Non sarà piacevole.

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Era tutto buio. Jace cercava in tutti i modi di vedere anche solo una scintilla che potesse rischiarare tutta quella oscurità, in modo da potergli concedere l’opportunità di trovare una via di fuga.
Mani gelide gli si posarono sul petto, affondandovi dentro. spalancò le labbra per urlare, ma non vi uscì un solo fiato. Non aveva mai provato un dolore simile; lacrime calde gli caddero dagli occhi aperti e ciechi, solcandogli le tempie e sparendo tra i capelli. Era disteso e immobile, non più padrone di sé stesso, con quelle dita che continuavano a scavargli le carni.
Sentì una litania arrivare da lontano, sempre più vicina, sempre più forte e insistente. man mano che le sue orecchie si abituavano a quel suono che aveva spezzato il silenzio, cominciò a credere di conoscere quella voce. L’aveva già sentita.
“Magnus!” pensò. E in quel preciso istante le dita di quelle mani sconosciute si staccarono bruscamente da lui, facendolo sussultare dal dolore. Al loro posto, qualcosa di caldo e soffice approdò sul suo petto, che si alzava e abbassava irregolarmente a causa dell’affanno. Piegò leggermente la testa verso questa nuova presenza, ma non vide niente. Eppure, non ebbe bisogno di vederla, per capire di cosa si trattava. Il sui verso bastava e avanzava.

Magnus non aveva smesso per un solo attimo di pronunciare la sua litania. Il sudore gli imperlava il viso ormai talmente pallido da far risaltare la lucentezza dei suoi occhi come fisse un vampiro affamato. Erano passate ore da quando aveva cominciato e Jace non aveva smesso di gridare e contorcersi. Si era detto “niente distrazioni”, lo stregone, eppure sarebbe stato più semplice avere dietro Robert Lightwood ad angosciarlo, piuttosto che doversi concentrare con quelle grida strazianti. In tanti secoli, mai aveva visto una reazione simile; sembrava non essersi ripreso neanche un pò.

Alec si abbassò a sbirciare per l’ennesima volta dal buco della serratura dell’infermeria. Non ce la faceva più a resistere alla pressione dell’attesa. Per non farsi mancare niente, poi, suo padre si era accampato là vicino, camminando avanti e indietro come un dannato. Il ragazzo era fortemente tentato di infilarsi in infermeria per stare accanto al suo parabatai, ma era più che sicuro che Robert lo avrebbe seguito e non avrebbe fatto altro che nuocere a tutti. L’unico a sembrare tranquillo era Max.

«Voglio quel ragazzo, subito!» sbraitò Maryse, strattonando Meliorn per le spalle. Isabelle e Simon avevano cercato in ogni modo di levarglielo dalle mani, ma la donna era stata ben più furba e veloce di loro, agguantandolo quando meno se lo aspettavano.
«Vattelo a cercare, allora», rispose la fata, palesemente noncurante del pericolo.
«Sei una fata! Tu e il tuo popolo avete sempre saputo tutto, sin dall’inizio!»
«Se lo sapevi, perché non lo hai chiesto?»
«Te lo sto chiedendo ora!»
«Non sono autorizzato a dirti niente».
Maryse afferrò il collo di Meliorn con una mano, con l’altra gli puntò contro una spada angelica. «Se accade qualcosa di male ai miei figli o a chiunque si trovi sotto questo tetto, giuro sull’Angelo, maledetto Nascosto, che non mi renderò responsabile delle mie azioni».

«Quack!»
Jace rotolò su sé stesso, cercando di alzarsi e correre via più veloce che poteva, ma sentì qualcosa trattenerlo. La litania si era interrotta, ma la voce di Magnus era rimasta.
«Fermati, Jace!»
Ma lui non aveva la minima intenzione di farlo.

«Maledizione, Jace! Stà fermo!» Lo stregone lo agguatrò per i fianchi appena in tempo per impedirgli di cadere faccia in già dal lettino. La porta dell’infermeria si spalancò ed Alec fu subito accanto all’altro, aiutandolo a tener fermo l’Herondale.
«Cosa gli prende adesso?»
«Non ne ho idea, Alexander! Fino a cinque minuti fa gridava, ma non cercava di scappare».
Altre due mani si aggiunsero, strattonando Jace per le gambe per evitare che scalciasse contro qualcuno. Dopo tanto tempo, Robert Lightwood sembrò aver fatto la cosa giusta al momento giusto.
«È peggiorato».
Magnus annuì. «La formula non ha funzionato, dev’essere qualcosa di più di un semplice veleno»
«Un incantesimo?» azzardò, riluttante, Alec.
Lo stregone non rispose, fissando un punto al di là della spalla del ragazzo. I due cacciatori si voltarono appena, per capire cosa stesse guardando. Dietro di loro c’era Max, impassibile.
«Ciao, piccolino», cominciò con voce atona il Nascosto. «Potresti passarmi quel rametto dai fiori bianchi?» gli chiese, indicando un tavolino di ferro dipinto di bianco.
Il bambino mosse qualche passo, lo prese e si avvicinò allo stregone, porgendoglielo. Appena gli fu abbastanza vicino, Magnus lo afferrò per il polso, prese il rametto e vi soffiò sopra; dai fiori candidi si levarono delle spirali dorate che finirono addosso a Max. quest’ultimo, a poco a poco, divenne più alto, i suoi capelli si schiarirono e i suoi occhi divennero neri come la pece.

«I tuoi figli. Quanti sono?» le chiese Meliorn.
«Quattro» rispose Maryse, senza pensarci due volte.
La fata fisso i suoi occhi in quelli della cacciatrice, poi piegò la testa leggermente di lato. «Io conterei meglio».
«Se ti riferisci a Jace, lui è …» fece Isabelle, ma venne interrotta.
«Non parlo di Jonathan. Non è il legame di sangue a rendere tale un figlio, ma del sangue è stato versato dal sangue che qualcuno dei tuoi ospiti ha in comune con l’intruso».
Maryse lasciò la presa e la spada angelica le cadde di mano. «Jace …» sussurrò.
«Ho già detto che non mi riferisco a Jonathan».

Porporina gialla e bluDove le storie prendono vita. Scoprilo ora