Dopo che suo padre era morto, gli assistenti sociali avevano fatto trasferire Abby in un francobollo di paese nel Kansas, da una zia che non pensava di avere.
Era la sorella di suo padre, ma per lei era una perfetta sconosciuta.
Katia era il suo nome, e, dal primo giorno in cui l'aveva incontrata, aveva subito pensato fosse strana.
Aveva lunghi capelli castani con qualche rasta e grandi occhioni verdi, un'aria simpatica e solare, e fin qui niente di particolare, se non quell'invidiabile bellezza acqua e sapone.
Portava sempre e solo lunghe braghe di tela larghe e arricciate alle caviglie, in modo da dargli una forma gonfia, di fantasia sgargiante e irregolare, canottiere attillate e di colori scuri, lunghi cardigan con delle frange e sandali alla schiava. Nonostante tutta quell'esagerazione, portava tutto con estrema eleganza, le stava bene qualsiasi cosa. Disegnava e scolpiva per lavoro, aveva una casa tutta sgargiante di colori che con cui il suo look facevano abbinamento perfetto.
Abby, da piccola e da poco trasferita, era abituata al perenne smoking di papà e al lavoro complicato e pieno di numeri che non comprendeva mai e, per questo motivo, le sembrava un po' troppo strano tutto quel colore, quasi pauroso e alieno.
Per il suo decimo compleanno, la zia le aveva regalato una bambola.. la sua prima bambola. Ne era felice nonostante fosse ormai un po' grandina per quel genere di regalo, era qualcosa che lei aveva sempre desiderato ma che suo padre non si era mai curato di comprarle.
Quello fu l'inizio di una grande amicizia.
Crescendo, infatti, Abby aveva cominciato ad amare quello stile così alternativo e se ne era inappropriata, sapendo in cuor suo di aver reso felice la zia.
Aveva cominciato a girare con zaini di tela e occhiali rotondi, ad ascoltare Beatles e Rolling Stones, motivetti immancabili nella dimora di Katia.
Era orgogliosa di ciò che era diventata e la sua vita era di nuovo felice, nonostante le comuni problematiche legate all'adolescenza.
Katia ormai era diventata come una madre per lei, ma non quel genere di madre che ti abbandona a 3 anni per motivi a te ignoti, nelle mani di un uomo che per te era come un perfetto estraneo; si era affezionata di più agli uomini e alle donne di servizio con cui passava quasi tutte le ore delle sue giornate di infanzia, invece che a suo padre e a quella freddezza da sergente che aveva sempre odiato.
Nonostante fosse vissuta come una principessa per i primi 9 anni della sua vita, Abby, si adattò perfettamente alla routine semplice della zia, al suo umorismo e alle sue bizzarre compagnie.
Qualche mese all'anno gli assistenti sociali venivano a farle visita e, notando che la sua salute era a posto, il luogo era pulito e asciutto e che il rendimento scolastico eccellente, le loro visite erano diventate sempre più rare.
Ogni tanto la zia Katia partecipava a manifestazioni hippie e aveva promesso ad Abby che, qualora l'avesse ritenuta pronta, avrebbe potuto portarla con sè.
La ragazza ne era più che felice.
Era il suo primo giorno di scuola ed era molto emozionata.
Aveva fiducia nel nuovo anno, nei nuovi compagni e negli insegnanti.
Quella sua nuova scuola era il tocco finale, la cigliegina sulla torta, il Liceo Artistico che lei aveva sempre sognato di fare per seguire le orme di sua zia al cento per cento.
Una volta superata la maestosa entrata, venne guidata da un bidello con la stessa pettinatura di Einstein fino alla sua rispettiva classe.
Si era seduta e si era guardata un po' intorno, non erano ancora tutti arrivati: saranno state una decina di persone, un paio di ragazzi e..
Neanche il tempo di mettersi a proprio agio che una ragazza tutt'altro che timida le era venuta incontro con un sorrisone:
- Ciao! Io sono Rita, tu come ti chiami?
- Abby - aveva risposto con un accenno timido di sorriso. Le erano spuntate due graziose fossette ai lati delle guance, l'unica cosa che lei amava di sé.
- Amo il tuo stile, Abby! Posso sedermi vicino a te? -
- Certo! - aveva riso lei. Quella ragazza era davvero bellissima, avrebbe potuto far innamorare chiunque con quegli occhi grandi e brillanti e tutte quelle lentiggini.
Avevano chiacchierato (o meglio, Rita aveva chiacchierato ed Abby aveva risposto un po' a monosillabi un po' ridendo per le battute dell'amica) anche quando la classe aveva cominciato a riempirsi, senza che loro ci badassero troppo.
In quei pochi minuti Abby aveva scoperto molte cose sulla sua nuova amica: aveva un fratello e una sorella che frequentavano anche loro quella scuola e da cui aveva ereditato tutti i libri, senza spendere neanche un soldo. Amava la musica pop e le sue cantanti preferite erano Rihanna e Beyoncé e odiava la matematica e l'italiano. Aveva un'unica passione, il disegno.
Abby non aveva detto molto sul suo conto, così l'amica aveva cominciato a farle l'interrogatorio, ma non riuscì a terminare neanche la prima domanda, perché entrò il prof.
Era anziano, forse sulla cinquantina, e aveva l'aria di chi sapeva il fatto suo. Aveva una folta chioma di capelli leggermente ingrigiti e il viso solcato da numerose rughe. Aveva esordito con un discorso che aveva letteralmente illuminato Abby:
- Cari ragazzi, sono Il professor Caruso, insegno arti plastiche e pittura su tela. Se siete venuti qui pensando che non avreste combinato niente dalla mattina alla sera, potete benissimo alzare il culo. - ci fu un momento di ilarità generale. - Questo non è un Liceo come un altro, negli altri Licei si sgobba come muli e i ragazzi, come unico sfogo, hanno l'intervallo. In questa scuola, sempre se l'avete scelta perché davvero vi interessa l'arte in tutta la sua magnificenza, lavorerete come muli, ovviamente, però avrete un vantaggio, e sapete qual è?
- Il non fare latino? - rispose un ragazzo dalla folta chioma. Il professore scoppiò a ridere.
- Oltre a quello, ragazzino! Nessuno lo sa? - squadrò tutti da cima a fondo, durante un attimo di interminabile silenzio. - Voi potete prendere un pennello o un pezzo di argilla e sfornare un'opera d'arte che vi rimarrà impressa nel cuore. Nessuno dimentica mai il primo disegno o la prima scultura e di solito nemmeno quelle successive, a meno che uno sia un po'... come dire... alterato. - altro momento di ilarità. - Solo una cosa ho da dirvi, siate sempre voi stessi. Voi non siete venuti qua per restare con le mani in mano, e questo già si sapeva, ma nemmeno per lasciare a riposo il cervello e scopiazzare da qualche vostro compagno. Come disse un famoso poeta italiano "l'arte non imita, interpreta", ricordatevi bene questa frase. Vi voglio tutti quanti innamorati dell'arte, è chiaro? E se un giorno dovesse mancarvi l'ispirazione? guardatevi dentro, é lí la vera arte.
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Portami via
Novela Juvenil“Quando, dopo aver scavato a lungo, toccherai il fondo, ti renderai conto che è giunto il momento di tentare la risalita. E non metto in dubbio quanto sia dura e faticosa, mia cara, ma ti posso assicurare che il panorama che ti aspetta ripagherà ogn...