso, alzando un sopracciglio quando si soffermò su Simon, piegato in due dal dolore. Isabelle non c’era andata leggera.
«Come ha potuto farmi questo?» sussurrò il Nephilim, quasi stesse parlando a sé stesso.
«Chi ti ha fatto cosa?» chiese Izzy, ma Jace sembrò non sentirla, tornò ad immergersi di nuovo nel frigo, stavolta poggiando una tempia contro la parete fredda.
Magnus si lasciò cadere sul divano, sospirando, sognante. Da quanto tempo non passava una serata calma in compagnia di qualcuno in grado di farlo sentire come un adolescente al primo amore?
Mosse un indice in aria, creando delle strisce dorate. Quando lo abbassò lesse quello che aveva scritto.
«Alexander …» un sussurro colmo di qualcosa che per un attimo lo sorprese.
Il miagolio di Presidente Miao lo riportò alla realtà. Magnus si tirò su a sedere, facendo spazio al micio, che gli saltò a fianco porgendogli qualcosa di luccicante che teneva stretto tra i denti, ma senza morderla. Il Nascosto gli porse la mano e nel suo palmo venne lasciato cadere un frammento di stregaluce.
«Oh …!» sorrise tra sé e sé «Questo è un segno, amico mio».
Il gatto miagolò in risposta, dandogli poi la schiena per raggomitolarsi su uno dei cuscini di raso del divano.
«Si, forse hai ragione, ma non posso lasciarlo al buio. Mi sa che questa volta sarò io ad andare da lui, d’altronde …» si alzò, sistemandosi abiti e capelli «non mi dispiace affatto».
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Porporina gialla e blu
FanfictionQuando Magnus Bane rispose furioso, non poteva sapere chi ci fosse dall'altro lato del citofono.